giovedì 29 aprile 2010

Carissima Grecia, quanto ci costi...

Tafanus Ormai abbiamo la cifra finale: la Grecia riceverà un "obolo" di 135 miliardi di euro, in parte dalla Bei, in parte dalla Bce. Avete letto benissimo. 135 miliardi di euro, pari a 270.000 miliardi del "vecchio conio". Tre volte la finanziaria monstre di Giuliano Amato del 1992 (93.000 miliardi di lire), varata dopo la svalutazione della lira. Fu una manovra "lacrime e sangue", ma quella manovra ci permise di avviare il risanamento, poi condotto in porto da Ciampi, Prodi, D'Alema, Visco, che permise all'Italia di entrare coi primi nell'Euro, e di veder scendere lo spread dei tassi d'interesse da quasi 500 punti-base a zero, e di continuare a nuotare e non affogare.

Oggi, dopo anni di cura Berlusconi & Tremonti, l'Italia è riuscita, per la prima volta in circa vent'anni, ad azzerare l'avanzo primario, che era arrivato a circa 5 punti di PIL, e ad andare "in rosso" anche in questo parametro, che Ciampi considerava la linea Maginot fra l'Italia ed il baratro. Ma Tremonti e Berlusconi dicono che siamo bravissimi, e Tremonti e Berlusconi sono uomoni d'onore.

Mendicante Dunque, la Grecia: 135 miliardi di euro per la Grecia sono, se rapportati ai rispettivi PIL, come 900 miliardi di € dati all'Italia. E' come se qualcuno ci regalasse sei mesi di prodotto interno, o come se qualcuno si accollasse circa la metà del debito pubblico italiano accumulato in decenni. Questo "aiutino" non è una toppa, è adottare un adulto improvvisamente diventato invalido al 100%. Ce lo possiamo permettere? Quante volte? in che misura? E' possibile immaginare che ogni volta che un paese va in default il resto d'Europa tiri fuori una cifra pari alla metà del PIL del paese in questione? E' morale dare questa scialuppa ad un paese che ha truccato i conti, e che fino al 2009 "nascondeva" dieci punti di deficit?

Adesso lo stesso destino toccherà al Portogallo, i cui titoli sono già stati praticamente degradati a "titoli-spazzatura", poi potrebbe essere il turno della Spagna, il cui rating è stato abbassato di colpo di due gradini. La Spagna è, per dimensioni dell'economia, il quarto paese dell'area Euro. Poi potrebbe toccare a noi. Noi, per il momento, metteremo per il salvataggio della Grecia un "cheap" di circa 6 miliardi di €, pari a 12.000 miliardi di lire. Una "finanziaria leggera". E poi? faremo lo stesso per il Portogallo, e poi per la Spagna? E gli altri paesi ci staranno anche la prossima volta? e ci staranno quando e se dovesse toccare a noi?

Ci sono brutti segnali, sui titoli di stato italiani. Per ora i tassi non sono aumentati, ma il segnale rosso c'è stato lo stesso: per la prima volta, all'asta trimestrale dei bot, offerta e domanda si sono equivalse. La prossima volta, se la domanda sarà inferiore all'offerta, si dovranno alzare i tassi d'interesse.

Una ipotesi terrorizzante. L'Italia ha un debito cumulato di circa 2.000 miliardi di €: QUATTROMILIONIDIMILIARDI di lire. Se questa massa di debito dovesse essere remunerata, a regime (una volta arrivati a scadenza i vecchi titoli in circolazione), a tassi "di sfiducia", potremmo avere un aumento di 4/5 punti percentuali sul servizio del debito. Fatti i conticini?

Non fateli! Ogni punto in più ci costerebbe 20 miliardi di euro all'anno IN PIU' di oggi. 40.000 miliardi di lire. Ai 5 punti in più non voglio neanche pensare: si tratterebbe di 200.000 miliardi di lire all'anno in più solo di maggiori interessi. Più di due "finanziarie Amato" all'anno, per un numero incalcolabile di anni.

Però nessuna paura. Tremonti & Berlusconi hanno giurato che noi italiani siamo bravissimi, quindi mettiamoci tranquilli, e andiamo a dormire. Domani è un altro giorno. Da incubo. Tafanus


domenica 25 aprile 2010

25 aprile 1945-2010: ricordare affinché il sonno della memoria non generi ulteriori mostri…

Partigiani-ossola
 
Quest’anno la riflessione sulla Resistenza verterà su quella fase finale della lotta di liberazione che vede le bande organizzate in montagna trasformarsi in un vero e proprio esercito e scendere nelle città a dare il colpo di grazia alle truppe nazi-fasciste, ormai allo sbando, ma anche, soprattutto, organizzare una nuova democrazia. Nella primavera–estate del 1944 questo processo raggiunge la sua piena maturità e gli effetti non tardano a farsi sentire.

LE REPUBBLICHE PARTIGIANE - Nello spazio di tempo che corre tra l’aprile ed il maggio 1944, i rapporti dei repubblichini e dei loro alleati tedeschi, relativamente ad azioni militari  partigiane, crescono a ritmo vertiginoso. Gli sforzi dei patrioti vengono concentrati nel settore appenninico verso il quale sta lentamente avanzando il fronte alleato e lungo le grandi linee di comunicazione utilizzate dall’esercito tedesco.

All’inizio dell’estate i presidi fascisti e tedeschi della Val di Nure, della Val d’Arda (PC), della Val di Taro (PR) e dell’appennino reggiano e modenese vengono espugnati uno a uno dai partigiani. La ferrovia Parma-La Spezia viene interrotta e così pure le comunicazioni tra l’Emilia, la Toscana e la Liguria: i patrioti in armi controllano tutti i passi dell’Appennino, dall'Abetone alla Cisa, dopo solo un mese di combattimenti. L’alto comando tedesco decide allora di scatenare una vera e  propria guerra contro quelli che, ritenuti ancora un gruppo di banditi straccioni, si era rivelato un vero e proprio efficientissimo esercito.  Per condurre questa guerra i nazifascisti impiegano ben 25.000 uomini che si abbattono come una valanga sul settore della Cisa e del piacentino.  Il loro obiettivo è distruggere la repubblica di Montefiorino, situata a cavallo di due strade statali di enorme importanza, presidiata da 6.000 partigiani modenesi e da 2.000 reggiani, che senza aspettare la fine della guerra avevano già istituito un’amministrazione democratica. 

La repubblica di Montefiorino non fu certamente l’unica zona libera creata dai patrioti. Queste “oasi di libertà in territorio nemico”, come le definì Luigi Longo, furono all’incirca una quindicina. Furono particolarmente numerose in Piemonte: Valsesia, Val d’Ossola, Langhe, Val di Lanzo, di Stura, Maira, Varaita, Astigiano e molte altre, mentre in Lombardia compresero l’Oltrepo pavese, in Liguria la repubblica di Torriglia, tra le provincie di Genova e Piacenza, e l’entroterra tra Savona e Sanremo, nel Veneto l’altopiano del Cansiglio, la Carnia e buona parte del Friuli. Un modo di vivere democratico rinasce spontaneamente in queste zone: furono i delegati civili designati dai comandi partigiani, che organizzano come e dove possono l’elezione degli organismi di autogoverno o, d’accordo con la popolazione, incaricano uomini universalmente stimati di assumere provvisoriamente le funzioni di amministratori delle comunità liberate. La documentazione, basata sui rapporti presentati dai delegati civili dovrebbero essere attualmente custodita negli archivi della Presidenza del Consiglio.

Nel comune di Serralunga nelle Langhe viene invece nominata una giunta provvisoria nella cui composizione si tiene conto del rapporto numerico esistente tra i vari strati della popolazione. Sarà una giunta di rappresentanti di categoria, così suddivisi: un intellettuale, tre contadini proprietari, due contadini mezzadri, un commerciante, un operaio ed un artigano. A Usseglio in Val di Lanzo si usa un altro criterio ancora: “la giunta di Usseglio si compone di un mutilato di guerra, di professione contadino, ben visto dalla popolazione per la sua onestà e rettitudine; del segretario comunale, di un commerciante, di un agricoltore e di un margaro”.

A Gallo d’Alba: “La sera del 21 ottobre 1944 fu indetta una riunione popolare nella sala del Teatro Cinema parrocchiale. Il delegato civile della 6° Divisione Garibaldi parlò alla popolazione del significato che le elezioni hanno nella rinascita nazionale e sui problemi  che esse sono chiamate a risolvere d’urgenza, iniziando in tal modo la riconquista da parte del popolo di quel potere di amministrazione  che il fascismo gli aveva tolto. Accennò anche ai problemi dell’educazione della generazione nuova e a quelli della nazione fra i liberi popoli d’Europa. “...il successivo giorno 22 ottobre furono designati gli scrutatori, e l’82% della popolazione affluì alle urne. Lo scrutinio avvenne alla presenza di numeroso pubblico…”

Il 10 settembre del 1944 viene insediato il governo provvisorio dell’Ossola, sgomberata dai nazifascisti dopo una fortunosa azione partigiana che consentì anche la liberazione di Domodossola, e il 26 settembre si costituisce anche il libero governo della Carnia. Fino al momento in cui queste zone libere verranno sommerse dalla potente controffensiva dei nazifascisti che non possono tollerare che esistano basi partigiane di tanta importanza i governi popolari provvederanno agli approvvigionamenti alla sanità pubblica, al funzionamento delle fabbriche, alla riapertura delle scuole.

Nasceva così, in nuce, un’Italia nuova, che, nonostante gli anni di dittatura, trovava la forza di reinventarsi la democrazia. Oggi, in un momento così grave di crisi, dovremmo guardare a questi esempi come la premessa di un risveglio nazionale democratico che, per quanto si tenti in tutti  i modi di affossare, finirà per imporsi e per vincere così come si è imposto ed ha vinto ai tempi oscuri dell’occupazione nazifascista, perchè la libertà e la democrazia non si difendono solo a parole, con proclami o slogan, e nemmeno solo col fucile, come nei momenti della Resistenza contro l’oppressione fascista, quando, appunto per difendere e riconquistare entrambe, non restava che imbracciare il fucile: la libertà, quella vera, fatta di regole condivise e rispettate, la democrazia “reale”, si conquistano con l’unità d’intenti, col confronto civile, con l’impegno, e si difendono giorno per giorno,  mai una volta per tutte.

La Resistenza nella sua maturità aveva ormai acquistato una tale capacità politica, oltre che militare, da ottenere - nonostante le spietate rappresaglie ordinate dai nazifascisti un tale appoggio da parte della popolazione - non solo di precedere gli alleati nell’aprile del '45 nella liberazione delle grandi città e vaste regioni, ma anche di presentare al loro arrivo una efficiente amministrazione democratica già insediata e funzionante. Sintomatico, nel quadro di questa grande svolta, quanto accadde a Firenze, dove le forze partigiane  hanno occupato  e ripulito quasi totalmente la città dagli invasori tre giorni prima dell’arrivo degli anglo-americani, ignorando l’ordine del comando alleato di “attendere ancora due giorni”. Quando gli alleati entrano in Firenze il 13 agosto 1944 hanno la sorpresa di trovare già insediate le autorità di governo designate dal CLN e addirittura un Sindaco democratico, il socialista Terracini. L’ordine è perfetto: Firenze comincia rapidamente a rinascere e a vivere. Nonostante la diffidenza iniziale, il Times è costretto ad ammettere l’efficienza dell’amministrazione democratica di Firenze, sottolineando il fatto che “...la città è stata il teatro di un esperimento spontaneo di auto governo che avrà un’importanza considerevole per determinare quale sarà il sistema politico che in definitiva, prenderà il posto del fascismo...” e che ”...Firenze è stata la prima città in cui il Comitato di Liberazione Nazionale si era già insediato prima che giungessero gli alleati…”

Alla fine del ’44 i giorni della dominazione nazifascista in Italia erano contati, anche quando i nazisti riescono ancora, in zone di grande importanza strategica, ad aver ragione dei Patrioti, possono farlo solo con l’impiego di unità e di mezzi molto potenti, a prezzo di grandissime perdite e con risultati quasi nulli. Tipico il caso del Colle della Maddalena dove i nazisti, per ristabilire i contatti con la Francia, sono costretti a scagliare l’intera 90° divisione granatieri corazzati - 8.000 uomini potentemente armati, accompagnati da carri armati e autoblindo -, contro i 450 ragazzi della “Rosselli”. I nazisti rimangono inchiodati nelle valli per settimane, hanno centinaia di morti e feriti. Sull’esempio di Firenze, le città dell’Emilia e del nord non aspetteranno l’arrivo degli alleati e si libereranno ed organizzeranno democraticamente da sole con l’aiuto dei Partigiani scesi dalle montagne.

Quest’anno vorrei concludere con una riflessione, quello che probabilmente direi a mio figlio come premessa, prima di raccontargli della Resistenza.  E’ il terzo movimento di un’opera di Bertold Brecht.

A coloro che verranno

Voi, emersi dai gorghi che ci travolsero,
Quando parlerete delle nostre debolezze
Pensate
Anche ai tempi bui cui siete scampati!
Andavamo noi, cambiando più spesso paese che scarpe,
Attraverso la guerra di classe,
Disperati,
Quando c’era solo ingiustizia, e nessun riscatto
Eppure lo sappiamo,
Anche l’odio per la bassezza stravolge il viso,
E la rabbia contro l’ingiustizia fa roca la voce!
Ah noi, che volemmo  approntare il mondo alla gentilezza,
Noi, che non potemmo essere gentili!
Ma voi, quando sarà il tempo
Che l’uomo sia d’aiuto all’uomo,
Pensate a noi con indulgenza.

Pasionaria


giovedì 22 aprile 2010

don Paolo Farinella attende risposte dai Cardinali B&B (Bagnasco & Bertone) - Credo che attenderà a lungo - Intanto muove una critica a Roberto Saviano

La lettera alla quale don Paolo Farinella attende risposta è stata pubblicata dal Tafanus del 21 aprile sotto il titolo [Berlusconi, presenzialista "vasa-vasa", ai funerali di Vianello].

Questa scritto di don Paolo può quindi essere letto come un sollecito ai cardinaloni silenti. Quanto all'appunto mosso a Saviano, condivido completamente, e non a posteriori. Come è noto (e per quel poco che conta), nessuno ha la mia incondizionata stima comunque e per sempre. Io stesso mi voglio bene con moderazione, con molti distinguo, e a targhe alterne. Quindi non posso dare ad altri ciò che non sono disponibile a dare a me stesso.

Io stesso, grande ammiratore di Saviano, gli avevo scritto, il 22 ottobre 2008, una  [lettera aperta] che conteneva alcune domande critiche. Eccone un breve estratto:

 

Tafanus"...ti devo però confessare che oggi la tua lettera aperta a Repubblica ha aperto, nella mia ammirazione nei tuoi confronti, una piccolissima crepa. Microscopica, appena accennata, ma spero che non si allarghi. Che non sia, tanto per intenderci, una crepa "strutturale". Il motivo della piccola delusione è presto detto: fra i tuoi ringraziamenti a tutti coloro che ti hanno appoggiato e che continueranno a farlo (il Presidente della Repubblica, la gente comune, i poliziotti che fanno parte della scorta che ti è stata giustamente assegnata, i giornali liberi, i tifosi della legalità, la rete), hai infilato, con mia grande sorpresa, il Presidente del Consiglio che, voglio ricordartelo, è anche il proprietario del PdL.

Niente di personale, ma una persona "informata dei fatti" quale tu sei, non può ignorare che, quando già tale Nicola Cosentino, Forza Italia, plenipotenziario di Berlusconi nel casertano, da due mesi era sotto la lente d'ingrandimento della magistratura con la pesantissima accusa di essere il trait-d'union fra Forza Italia ed i clan dei casalesi, il Presidente del Consiglio, nella sua incommensurabile generosità, lo ha voluto (o ha accettato che diventasse?) anche sottosegretario del suo Governo..."

Ma ecco  la nuova lettera di Paolo Farinella:

Paolo-Farinella Sono in attesa di una risposta pubblica e privata alla mia lettera sulla Comunione del pluridivorziato Berlusconi ai funerali di Raimondo Vianello. Se questa risposta chiara e inequivocabile, con nome e cognome, non arriva, la gerarchia cattolica diventa complice e còrrea e perde, il diritto di parlare di «principi» e morale.

Una mezza parola su Saviano. E’ evidente che Berlusconi difende i suoi amici e gli amici dei suoi amici e la figlia difende il padre che l’amico degli amici. Impeccabili le risposte di Saviano, al quale, è ovvio, va la nostra solidarietà e siamo certi che non smetterà di parlare di mafia e camorra e ‘ndrangheta perché, anche in forma letteraria ci permette di vedere nessi e connessi di una realtà per troppo tempo omertosa. La mafia & C. ormai governa e occupa il parlamento. Chi denigra la Nazione all’estero, Saviano che aiuta a prendere coscienza, o Berlusconi che porta i mafiosi in parlamento?

Saviano-roberto Un solo appunto, fuori dal coro, a Saviano. Pubblicando i suoi libri con la Mondadori che è stata «rubata» mafiosamente da Berlusconi con la corruzione di un giudice e di una sentenza, Saviano alimenta l’illegalità e foraggia Berlusconi e la figlia. In occasione della pubblicazione di un mio libro, una persona mi ha detto che se volevo, potevo pubblicare con Mondadori e avrei fatto affari «perché Mondadori è l’unica casa editrice che sta mangiando tutte le altre e ha una distribuzione capillare». Io ho rifiutato e ho preferito il piccolo editore "Il Segno dei Gabrielli", ma libero, e più dignitoso e coerente che non fare affari. Forse ci ho rimesso, ma sicuramente ho guadagnato in credibilità, coerenza e dignità.

Coloro che criticano Berlusconi e poi corrono  a pubblicare i loro libri da lui, sono patetici e mi fanno anche arrabbiare; come D’Alema e compagnia cantante. Lo so che molti mi diranno: "...ma la cultura così viene divulgata e diffusa meglio..." Sarà, ma per me il fine non giustifica mai il mezzo e la morale non è un elastico che si adatta alle circostanze. Spero che Saviano per i suoi libri futuri scelga un piccolo editore che fatica a mantenere la libertà di idee: il suo nome ormai non ha bisogno che di essere stampato. Sia però più coerente. I giorno in cui Marco Travaglio pubblicherà un solo rigo con Mondadori, avrà vanificato tutto quello che ha detto e scritto finora. Capisco che per molti «pecunia non olet», ma per me olet, eccome se olet.
Paolo Farinella, prete

Ecco, Paolo: siamo in due ad aver avuto qualche piccolo mal di pancia su Saviano, e a non averlo taciuto. In tempi diversi, e su aspetti diversi. Io sui suoi ringraziamenti a Berlusconi, donatore di lavoro a quel "peggio dei casalesi" contro cui giustamente Saviano si scaglia; tu sulla scelta del suo editore di riferimento. Oggi entrambi siamo meno soli, ma preparati anche tu a subire l'assalto dei critici e i loro insulti. Io ne so qualcosa.
Tafanus
 

lunedì 19 aprile 2010

A qualcuno piace La Maddalena (meglio se imbottita di soldi)

Gli affari con la Marcegaglia, la campagna acquisti in Sardegna, i ricchi compensi: business e conflitto di interessi di Caputi. Nel mirino di pm e Bankitalia

EspressoChi controlla l'Arsenale dell'isola della Maddalena? Chi ha messo le mani sulla vecchia struttura militare rinnovata a spese dello Stato, e a cura della Protezione civile di Guido Bertolaso, per farne un polo turistico con albergo, ristoranti, sala conferenze e centinaia di posti barca? Chi ha vinto davvero questo bingo multimilionario al centro nei mesi scorsi delle inchieste giudiziarie sulla cosiddetta cricca degli appalti, ovvero la premiata ditta Angelo Balducci & C? Tutto fa capo a Mita Resort, una società guidata e controllata dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Questo almeno è quanto raccontano decine di comunicati ufficiali. Che, però, illuminano solo una parte della realtà. Restano nell'ombra scambi azionari, intrecci di quote societarie, ricchi compensi e incarichi professionali.

Marcegaglia-emma-02 È una storia ancora tutta da raccontare. Una storia importante. Se non altro perché Mita Resort è stata protagonista di un'operazione a dir poco fortunata. Come noto, infatti, la società guidata dalla numero uno di Confindustria si è aggiudicata la gestione dell'Arsenale a prezzi di saldo: 31 milioni una tantum alla Protezione civile per una concessione di 40 anni. E appena 60 mila euro all'anno di canone alla Regione Sardegna, che dovrà accollarsi anche 400 mila euro annui di Ici sulla struttura. (...non c'è che dire... per essere Cappellacci - governatore della Regione Sardegna - il figlio del commercialista sardo di papi, i conti non li ha fatti molto bene. O forse si... NdR)

Marcegaglia brinda a champagne, ma non è l'unica. Al suo fianco, con una quota vicina al 10 per cento della Mita Resort, spunta un socio che ha scelto di restare nell'ombra. Le sue azioni risultano intestate alla Aletti Fiduciaria. Insomma: uno schermo, una copertura. (...non vorrei sbagliare, ma Aletti mi ricorda il cognome di Urbano Aletti, pregiata ditta di agenti di borsa (Urbano Aletti era il Presidente dell'associazione degli Agenti di Borsa di Milano durante gli anni della Milano da bere. NdR)

Una soluzione poco trasparente per una società come la Mita Resort che ha partecipato a una gara pubblica, quella per la gestione del Nuovo Arsenale, e ha di fatto beneficiato di fondi dello Stato per decine di milioni. D'altra parte l'assetto proprietario della società guidata dalla presidente di Confindustria appare già di per sé piuttosto complicato. Vediamo. La Gaia Turismo, una holding controllata dalla famiglia Marcegaglia, possiede una quota del 50 per cento di Mita Resort. Il resto del capitale è intestato alla Olli Resorts che ha come socio principale Massimo Caputi, un uomo d'affari dal lungo curriculum e dalle mille relazioni nel mondo della finanza, scivolato di recente su un paio di bucce di banana. Da oltre un anno si trova al centro di un'inchiesta della Procura di Milano con varie ipotesi di reato, tra cui riciclaggio, e nel frattempo lo marca stretto anche la vigilanza di Banca d'Italia per qualche (presunta) acrobazia di troppo nella gestione di alcuni fondi immobiliari.

Caputi possiede il 72,8 per cento di Olli Resort ed è affiancato, con una quota del 17,2 per cento, da Andrea Donà delle Rose, un manager-investitore che qualche tempo fa ha dato la scalata alla Marzotto. E il misterioso azionista rappresentato dalla Aletti fiduciaria? Per lui hanno aggiunto un posto a tavola sia Marcegaglia sia Caputi. Infatti, il socio senza volto possiede il 9 per cento di Gaia e una quota analoga di Olli Resorts.

La cordata di investitori ha preso una rincorsa lunga. Prima di approdare a La Maddalena ha fatto tappa nel 2007 sulla costa meridionale della Sardegna. Con un'operazione da svariate decine di milioni di euro è così finita sotto le insegne di Mita la gestione del Forte Village di Pula. E cioè otto alberghi, una ventina di ristoranti, un centro commerciale da 20 negozi in quello che viene considerato uno dei resort turistici più lussuosi del Mediterraneo, meta agostana di ricconi d'ogni sorta, dai nababbi russi ai calciatori in trasferta dalla Costa Smeralda. Un bel colpo per Marcegaglia e soci che hanno conquistato un business da oltre 70 milioni di giro d'affari all'anno. Ci sono riusciti grazie ai prestiti per 70 milioni di euro di due banche di prima grandezza come Intesa e Monte dei Paschi (insomma, di loro non hanno tirato fuori un euri. NdR).

A ben guardare, però, tutto l'affare ruota attorno a Caputi, che finisce per recitare più ruoli in commedia. Una corsa a perdifiato sul filo del conflitto d'interessi tra fondi d'investimento, istituti di credito, società personali. Si comincia nella tarda primavera del 2007. A quell'epoca il Forte Village è proprietà della Lehman Brothers, la grande banca d'affari americana che di lì a un anno finirà per essere travolta dalla crisi finanziaria. Caputi conosce bene i managers italiani del gruppo statunitense. Con il loro aiuto ha già concluso alcuni affari in passato. E anche con Emma Marcegaglia i rapporti sono più che buoni. Sin da quando, un paio di anni prima, l'attivissimo manager immobiliare, all'epoca alla guida della società di stato Sviluppo Italia, aveva coinvolto la futura presidente di Confindustria in alcuni investimenti in campo turistico.

Tutto pronto allora, si parte. Lehman vende il resort di lusso e anche la società che lo gestisce, cioè Mita Resort. Chi compra? Il primo finisce per 210 milioni di euro a tre fondi immobiliari amministrati da Caputi tramite la Fimit. Come dire che i soldi ce li mettono in parte (40 per cento) migliaia di investitori e il resto le banche. Mita Resort invece passa alla cordata della Marcegaglia. Anche qui è decisivo il ruolo degli istituti di credito, in testa il Monte dei Paschi di Siena, che finanziano l'operazione con 72 milioni di euro e a garanzia dei loro crediti ricevono in pegno l'intero capitale della società. Il crocevia di tutto, il vero garante dell'operazione è però Caputi. È lui che manovra i fondi immobiliari che possiedono il Forte Village e allo stesso tempo è azionista importante della società che lo gestisce.

Bertolaso spalaneve In altre parole la medesima persona, cioè Caputi, sarebbe chiamata a fare gli interessi degli investitori, chiedendo il canone più alto possibile, e allo stesso tempo, come azionista in proprio della società locataria, dovrebbe puntare al ribasso dell'affitto. C'è di più. Caputi, ancora lui, è legato a doppio filo al Monte dei Paschi, la principale banca finanziatrice dell'operazione, di cui è stato per anni consigliere d'amministrazione e poi gestore di alcune controllate. Insomma, un groviglio di interessi in conflitto tra loro che finisce per rendere ben poco trasparente tutta l'operazione. A maggior ragione se si considera che la Fimit, la società di gestione dei fondi immobiliari, paga ogni anno commissioni milionarie a una società personale di Caputi.

Niente paura: arriva comunque il lieto fine. Nell'estate 2007 Mita Resort sbarca al Forte village inaugurando la campagna acquisti che l'avrebbe portata fino a La Maddalena. E allora sarà anche per tanto impegno personale che alla fine del 2008 gli amministratori della società turistica, Marcegaglia in testa, hanno deciso di staccare un assegno da 500 mila euro a favore del vicepresidente Caputi. Mica male. Soprattutto se si considera che il resto del consiglio di amministrazione ha incassato compensi poco più che simbolici.

Tutti felici e contenti? Non proprio, perché Caputi finisce nel tunnel delle indagini di magistratura e Banca d'Italia. Sarà forse anche per questo che ai primi di febbraio il manager ha rassegnato le dimissioni dall'incarico di vicepresidente di Mita Resort. Ancora pochi giorni e l'Arsenale della Maddalena, con i suoi costosissimi lavori di ristrutturazione, finisce al centro dell'indagine su Bertolaso e i suoi amici.
(dI Vittorio Malagutti - l'Espresso)

venerdì 16 aprile 2010

...quando Silvio & Gianfranco si amavano tanto...

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martedì 13 aprile 2010

RaiUno: un TG da vergogna. La Ferrario attacca Minzolini

TgUno: lettera in bacheca, Tiziana Ferrario attacca Minzolini dopo l’esclusione dalla conduzione del Tg1

Ferrario-tiziana ROMA - «La nostra redazione non era mai scesa così in basso, al Tg1 si sta consumando un disastro», scrive in una lettera aperta ai colleghi, affissa ieri in bacheca, il mezzobusto Tiziana Ferrario che da una settimana non va più in video dopo quasi 30 anni. «L’ambizione di alcuni di voi e la paura di altri vi impedisce di parlare apertamente. Siamo stati messi gli uni contro gli altri, molti sono emarginati, altri hanno tripli incarichi».

Lo sfogo continua così: «Non vedo più scoop da tanto tempo, abbiamo perso credibilità». Un attacco al direttore Augusto Minzolini che le risponde duramente: «La Ferrario stava lì da 29 anni e passa, mentre tante altre professionalità appassivano alla sua ombra. E non era giusto cambiare? Si lavora anche senza conduzione, vediamola, la sua produttività. Un totem come Frajese in video ci rimase 10 anni, Vespa sei. Ho fatto quello che andava fatto molto prima» .[di Giovanna Cavalli - Corriere.it]

I servi di un solo padrone capiscono in genere la precarietà della loro posizione solo quando è troppo tardi per rimediare. Il giorno in cui la RAI non sarà più in mano al nano, qualcuno si accorgerà di non aver più neanche la credibilità necessaria per fare il Direttore della "Gazzetta di Cocomaro di Cona" (Ferrara). E' il destino dei servi sciocchi. Tafanus

 

sabato 10 aprile 2010

Quanto è bello il nucleare/1: L'oro nero di Chernobyl

Trafficanti e aziende saccheggiano i materiali della centrale nucleare e smontano i veicoli contaminati. Con la complicità di poliziotti e autorità ucraine. Per la prima volta ricostruito il business del metallo radioattivo, che così finisce in tutto il mondo
(Di Bruno Masi - l'Espresso)
 
Chernobyl Getta un'occhiata veloce a destra e a sinistra, si piega e oltrepassa la recinzione di filo spinato. Malgrado cinquanta centimetri di neve fresca e il freddo tagliente di questo febbraio, Piotr Mouriavov si addentra a passo spedito nella zona proibita di Chernobyl. Si irrigidisce al minimo suono sospetto e controlla che nessuna sagoma umana si profili tra le ombre nebbiose. Riprende a camminare, con la paura costante che in un qualunque momento un miliziano possa tirar fuori un'arma e fare fuoco. Piotr li teme più dell'umidità che gli impregna i vestiti, più ancora dei lupi che hanno popolato l'area e che attaccano l'uomo, molto più della radioattività che in alcuni punti è elevatissima. "Quando ci avvistano, i miliziani non esitano ad aprire il fuoco" sussurra accovacciato a terra. "Qui sono loro a comandare. In questa zona si combatte la guerra del metallo".

Tra due o tre ore la notte avrà ricoperto i paesaggi lunari del nord dell'Ucraina, trasformando questo mare di abeti in un labirinto oscuro. La centrale e il suo reattore numero 4, che esplose il 26 aprile di 24 anni fa, si trovano a una decina di chilometri. Un po' più lontano ancora c'è Pripyat, la città fantasma, abitata un tempo dagli operai dell'impianto atomico, evacuata all'indomani della catastrofe. In un perimetro di trenta chilometri, nessuno può avventurarsi senza autorizzazione. È evidente che Piotr non è il solo a compiere questa odissea, da una a due volte a settimana. A mano a mano che ci si avvicina al cimitero dei mezzi militari si avvista ciò che resta di carichi abbandonati lungo il tragitto da altri mercanti di ferrivecchi. Quel cofano d'automobile, quei pezzi di motore o quella portiera arrugginita servono da punti di riferimento approssimativi per segnare il tragitto che porta alla pianura di Razokha, quella dove qualche settimana dopo l'esplosione furono ammucchiati in tutta fretta migliaia di veicoli fortemente radioattivi. Su una ventina di ettari, sotto uno spesso strato di ghiaccio, sono allineate carcasse di automobile, di blindati, escavatrici, e camion dei pompieri. Da lontano si avvista anche lo scheletro di un elicottero fatto a pezzi. "Anche se erano fortemente radioattivi, gli elicotteri sono stati tra i primi a essere smantellati. Con l'alluminio che contenevano ci si potevano fare davvero tanti soldi" spiega Piotr.

Se il crepitio del radiometro non rammentasse la particolarità di questi luoghi, questa distesa, con i suoi mucchi di lamiere arrugginite, i suoi automezzi sfasciati e i suoi camion cisterna usciti da un altro secolo, assomiglierebbe a quella di un normale sfasciacarrozze. Piotr si curva sul motore di un camion, ne estrae alcuni pezzi che getta in un sacco di stoffa prima di rimettersi in cammino. "Il metallo è l'unico modo per sopravvivere. Cento chili sulle spalle ci permettono di guadagnare 90 grivnas (9 euro) e di comperare un po' di alimenti nello spaccio del paese". Accovacciato sul pavimento nero e sudicio di casa sua, passa in rassegna con un gesto della mano un tavolo sbilenco di legno, due sedie sfasciate, un letto dalla coperta piena di buchi. Poi commenta: "Guardatevi attorno: che cosa abbiamo da perdere?".

Nel caos generale che fece seguito all'esplosione del reattore numero 4 nel 1986, le autorità nascosero quante più cose possibili, in tutta fretta, arrivando addirittura a seppellire interi paesi molto contaminati. Crearono qua e là dei cimiteri nei quali avrebbero dovuto restare sepolte per secoli centinaia di tonnellate di metallo radioattivo. A meno di venticinque anni dalla tragedia nucleare, invece, la maggior parte di quei cimiteri è stata saccheggiata. All'indomani dell'esplosione, secondo vari osservatori c'erano circa otto milioni di tonnellate di metallo disseminate su tutto il territorio della zona recintata. Oggi non ve ne sarebbero che duemila. Dalla caduta dell'Unione Sovietica e dall'indipendenza dell'Ucraina nel 1991, questo territorio è diventato zona franca, con sue proprie regole, sue proprie lotte di potere, sue proprie industrie per il riciclaggio e il commercio di ogni genere. Uno Stato nello Stato, insomma, traboccante di un oro nero tutto particolare, il metallo.

Per quantificare le dimensioni di questo traffico, è sufficiente recarsi alla centrale, nei blocchi 5 e 6, per scoprire il segreto meglio custodito: in fondo a un magazzino ridotto a scheletro, alcuni uomini cercano di ripulire, al riparo da sguardi indiscreti, le turbine dei reattori 5 e 6. La radioattività qui è altissima: la polvere che si solleva è trasportata via dal vento che soffia dai vetri infranti delle finestre. Ufficialmente risulta che soltanto una volta la centrale ha messo in vendita del metallo proveniente dai suoi impianti: è accaduto intorno al 2000, quando 110 tonnellate di acciaio inossidabile furono messe in vendita per finanziare la manutenzione del cosiddetto "sarcofago" che custodisce il reattore numero 4. L'annuncio, diffuso ai quattro angoli della Terra, ebbe l'effetto di una bomba: le autorità ucraine dopo la vendita si vantarono di aver immediatamente posto fine al programma. Ciò nonostante domani altri pezzi dei blocchi 5 e 6 avranno imboccato sicuramente la loro strada e abbandonato la zona proibita.

Il giro d'affari clandestino sta aumentando esponenzialmente. Nel 2007 all'uscita dalla zona è stato intercettato un carico di tubi di rame e nickel. La loro contaminazione era superiore di 23 volte ai limiti. Nel maggio 2009, invece, si è letteralmente volatilizzato un carico di dieci tonnellate di metallo il cui livello di radioattività superava i 30.000 microrem previsti (superiore al lecito di ben mille volte!). Nella notte tra il 10 e l'11 settembre 2009 viene intercettato un altro carico di 25 tonnellate non decontaminato. Igor Chtirba, autista di uno dei camion fermati quella notte, commenta: "Per un carico intercettato, quanti altri riescono a passare? Cento? Duecento? In realtà ogni anno vi sono degli arresti, per mostrare che le forze dell'ordine fanno il loro dovere, poi il traffico riprende, più di prima. Quando la neve scompare, sono da cento a duecento le tonnellate che escono illegalmente dall'area ogni settimana". Igor segue con preoccupazione il processo nel quale figura come testimone. Originario della Moldavia, alla fine della guerra contro la Transnitria, nel 1992, si è trasferito in Ucraina. Non avendo documenti, non potendo contare su altre risorse, si è trasformato in uno di quelli che qui chiamano 'i forzati del metallo': "La gente come noi è utilizzata dai subappaltatori dell'azienda che custodisce la zona contaminata per recuperare il metallo nei posti dove nessun altro accetta di recarsi. Ogni mattina ci portano lì dentro, e lavoriamo fino a notte fonda. Facciamo a pezzi di tutto, automobili, fabbriche, kolkoz, case. Poi carichiamo il materiale sui camion che facciamo uscire immediatamente dalla zona, passando per strade secondarie e poco frequentate, oppure con il via libera della stessa milizia. Ogni tanto i carichi superano i 7.000 o 8.000 microrem e quando lo facciamo presente ai nostri superiori, ci dicono di passare ad altro, ma di continuare a lavorare".

Altra scappatoia per far uscire clandestinamente i camion traboccanti di pezzi contaminati consiste nell'imboccare tragitti secondari che attraversano la recinzione di filo spinato, lontano dai nove posti di controllo. Quando le condizioni climatiche lo consentono, i convogli sono formati da cinque o sei camion che percorrono queste strade poco battute a tutta velocità, spesso in piena notte. Micha (nome di fantasia, su richiesta dell'intervistato) è un imprenditore straniero che abita da 15 anni in Ucraina dedicandosi soprattutto al traffico di metallo, e spiega: "Quelle strade non sono mai controllate e la recinzione è stata abbattuta. I camion quindi possono passarvi senza nessuna difficoltà, anche se non sono mai al riparo dall'arresto, magari a opera dei servizi segreti ucraini. Oppure utilizziamo un altro sistema: mettere il metallo contaminato al centro di un carico più grande di ferraglia decontaminata, così quando si arriva ai posti di controllo, attraversando il portale di sicurezza non scatta nessun allarme. Ma il metodo più usato resta la corruzione: da quel punto di vista nulla lascia presagire che il business possa fermarsi tanto presto".

Nella sorveglianza della zona proibita sono coinvolti 450 miliziani. Oltre a pattugliare l'intero territorio, sorvegliare 400 chilometri di recinzione, hanno l'incarico di controllare tutti i veicoli che entrano ed escono dal perimetro proibito. Nel posto di blocco principale di Detiatki, gli ufficiali assicurano che la reputazione dei loro uomini è senza macchia, ma con uno stipendio di 2.500 grivnas al mese (250 euro), poco più del salario medio in Ucraina, le forze dell'ordine del paese da tempo sono venute a patti con i trafficanti. Del resto - come conferma il procuratore generale di Ivankov, Dimitri Logvinov - quattro miliziani sono stati accusati di essere direttamente coinvolti nel traffico di carichi di metallo provenienti dal reattore numero 4. Ai posti di controllo di Detiatki o di Starye Sokoloy, lontano dalle telecamere e da sguardi indiscreti, le lingue si sciolgono: "Certo che tutti partecipano al traffico di metallo!", racconta un miliziano: "I custodi dei cimiteri dei mezzi recuperano alcuni pezzi loro stessi oppure si mettono d'accordo con i trasportatori, e noi facciamo altrettanto ai posti di controllo. Siamo obbligati a vivere in questo inferno e ci vogliamo guadagnare".

Da aprile a novembre escono dal perimetro di Chernobyl, senza controlli, senza decontaminazione, da quattro a cinquemila tonnellate di metallo. Per andare dove? Esistono oltre tremila località legali di raccolta dei metalli ucraini, ma altre 12mila sono non ufficiali e illegali. Tutto intorno al perimetro della zona proibita, prosperano nei paesi centri di smaltimento e recupero, solitamente a gestione familiare, specializzati nel trasporto. Il metallo così raggiunge rapidamente Kiev dove alcune aziende ne comprano piccole quantità per trasformarle in tubi o in materiali edilizi. Ma i volumi più consistenti, centinaia di tonnellate di metallo contaminato, ogni mese arrivano a Dniepropetrovsk, il cuore metallurgico dell'Ucraina. Vladimir Gontcharenko, presidente dell'Associazione ucraina del metallo da riciclare 'Vtormet' (che raggruppa centinaia di aziende) conduce una lotta implacabile contro alcuni di questi grossi colossi industriali che si mostrano poco sospettosi sull'origine delle leghe che lavorano. Nel corso degli anni, ha visto quantità sempre più ingenti di metalli contaminati infiltrarsi nel ciclo degli stabilimenti di Dniepropetrovsk o di Donietsk. Più di ogni altra cosa ha assistito, sbigottito, al silenzio degli operai e delle autorità, dei poteri pubblici insomma, che in questo sfruttamento del metallo di Chernobyl hanno trovato una fonte considerevole di guadagno: "Ufficialmente dalla zona proibita non dovrebbe uscire niente. Se oggi la situazione è diversa è perché nessuna legge è più forte dell'attrazione che i soldi esercitano sul nostro paese".

Nel 2004, un gruppo di ecologisti e scienziati russi ha denunciato le importazioni pericolose di metallo proveniente dall'Ucraina: "I metalli contaminati sono in seguito mescolati con altri, per ridurne il tasso di radioattività. Arrivano poi in Russia, insieme a molti altri. I controlli alla frontiera restano in ogni caso irregolari e aleatori". Nessun traffico di metalli contaminati è stato ufficialmente scoperto in territorio ucraino. Ma non c'è bisogno di recarsi in Ucraina per constatare di persona la presenza di metallo radioattivo proveniente da Chernobyl. Una volta arrivato a Razokha o a Buriakovka, riparte alla volta della Cina, per poi ritornare nel cuore dell'Europa sotto la forma inoffensiva di un barattolo per le conserve o di una bicicletta per bambini.

(continua)

mercoledì 7 aprile 2010

Continua, implacabile, la "Saga degli Imbe-Celtici"

Refettorio Pensavamo di aver toccato il fondo, con l'episodio degli otto bambini messi a pane e acqua da due stronze leghiste (episodio da noi ripreso sul [Tafanus del 24 Marzo], prendendo spunto da uno scritto di Concita De Gregorio).

Ma con questa razza d'imbe-celtici non è mai finita. Non abbiamo ancora digerito l'episodio precedente, che ne arriva uno, se possibile, ancora peggiore. Protagonisti sempre questi stronzi che stanno avvelenando ciò che resta (e non è molto) di civiltà e di cultura dell'accoglienza e del sostegno ai ceti deboli.  L'episodio ce lo racconta il Manifesto. La genìa d'imbecilli alla quale appartengono i "personaggi ed interpreti" è sempre la stessa: leghisti doc, cresciuti alla scuola di chi fa pisciare i maiali sul terreno dove dovrebbe nascere una moschea. Quelli del "brutt terun torna a cà tua"; quelli che le panchine dai giardinetti le togliamo, perchè altrimenti gli immigrati hanno un posto dove sedersi dopo il lavoro.

Stronzi, stronzi, stronzi. Mille volte stronzi. Ma ancora più stronzi quegli italiani così a modo, così firmati, così cattolici, che li hanno fortemente voluti ai vertici di regioni e comuni della Patania (Mitteleuropa), per proteggere il loro miserabile benessere, fatto di villette coi sette nani di gesso, e di slogan talmente cretini che persino loro a volte se ne vergognano. Ma ecco la notizia, riportata solo dal [Manifesto]:

Mensa non pagata, bambini fuori dalla scuola

Neanche a pane e acqua, bensì fuori da scuola per due ore. Dove non si sa, non è questione che interessa l’amministrazione leghista di Adro. Siamo in Franciacorta, provincia di Brescia, e la guerra contro i bambini figli di famiglie che non pagano la mensa scolastica vede di nuovo protagonista un sindaco del Carroccio: Oscar Lancini. Le polemiche contro un’analoga iniziativa adottata il mese scorso a Montecchio Maggiore, nel Vicentino, dove gli alunni morosi furono sfamati con panini imbottiti e una bottiglia di acqua, non hanno intaccato i primi cittadini in camicia verde. Così da stamattina 40 bambini dell’Istituto comprensivo di primo e secondo grado di via del Lazzaretto a Adro non saranno ammessi alla mensa scolastica.
 
La circolare che è stata recapitata ai genitori - tramite bambini, che si sono visti consegnare in classe una busta chiusa di cui tutti i compagni conoscevano già il contenuto, si può immaginare la vergogna - parla chiaro: «L’organizzazione scolastica non ha nessuna possibilità e risorsa strutturale ed economica per garantire agli alunni l’assistenza e soprattutto un pasto alternativo rispetto a quello fornito dall’amministrazione comunale con il servizio della mensa scolastica». Insomma, scrive il dirigente scolastico Gianluca Cadei, la scuola non sa né come assistere, né cosa dare da mangiare ai bambini se non ci pensa chi ne ha la responsabilità, cioè il Comune.

Quindi l'unica soluzione è che i figli dei morosi durante le ore dei pasti escano da scuola. Ma siccome si tratta di minorenni la circolare specifica che «dovranno essere ritirati dalla scuola alle 12,10 e riaccompagnati dai genitori alle 14,10 per le lezioni del pomeriggio».Ma come faranno i genitori che lavorano? E la mensa non è forse orario scolastico obbligatorio? Il sindaco Lancini non si fa, evidentemente, tante domande. Contro la decisione dell’amministrazione comunale di Adro si sono mossi la Caritas e lo Spi Cgil, che per stamattina annunciano un’iniziativa di protesta: volontari porteranno nella scuola di via Lazzaretto cibo, frutta e acqua per i bambini esclusi dalla mensa. Ma da quanto è trapelato, il sindaco non ha intenzione di permettere l’ingresso nelle aule scolastiche dell’associazione cattolica e del sindacato dei pensionati.
 
Lancini è famoso per le sue iniziative contro gli immigrati extracomunitari: anni fa mise una taglia sui clandestini, ad Adro gli extracomunitari sono  sistematicamente esclusi dai bonus per le famiglie bisognose (...insomma, una merda doc...).

Ma dalla guerra agli immigrati, la politica dell’amministrazione leghista sta virando velocemente verso la guerra contro tutti coloro che si trovano in difficoltà economiche e sociali. L’esempio della mensa scolastica è lampante. La maggior parte di bambini esclusi è di origine straniera, ma non sono stati risparmiati i bambini italiani.
 
Spesso alle spalle hanno già il dramma della crisi economica e della perdita del lavoro dei genitori. Oppure solo una vita complicata, come nel caso di Ilaria Poli, la cui figlia che frequenta la quinta elementare è tra gli esclusi: «Cresco da sola tre figli - spiega - Ho sempre pagato, ma spesso in ritardo. Va anche detto però che a Adro la mensa si paga in anticipo: ti risarciscono se il bambino non frequenta». Pur avendo un reddito basso, Poli paga il massimo della retta (100 euro al mese) perché non è residente a Adro, ma in un paese vicino. In pratica sconta la volontà della giunta leghista di negare ogni supporto ai non residenti, pur essendo italianissima. Ad Adro la signora lavora, ci vive sua madre, e per questo ha iscritto sua figlia in quel Comune, pur essendo «straniera». Stamattina accompagnerà sua figlia a scuola: «Le ho parlato, ha sofferto per questa situazione. Ma a scuola andrà comunque. Non ci possono sbattere fuori».

 

domenica 4 aprile 2010

La "Posta" di Pasqua: ecco com'è stata risolta l'emergenza-rifiuti in Campania

Caro Tafanus,

mi permetto di scriverti questa mail perché vorrei che si ristabilisse LA VERITA' spesso negata sul problema rifiuti in Campania, che è tutt'altro che risolto. Io, in Campania purtroppo ci vivo, con tutte le controindicazioni che questo comporta, alla lunga, per la salute [...]

La gente deve sapere come siamo REALMENTE messi qui (io sarei il primo a felicitarmi se le cose stessero davvero come dicono i TG, visto che ci abito, ma purtroppo NON E' COSI'). Di seguito troverai 3 link ad altrettanti, brevi articoli de "Il Mattino" di Napoli, che non è certo un giornale di sinistra o antiberlusconiano! (E' edito da Caltagirone, grosso costruttore romano). Vi troverai la voce dei lettori, disperata e senza alcuna censura. Infine, troverai 2 allegati: una foto presa ieri sera, sotto casa mia, e un file da aprire in Google Earth (cui si fa riferimento in uno degli articoli).

Fai circolare. Il tutto ti richiederà solo 10 minuti del tuo tempo: fallo per favore, se ami la verità. Ti ringrazio molto per l'attenzione. Un cordiale saluto.

Stefano Oriani

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"Finita" l'emergenza rifiuti?
http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=94972&sez=NAPOLI

L'appello disperato di un padre di Terzigno (dove sorge, ovviamente, un'ennesima discarica)
http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=96281&sez=NAPOLI

Mappa delle discariche attorno a Napoli
http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=95525&sez=NAPOLI&ssez=DITELOALMATTINO

Infine, ciliegina sulla torta, la foto scattata ieri sotto il mio palazzo: nota con quale accuratezza e serietà venga fatta la raccolta differenziata.... la campana del vetro è stracolma da settimane, e la gente, ovviamente, accatasta le buste col vetro per terra, non potendo fare altro! Mi si obietterà che ci sono anche alcune bottiglie di plastica e sacchetti dell'umido: è vero, alcune persone da noi sono un po' incivili, ma è anche un segno di protesta, perché essendo qui tutte giovani coppie, si erano abituate rapidamente a fare la differenziata (questo va detto!), finché non ci siamo resi conto che è solo (un'ennesima) colossale presa in giro!

Monnezza-pasquale-napoli

Ricordi la legge fatta da Berlusconi sull'abbandono di rifiuti nocivi per le strade della Campania? Nessuno a farla rispettare... com'era ovvio in Italia. Così, ogni mese fioccano sui marciapiedi vecchi televisori CRT fracassati (unico segno tangibile della silenziosa rivoluzione che porta sempre più LCD nelle case degli italiani). Ma ci sono anche altre motivazioni. Un esempio personale: giorni fa volevo dismettere un piccolo fornetto microonde che mi si è rotto dopo 10 anni di onorato servizio. Ho chiamato il "Servizio" raccolta ingombranti: tra 4 mesi vengono a prenderlo!!! Io aspetto disciplinatamente e mi tengo l'ingombro in casa, ma fino a che punto si può biasimare chi ha un vecchio elettrodomestico più ingombrante (TV, frigo, lavatrice....) e non vuole/può tenerselo sul gobbo tutto questo tempo???

Tafanus: Ricciardi inchioda Meloni in Aula: “Ma cosa festeg...

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