lunedì 30 gennaio 2012

Vent'anni dopo, Milano ricomincia: dalla Baggina, Pio Albergo Trivulzio. Dove la storia ebbe inizio col "mariuolo" Mario Chiesa

Raccomandazioni per le assunzioni, appalti agli amici, affitti di favore. Vent'anni dopo Mario Chiesa, nel Pio Albergo Trivulzio regna ancora il malaffare. E in tutta la Lombardia le inchieste si moltiplicano
(Inchiesta di Fabrizio Gatti - l'Espresso)
 
Pio-Albergo-TrivulzioIl cuore di Milano batte giusto a metà strada tra il Duomo e la periferia. Via Marostica 8, una palazzina nascosta dagli alberi, cinque piani di scartoffie e vetrate. Da quassù, dietro le grandi finestre della direzione, amministrano l'assistenza ai nonni della città. E che gran cuore hanno. Nella sede dell'istituto Pio Albergo Trivulzio non si occupano più soltanto di anziani da ricoverare o curare a domicilio. Vent'anni dopo Mani Pulite, lo scandalo dilagato proprio da questi uffici, un posto lo trovano pure ai giovani. Inutile sperarci, però. Perché non capita a tutti. C'è ad esempio il laureato in legge ingaggiato per 17.280 euro dall'istituto come "supporto alla consulenza e ricerca in materia legale". Insomma, un consulente alla consulenza. Scaduto il primo contratto, l'hanno arruolato una seconda volta per altri 51.840 euro come esperto di "diritto informatico, processo civile e telematico". Combinazione, è anche un candidato del Pdl trombato alle comunali del 2011. Ed è amico di Stefano Pillitteri, assessore nella giunta di Letizia Moratti, nipote di Bettino Craxi e figlio di Paolo Pillitteri, lo storico sindaco mandato a casa vent'anni fa proprio dallo scandalo di Tangentopoli. Ma queste ovviamente sono soltanto coincidenze.

Come è una casualità il legame con la famiglia La Russa. Ignazio, il potente ras della destra milanese, nonché ministro della Difesa uscente, nella casa di riposo ha un cognato primario e un nipote medico. E può decisamente contare sulla simpatia di un altro giovane cresciuto nel vivaio: il direttore del dipartimento tecnico, l'ufficio che gestisce l'immenso patrimonio di appartamenti e affitti. Un manager che al Trivulzio ricorderanno a lungo. Perché insieme con il direttore generale ha gestito il bando e la vendita di uno dei gioielli più prestigiosi. "L'Espresso" ha scoperto che due interi palazzi di proprietà pubblica sono così finiti a una società di Andrea Bezziccheri, 44 anni, l'imprenditore fedele a don Luigi Verzé, indagato con l'accusa di avere svuotato le casse dell'ospedale San Raffaele e della sua fondazione. Raccontano che il giorno del rogito, il direttore generale del Trivulzio, Fabio Nitti, 60 anni, e il manager che non dispiace a La Russa, Alessandro Lombardo, 37 anni, sono tornati in ufficio e hanno brindato all'affare. Non si sa ancora chi abbia fatto l'affare, però. Il Trivulzio o la banda del San Raffaele? La Procura ha aperto una nuova inchiesta [...]

La cricca alla milanese è un modo di vivere che arraffa ciò che può. Non appena può. Un posto di lavoro. Una promozione. Un contratto. Come a Reggio Calabria. Come a Napoli. E il Pio Albergo Trivulzio, di tutto questo, continua a essere un modello. Nonostante la presunzione leghista al grido di Roma ladrona. Nonostante il cambio del consiglio di amministrazione, rinominato lo scorso anno dopo lo scandalo di Affittopoli. Nonostante l'aria nuova portata dalla vittoria in Comune di Giuliano Pisapia. Nonostante le inchieste della procura. Cambiano le bandiere. Ma i dirigenti restano. Gli stessi nomi con cui l'attuale presidente, Laura Iris Ferrero si prepara a coprire il buco di 14,8 milioni del bilancio 2011. E qualche speculatore già si frega le mani. Perché il piano deliberato prevede la vendita entro cinque anni di immobili per altri 68 milioni. Ecco allora cosa si incontra nella tana della parentopoli lombarda. Porta dopo porta. Ufficio dopo ufficio. Coincidenza dopo coincidenza.

Si può cominciare dall'avvocato Alessandro Nicotra, 41 anni, l'amico di Pillitteri jr. Nella primavera 2011 Nicotra è tra i candidati del Pdl al consiglio di zona Romana. Ma non è più l'anno buono di Silvio Berlusconi. L'avvocato prende appena 62 voti. E resta disoccupato. Che combinazione, però. Il 5 settembre, poco tempo dopo la delusione elettorale, Rossana Coladonato, direttrice del personale del Trivulzio, firma un bando per un "incarico libero professionale" con "procedura comparativa". Cioè niente concorso. Si valutano semplicemente i curricula presentati. Questa volta non cercano un semplice laureato in giurisprudenza, come nel 2009 quando Nicotra ottiene il contratto di "assistente alla consulenza". Vogliono un esperto di "diritto informatico, processo civile e telematico". Una figura così singolare che evidentemente non si riesce a trovare tra i 1.457 dipendenti dell'istituto. Il bando scade a mezzogiorno il 16 settembre. Dalla firma alla chiusura sono meno di dieci giorni di pubblicazione. Alessandro Nicotra non solo riesce a saperlo in tempo. Il suo curriculum, inutile dirlo, è l'unico che soddisfa i desideri del capo del personale. Preso. Anche se per il momento non ha modo di sfoggiare pubblicamente la sua preparazione in informatica. Nei convegni organizzati dal Trivulzio, gli hanno chiesto di parlare di questioni un po' più vicine all'esperienza degli anziani. Temi come questo: "L'evento caduta: profili definitori, dimensioni e impatto del fenomeno".

Soltanto i bene informati partecipano ai concorsi. Il sito Internet dell'istituto pubblica tutto, certo. Ma a volte con qualche errore che esclude gran parte dei concorrenti. Come succede nel luglio scorso: per tutto il mese il bando per un addetto alla gestione del patrimonio rurale risulta scaduto il 27 giugno 2011. E in agosto, quando è ormai trascorso il termine, la data viene corretta: le domande andavano presentate entro il 27 luglio 2011. "Un errore, certo. Ma in questo modo", osserva l'avvocato del lavoro Domenico Tambasco, "tutti quelli che avrebbero potuto partecipare al bando in luglio non si sono presentati perché ritenevano fosse già sorpassato. Quante altre volte è successo?". Sui numerosi contratti da liberi professionisti al Trivulzio, l'avvocato Tambasco ha presentato un esposto all'Ispettorato del lavoro. "Abbiamo documentato il caso di un dipendente qualificato come lavoratore autonomo con l'obbligo di rispettare il codice deontologico del proprio ordine professionale senza che lo stesso sia mai stato iscritto a un albo, abbia mai aperto una partita Iva o emesso una sola fattura. E tuttavia con il compenso mensile erogato attraverso una busta paga nella quale veniva configurato ora come co.co.co, ora come lavoratore a termine".

L'elenco dei consulenti riempie 14 pagine. Una finestra sulla grande famiglia del Pio Albergo Trivulzio. Ennio La Russa, il nipote, fa il medico con un contratto a ore per 33.840 euro l'anno lordi. Il direttore del servizio di Odontoiatria, Domenico Virgillito, 61 anni, è il cognato dell'ex ministro della Difesa. Il responsabile economico finanziario, Battista Laselva, 285 mila euro spalmati su cinque anni, praticamente paga lo stipendio alla figlia, Valentina Laselva, fisioterapista, 24.224 euro l'anno. Un altro bando se l'è aggiudicato Alessandra De Nicola, figlia dell'assessore provinciale alle Infrastrutture e leader delle campagne contro gli immigrati senza casa, Giovanni De Nicola. Altri invece la famiglia se la sono portata tutta dentro. Come il consigliere di zona Pdl in servizio nel settore sanitario e la figlia impiegata all'ufficio timbrature. L'addetto ai sistemi informatici, la moglie assunta in ragioneria e il fratello in amministrazione. Il rappresentante sindacale impiegato all'ufficio presenze, la moglie in corsia e la compagna del figlio al museo dell'istituto. C'era anche il figlio fino a qualche tempo fa, ma ha chiesto il trasferimento in un altro ente. E ancora. L'mpiegato dell'ufficio contratti e il padre primario ora in pensione. I due geometri, fratello e sorella, che si occupano delle manutenzioni. Il loro collega del dipartimento tecnico sotto lo stesso tetto con la ex moglie e la nuova compagna. La portinaia con il marito infermiere. L'addetto alla sicurezza e la sorella impiegata in accettazione. La segretaria della direzione e la mamma agli affari generali. Più che un'azienda, è un condominio. Forse è per questo che quando l'ambulatorio per i servizi esterni è lievitato verso i 140 dipendenti, nessuno se n'è accorto. Il 10 per cento del personale. Tutti in ambulatorio [...]

Altro buco nel bilancio del Trivulzio, gli inquilini che non pagano l'affitto. Ci sono i pensionati e le famiglie che non arrivano a fine mese con lo stipendio. Ma c'è anche qualche vip. L'elenco consegnato lo scorso anno al Comune dopo la denuncia di affittopoli è infatti incompleto. Mancano le note sui crediti che a dicembre 2010 raggiungono un totale di 5 milioni 659 mila euro. Uno scandalo nello scandalo. "l'Espresso" ha potuto leggere la lista completa aggiornata a settembre 2011. Ecco il caso di Chiara Dell'Utri, figlia del senatore Marcello, che abita con il fidanzato Simone Ferrari in un bel palazzo di piazza Mirabello 5: 83 metri quadri, 12.951 euro di affitto all'anno, 2.418 di spese e 15.472 euro di arretrati. È scritto nelle note: "18.01.2011 contattato Ferrari Simone convivente con la Dell'Utri perché a oggi risultano non pagati 2, 3 e 4 trimestre 2010 più conguaglio 2009... Ha detto che controlla e paga nelle prossime settimane. 02.02.2011 a oggi non risulta nessun pagamento, su sullecitazioni ricevute risollecitare telefonicamente. 02.03.2011 ha pagato parzialmente. 18.04.2011 altro pagamento parziale. 08.06.2011 Ferrari ha mandato una mail per conoscere il debito totale che salderà nei prossimi giorni. Monitorare".

Altro caso, altra nota: "Ha chiamato il segretario dell'assessore al Bilancio del Comune Beretta chiedendo delucidazioni", è scritto riferendosi all'assessore della giunta Moratti. Perché l'inquilino "si è rivolto all'assessore per chiedere una mano". Almeno c'è chi come Simone Ferrari gli arretrati li salda a rate. Ma c'è anche chi per non pagare se ne va in Svizzera. Come gli amministratori della società Angel Medical. Al Trivulzio arrivano ben accolti dall'allora presidente, il chirurgo Emilio Trabucchi. Organizzano corsi di aggiornamento proprio in alta chirurgia. Se ne sono andati a Lugano lasciando 145 mila 723 euro di affitto da saldare. A fine 2011 il procedimento è ancora aperto. Come risarcimento la direzione generale conta di comprare le apparecchiature abbandonate nelle aule. Altri 18 mila euro da sborsare. Quegli strumenti, secondo la società di leasing proprietaria, non valgono di più.

Le procedure di sfratto in vista della vendita dei palazzi del Trivulzio sono già cominciate. Ogni mattina nel quartiere Ponte Nuovo, via Gherini 5, Anna, dipendente di una mensa scolastica, 700 euro al mese, due figli minorenni, si sveglia con il terrore che tocchi a lei uscire di casa. Gliel'hanno già annunciato. Sentenza esecutiva. Qualcuno deve pur pagare per tutti.

Da Tangentopoli ad Affittopoli - Le pietre miliari
 
IL MARIUOLO. In principio è stato Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, e primo arrestato di Mani Pulite il 17 febbraio 1992. Ha ammesso che si pagavano tangenti su tutte le forniture e gli appalti della cosiddetta "Baggina", l'istituzione pubblica milanese che assiste gli anziani, soldi in parti girati al Psi. Chiesa è stato condannato a 5 anni e 7 mesi di reclusione per corruzione, concussione e turbativa d'asta, pena che ha finito di scontare con i servizi sociali. Ha restituito 6 miliardi di lire. Un filone delle indagini riguardò la svendita degli immobili - appartamenti spesso in zone centralissime, frutto soprattutto di donazioni - a prezzi di favore in cambio di mazzette.

AFFITTOPOLI. Subito dopo l'arresto di Mario Chiesa cominciarono a trapelare i nomi degli inquilini che avevano affittato case del Pio Albergo Trivulzio a equo canone, con prezzi irrisori rispetto al mercato. Appartamenti di 200 metri quadrati come quello di Antonio Simone, democristiano di area ciellina, assessore alla Regione Lombardia. Tre anni dopo si scopre l'elenco di cinquemila inquilini nelle case di proprietà del Comune di Milano, del Pio Albergo Trivulzio e delle Istituzioni di assistenza e beneficenza (Ipab). Moltissimi pagavano addirittura meno della tariffa equo canone per abitare di fronte al Duomo. O non pagavano proprio e ai raccomandati non veniva contestata la morosità.

IL VIZIO CONTINUA. L'ultima affittopoli scoppia a febbraio 2011 con la pubblicazione dell'elenco degli appartamenti a canoni stracciati. Sono 1.064 gli alloggi del Pat in affitto per un guadagno annuo di 7,3 milioni di euro. Tra gli inquilini ci sono ex segretari di partito, onorevoli, consiglieri comunali, giornalisti, parenti e amici dei potenti: l'ex etoile Carla Fracci; il direttore del Milan Braida; Piero Testoni, parlamentare Pdl e nipote di Francesco Cossiga. La figlia di Salvatore Ligresti, Giulia che occupa con il suo marchio di moda Gilli tre locali nella centralissima via della Spiga. Nella lista anche Cinzia Sasso, moglie dell'allora candidato sindaco Giuliano Pisapia, che da tempo aveva disdetto il contratto con il Pat.

(di Fabrizio Gatti - l'Espresso)

I sondaggi che appaiono e scompaiono dal sito di "Radio Panzania Libera"

Ricevo da Filippo.e pubblico:

La spaccatura fra la base leghista e i vertici del partito esiste oppure o è un'invenzione mediatica? I fischi che sabato piazza Duomo ha riservato a Bossi erano proprio per il Senatur, oppure (come dice Renzo) c'è stato un problema di sincronizzazione fra audio e video e i fischi erano rivolti a Monti?

E' tempo di dilemmi, in casa Lega. Nelle ultime ore a chiarire qualche dubbio ci aveva pensato Radio Padania Libera. O meglio, gli ascoltatori delle frequenze leghiste. Subito dopo la manifestazione di sabato, infatti, la radio aveva deciso di lanciare un sondaggio on line sul proprio sito. Domanda secca: «Cosa ne pensi dei primi mesi di attività del governo Monti?».

Un quesito che, seguendo quello che è il pensiero del partito, non avrebbe dovuto lasciare scampo all'attuale premier. Del resto la Lega è, ad oggi, il più grande partito d'opposizione. E Bossi non nasconde, un giorno sì e l'altro pure, il malcontento verso questo esecutivo.

Invece il risultato era stato sorprendente. Oltre l'80% dei votanti (su 5493 voti) s'era detto favorevole a Mario Monti. Il 71,1, addirittura, si diceva «molto soddisfatto». I delusi erano circa il 3%. Gli «arrabbiati», invece, il 12,9.

Un giudizio che lasciava poco spazio ai commenti. E che forse evidenziava in modo netto, se i numeri hanno ancora un senso, la divisione fra la base del partito e chi sta al timone. Ma il sondaggio non si trova più. E in Rete la notizia già spopola sui social media. Sulla home page del sito non ve n'è traccia. Sparito. L'area sondaggi, nella side bar sinistra, è completamente vuota. Chi ha conservato il vecchio link può tentare di accedere, ma ormai riceve solo un messaggio d'errore. La pagina è sparita, ma noi abbiamo la pagina di quando ancora la sveglia redazione di Radio Patania Libera non s'era accorta del patatrac...

Nota finale esilarante: il ramarro locale Matteo Salvini (uno dei leghisti più raffinati e intelligenti) si è affrettato a precisare che a votare erano stati sono provocatori "de sinistra". E così Matteo Salvini (professione "ospite") ha trovato il modo di attribuire una paternità certa ai voti online. Il click con DNA incorporato. Tafanus

martedì 24 gennaio 2012

La tragedia della Concordia: gli ufficiali incastrano Schettino e la Costa Crociere

Concordia
Come volevasi dimostrare. Gli interrogatori degli ufficiali smontano le ultime tesi di Schettino e della Costa. L'idiozia dell'inchino era una pratica laggarmente nota, praticata, autorizzata, e a volte addirittura concordata con l'armatore, quando non addirittura sollecitata, a fini di marketing. E, contrariamente a quanto sostenuto non solo da Schettino, ma anche da conduttori TV acritici o prezzolati, e da pasdaran della Costa inviate nelle trasmissioni TV pomeridiane di "approfondimento", dopo l'urto non c'è stata alcuna manovra brillante del Capitan Codardo per portare la nave ad adagiarsi mollemente sul bassofondo. Semplicemente, la nave non manovrava.

Questa tesi l'abbiamo smontata fin dal primo momento in cui si è accertata l'entità dei danni. Abbiamo scritto fin dalle prime ore (e lo rivendichiamo con presuntuoso orgoglio) che una falla di ben 70 metri sotto il galleggiamento allaga in tempo reale la sala macchina (dove sono alloggiati anche i generatori), e in un attimo si fermano i motori, non c'è più elettricità (si sono fermati bel 116 ascensori e - abbiamo aggiunto - non poteva che fermarsi anche la timoneria idraulica). Solo dopo abbiamo saputo che nell'urto i timoni erano rimasti danneggiati e bloccati nell'ultima posizione determinata dalla volontà umana (e cioè la disperata virata a destra, un attimo prima di andare per scogli).

Ma la cosa è di per se irrilevante. A bassa velocità i timoni di una nave non funzionano. La nave si governa solo coi motori, come sa qualsiasi diportista. I timoni sono talmente piccoli, che a bassa velocità non spostano di un millimetro la rotta di una nave. Quindi l'eroico e bravissimo capitano non aveva alcuno strumento per fare nessun tipo di virata. Né brillante, né cretina. La nave è andata sul bassofondo portata dall'abbrivio, dall'inerzia, dalle correnti, dal grecale e dal culo. Finisce così, miseramente, l'ultimo mito: quello del capitano super-efficiente che con abile e tempestiva manovra salva la vita a 4200 persone.

Come di può vedere dal video, ricavato dai dati AIS, la nave, dopo l'urto, prosegue in abbrivio, diminuisce di velocità fino a fermarsi, gira praticamente su se stessa, e dopo, in balìa della brezza e delle correnti, scarroccia (non naviga, visto che fra la rotta percorsa e l'asse della nave c'è un angolo di circa 70/80 gradi), per finire la sua ultima corsa sulle secche.

Ed ecco un estratto dell'ultimo articolo di Bonini e Mensurati su Repubblica:

"Inchini al Giglio nelle ultime 3 crociere" - Gli interrogatori dei collaboratori del comandante confermano che l'accostamento era previsto fin dalla partenza, e che dopo l'incidente non ci fu nessuna "brillante manovra"
(di Bonini e Mensurati - Repubblica.it)
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GROSSETO - I verbali di interrogatorio degli ufficiali in plancia della Concordia documentano definitivamente, ammesso ce ne fosse ancora bisogno, che sulla notte di venerdì 13 gennaio almeno tre verità possono essere definitivamente date per acquisite:
  • la prima: la nave partì da Civitavecchia (come del resto lo stesso Schettino racconta) sapendo di dover "inchinare" al Giglio, e la manovra si trasformò in una catastrofe in una ponte comando ridotto a platea domestica.
  • la seconda: dopo l'impatto con il granito dell'isola, non ci fu nessuna "brillante manovra" per avvicinarsi a terra. La nave, ingovernabile, andò alla deriva spinta dal Grecale e dalla rotazione impressa dalla disperata manovra di emergenza per evitare la collisione.
  • la terza: Schettino fu messo nelle condizioni di comprendere immediatamente la gravità di quanto era accaduto. E ciò nonostante ritardò di oltre un'ora l'ordine di "emergenza generale", prima. Di "evacuazione", poi.

"Vieni qui che inchiniamo" - Al pm Stefano Pizza che la interroga il pomeriggio del 14 gennaio, Silvia Coronika, terzo ufficiale in coperta, racconta: "Quella notte ero di guardia in plancia. Il comandante, a circa 4 miglia dal Giglio, è salito sul ponte e ha disposto quasi subito l'inserimento della navigazione manuale. "Perché - disse - bisogna eseguire un'accostata a dritta".

L'accostata era stata prevista da Schettino sin da prima della partenza da Civitavecchia ed annotata sulla carta nautica e registrata sul sistema di navigazione integrato (...) Il comandante voleva avvicinarsi per fare l'inchino. Cioè per salutare da più vicino il comandante Palombo che abita al Giglio. Ha manifestato questa sua intenzione a Simone Canessa, l'addetto alla cartografia. Di questo sono certa. Sul ponte di comando, il comandante gli disse: "Vieni qua, che dobbiamo tracciare una rotta per passare vicino al Giglio e fare un inchino"". Del resto, non è una prima volta, come riferisce Alberto Fiorito, ufficiale addetto alla sala macchine, ai pm Giuseppe Coniglio e Maria Navarro. "L'inchino non viene fatto sempre, ma parecchie volte. Sicuramente, le ultime tre volte nella tratta Civitavecchia-Savona, è stato fatto".

"Manovra? Solo confusione e panico" - Ricorda ancora la Coronika: "Le persone presenti sul ponte di comando al momento dell'accostata, salite con Schettino e non preposte ai servizi di navigazione, disturbavano le manovre con un conseguente calo di attenzione. Erano presenti, tra gli altri, il maitre (Antonello Tievoli ndr.) e l'hotel director Manrico Giampetroni (il sopravvissuto ritrovato tre giorni dopo il naufragio e di cui il presidente del senato Schifani ha voluto omaggiare nei giorni scorsi "l'eroismo" ndr.), che continuava a chiedere "Che isola è?"".

Alle 21.42, l'impatto, che la Coronika vede dalla plancia. Pochi minuti dopo, la prima bugia di Schettino, che lei ascolta distintamente: "La capitaneria di porto ci chiese se ci fossero problemi a bordo e il comandante ordinò all'ufficiale preposto alla radio di dire che c'era solo un black-out. Ci chiesero se avevamo bisogno di assistenza e quello rispose: "Al momento, no". Non ricordo, a quel punto, se il comandante avesse dato qualche ordine. Andava da una parte all'altra della plancia per il panico". Nessuna manovra per mettere in salvo la nave e i suoi passeggeri, dunque. Che, come si voleva far credere, sarebbe stata miracolosamente condotta con il solo timone, la forza della corrente e "l'effetto perno" delle ancore [...]

"Acqua in sala macchine" - Sostiene Schettino che gli ci volle del tempo per verificare la gravità di quanto era accaduto. Che, nei suoi conciliaboli con Roberto Ferrarini, marine operator di Costa, il problema era quello di evitare di essere "sad and sorry". Di anticipare, senza ragione, l'evacuazione della nave.

Bene, racconta Alberto Fiorito ai pm. "Tutto si mise a tremare. Ho capito che avevamo preso qualcosa. Scendendo la rampa del ponte B, nei locali del generatore di prora, ho aperto la porta e ho visto lo squarcio nella fiancata della nave. E l'acqua che entrava... Nel giro di due minuti era già tutto allagato. Ho aperto la porta del quadro elettrico generale, ma c'erano già quasi due metri d'acqua. Giuseppe Pillon (altro ufficiale in sala macchine ndr.) mi ha chiesto di aspirare. Ma era già tutto sommerso d'acqua e le pompe non giravano. Le porte stagne erano chiuse e Pillon parlava con il ponte. Abbiamo contato che cinque locali erano allagati e sappiamo che la nave può reggere fino a tre locali allagati".

Pillon conferma i ricordi di Fiorito e aggiunge un dettaglio cruciale: "Ho dato la situazione al comandante Schettino. Gli ho detto che sala macchine, quadro elettrico e zona poppiera della nave erano allagate. Gli ho detto che avevamo perso il controllo della nave. Che al suo interno c'era un pezzo di scoglio. A volte ho parlato con il comandante, altre volte con un altro ufficiale". Che aspettava Schettino? Parlava con Ferrarini di Costa. Forse preoccupato, come lui, di essere "sad and sorry".

mercoledì 18 gennaio 2012

...che culo, Gastone Schettino!...

Gastone-paperone...capitani si diventa, ma fortunati si nasce. Esattamente come Gastone Paperone. I fatti: Il Capitan Schettino nasce "Gastone". Pensate! Mentre, sulla sua nave che continua ad inclinarsi, è eroicamente impegnato, con sprezzo del ridicolo, ad aiutare vecchi, donne, bambini, invalidi - ma anche giovani e belli - a salire sulle scialuppe di salvataggio, mette un piede in fallo, scivola, cade all'interno di una scialuppa, e non fa neanche in tempo ad uscire dalla scialuppa che... zac!... qualche inesperto marinaio cingalese vara la scialuppa, e Gastone Schettino si ritrova, suo malgrado, in salvo, a terra.

Non riuscirà più a risalire a bordo, nonostante i pressanti e maleducati inviti del Comandante della Capitaneria di Livorno, che ignora quali sforzi - sovrumani quanto inutili - Gastone Schettino stia facendo, da unora, per risalire a bordo...

Ed ora vediamo come si sarebbero svolti i fatti se ad essere coinvolto fosse stato Capitan Paperino:

Paperino...Paperino tenta di salvarsi, mollando a bordo trecento donne, vecchi, invalidi e bambini; strappa un salvagente ad una vecchina, butta fuori dalla scialuppa due bambini per farsi posto, ed ordina perentoriamente il varo della scialuppa ad un marinaio cingalese. La scialuppa tocca l'acqua, ma proprio mentre Paperino crede di essere in salvo, mette un piede in fallo, scivola, cade in acqua dalla scialuppa. In quel momento un'onda improvvisa spinge la scialuppa contro lo scoglio incastrato nella nave, Paperino rimane schiacciato fra la scialuppa e lo scoglio, ed assume lo spessore di una soglioletta dell'Adriatico. Standing ovation dalla scialuppa.

...naturalmente è solo un sogno... Purtroppo!...

 

giovedì 12 gennaio 2012

Il fascismo e la democrazia di plastica (di don Aldo Antonelli)

Marcuse-herbert"In America oggi vedo l'eredità storica del fascismo. Il fatto che i campi di concentramento, gli omicidi, le torture avvengano fuori della capitale (e per lo più vengono affidati a sicari di altre nazionalità) non cambia niente dell'essenza"!

Così scriveva Marcuse ad Horkheimer in una lettera del 17 giugno 1967. Questa citazione mi è tornata a mente leggendo l'articolo che vi allego. Nulla di nuovo per me, che nessuna sirena è riuscita mai ad incantare.

Nessuno scandalo per me che dietro le bollicine della CocaCola vedo solo sangue raggrumato e che le parole di plastica della propaganda dollarizzata non hanno mai "colonizzato".

Davanti al paradosso americano della contraddizione tra gli ideali rumorosamente sbandierati e gli interessi concretamente perseguiti si pone, oggi più che mai, una questione di fondo: come arginare una potenza mondiale che si pone al di fuori delle regole che valgono per gli altri Stati e che ha il potere (economico emilitare) di farlo?

Martin Luther King, due mesi prima di essere ucciso, nel 1968, ebbe a denunciare gli Stati Uniti come "Il maggior esportatore di violenza al mondo". Lui, americano....

E George Bernard Shaw: "L'America è l'unica nazione passata dalla barbarie alla decadenza senza attraversare la fase della civilizzazione"!

Aldo Antonelli

giovedì 5 gennaio 2012

Cortina d'Ampezzo, la Gomorra delle Dolomiti

Al generone di Cortina d'Ampezzo abbiamo già dedicato un post, ma crediamo che il taglio dato all'argomento da Francesco Merlo meriti tutta la nostra attenzione. Un imperdibile pezzo di bravura, tratto dal suo blog:

Merlo-francescoTutti abbiamo pensato che fosse un esorcismo e invece il diavolo a Cortina c’è per davvero. Al punto che ora si può anche ridere a crepapelle  davanti a quel battaglione di suv guidati da nullatenenti, e sono maschere comiche le finte precarie con le pellicce, il colbacco, gli zigomi puntellati  e i labbroni di botulino. L’agenzia delle entrate ha insomma scoperto che Cortina  è la sola città  del mondo dove i disoccupati hanno tutti la carta oro dell’American express.

E’ stato infatti accertato che a Cortina i ristoratori dichiarano sino a trecento volte meno di quel che realmente incassano, i commercianti di beni di lusso quattrocento volte meno, i baristi il 40 per cento in meno, e i proprietari di suv, denunziando  un massimo di trentamila euro l’anno, non guadagnano abbastanza soldi per comprare l’auto che possiedono e non si possono permettere neppure di fare il pieno.

E se si leggono i verbali dell’ agenzia delle entrate si apprende che questi ‘tartassati di Cortina’ somigliano ai leggendari lestofanti del contrabbando dei tempi d’oro. Tutti come don Masino Spadaro che sostituiva l’acqua benedetta  dentro le statuine della Madonna di Lourdes con il cognac e beccato alla frontiera esclamava: "mih, miracolo fu!"

Purtroppo però c’è poco da ridere ed è  anche meglio trattenere l’indignazione. E’ soprattutto in questi momenti che bisogna ragionare. Cortina come metafora, direbbe Sciascia, ci aiuta a capire infatti il nostro vero problema: in Italia sono i furbi a fare classe dirigente e non importa che si tratti di capitani di industria o di leader politici, di protagonisti della vita sociale o di anonimi commercianti o ancora di direttori generali o sconosciuti ricchi di vario genere. Da Cortina arriva la conferma di tutti i pregiudizi sull’Italia che non riesce ad essere moderna perché è il Paese dell’illegalità diffusa, il Paese dove è sempre vero che a pensar male ci si azzecca sempre.

Questa retata tributaria infatti non è stata quel peccato di polizia politica che molti avevano denunziato e, tra loro, improvvidamente anche  il comandante della Finanza di Belluno. Certo, è vero che lo Stato e questo governo rischiano di trasformare la pressione fiscale  in oppressione fiscale e di interpretare il ruolo odioso  del cerbero, del minosse, del catone, del fustigatore e del secondino. Ma si rimane di sasso scoprendo che a Cortina  si concentra davvero l’Italia che non paga dazio, l’Italia senza il biglietto che mai farà patto con lo Stato, mai prenderà da sé la decisione  di onorare le tasse almeno in tempo di crisi, che sarebbe al tempo stesso una confessione e un perdono, un amen, un ite missa est con una previsione di introito per lo Stato alla voce “recupero evasione”.

Attenzione: questa di Cortina non è l’Italia dei consumatori distratti che vanno sempre di corsa dal bar all’ufficio, dal panettiere all’ ortolano e trattano gli scontrini fiscali come coriandoli di cartuzze  che finiscono nei taschini e nei portafogli, biglietti di carta che somigliamo a un vestito di ferro. Né questa di Cortina è l’Italia che si arrangia e arrotonda con la piccola illegalità, non i vecchietti in nero, i sopravvissuti del boom economico che si davano da fare in tutti i modi e mai si fidavano dello Stato che era ancora quello dell’otto settembre, del privilegio sbracato e dell’ingiustizia di classe, non i piccoli esercenti e gli ambulanti del Sud, i meccanici, i venditori senza licenza con la casetta abusiva e sanata.

A Cortina c’è invece l’Italia ricca che sempre ‘fotte’ il prossimo. In una sola boutique di lusso hanno trovato merce  del valore di 1,6 milioni di euro senza alcun documento fiscale. Come si vede siamo ben oltre l’ illegalità dei mercati ambulanti di Bari e di Palermo.

Così è dunque ridotta la città del prestigio sociale e dell’incanto di natura, la città delle leggendarie feste esclusive e delle lunghe passeggiate d’autore, la città dove lo scià di Persia veniva fotografato in tenuta da sci e dove si rifugiava Gianni Agnelli, la città che fu scuola di accoglienza e di cultura alberghiera, la città delle nostre consuetudini cosmopolite.

Oggi Cortina è degradata a negozio dei negozi, passerella degli orrori, avamposto del generone romano e del peggiore brambillismo di Milano, il cafonal da rotocalco che si autocelebra nella compiaciuta volgarità del sito Dagospia, l’Italia che evade le tasse ed è orgogliosa di evaderle anche perché esiste una scuola di economisti e di pensatori vari che difende questa sua evasione come frontiera di libertà: l’individuo contro lo Stato, l’anarcoliberismo, il turbocapitalismo…

E speriamo che  adesso ci ragionino le persone per bene d’Italia su questa Cortina che è ormai più torbida della Valle dei Templi. Certo, nessun riccastro penserà mai di realizzare sulle Dolomiti una casa abusiva come ad Agrigento farebbero anche nel tempio di Giunone.

Ma Cortina è peggio. Quella è un’Italia povera che  vive di espedienti, questa è la capitale dell’ evasione spavalda, della ricchezza miserabile perché ostentata e clandestina che rischia di legittimare l’eversione latente che c’è in ciascun italiano. Cortina come cuore della dissoluzione di classe, il paradiso degli evasori, la Gomorra delle Dolomiti che giustifica tutte le altre Gomorra d’Italia, le altre Cortina d’Italia.

Pensate all’illegalità diffusa di Napoli e a quella di Cortina: Napoli è, Cortina è diventata. Napoli è l’ex capitale marginale e Cortina è la nuova capitale della truffa d’alto bordo. Napoli sta ai margini per sventura e Cortina per ventura, per scelta: stare ai margini nel senso di non farsi beccare, fuori dall’occhio.  Solo adesso si capisce  il fiasco di ‘Vacanze di Natale a Cortina’: la realtà dell’ ultima vetrina d’Italia è molto più comica e al tempo stesso più volgare di qualsiasi film dei  fratelli Vanzina. Cortina è il cinepanettone andato a male.

(dal blog di Francesco Merlo)

Dai giorni della Patonza ai giorni della Passera?

Ieri (per chi legge) ho centellinato un lungo e magistrale articolo di Barbara Spinelli su Repubblica, di cui raccomando a tutti la lettura integrale. L'articolo era quasi totalmente dedicato a Monti ed al suo stile di governo, ma ne trascrivo solo una parte, che getta una luce non piacevole sul Ministro Passera. Eccola:

Passera-corrado"...conferenza stampa di fine anno. Aprendo un dialogo con Tobias Piller, corrispondente a Roma della Frankfurter Allgemeine Zeitung, il Premier ha fatto una piccola lezione sui tempi lunghi e corti in politica, biasimando l'incapacità tedesca di ritrovare la veduta lunga del passato. Ci vuole coraggio per firmare le proprie parole, parlando-vero. Chi lo possiede non ha la vita facile, deve esser cauto se non vuol ricadere nel parlar-falso. Alcuni barcollano, tra chi sta accanto a Monti. Per esempio il potente ministro Passera (responsabile dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture, dei Trasporti). Nei giorni scorsi è inciampato malamente, su un caso rievocato dalla stampa: segno che la parresia latita nei partiti, ma un po' anche nel governo.

Il caso è la mancata vendita di Alitalia e il suo presunto salvataggio: è una delle grandi menzogne dell'era Berlusconi, e su questa pietra Passera ha incespicato. Criticato da Milena Gabanelli e Giovanna Boursier (Corriere della Sera, 30-12) ha replicato: "L'operazione Nuova Alitalia fu del tutto trasparente e rispettosa delle regole, comprese quelle della concorrenza. Con capitali privati si sono salvati almeno 15 mila posti di lavoro, ed è stato drasticamente ridotto l'onere che lo Stato avrebbe dovuto sostenere se fosse avvenuto l'inevitabile fallimento dell'intera vecchia Alitalia".

Ricordare è forse difficile per Passera, ma Monti certo sa come andarono le cose. È vero che l'operazione Fenice salvò posti di lavoro e ridusse, per lo Stato, i costi di una bancarotta. Ma il fallimento non era affatto inevitabile. Il governo Prodi aveva stretto un accordo con Air France, che fu sabotato  -  complici i sindacati - dall'alleanza fra Berlusconi e l'odierno ministro dello Sviluppo (allora amministratore delegato di Banca Intesa). Formalmente è vero che furono rispettate le regole della concorrenza. Ma solo perché il governo Berlusconi modificò con un decreto ad hoc le norme antitrust relative alla tratta Milano-Roma, consentendo a Alitalia-AirOne di ottenere il monopolio su tale rotta.

Le cifre parlano chiaro, e un governo che dice il vero non può occultarle. Il piano francese prevedeva 2.120 licenziamenti. Nuova Alitalia, assorbendo la fallimentare AirOne di cui Banca Intesa era creditrice, ne licenziò 7.000. L'integrazione con Air France sarebbe stata ben più benefica: minori costi per lo Stato (per i contribuenti), minori costi per azionisti e obbligazionisti Alitalia, nessun cambiamento "in corsa" delle regole per favorire cordate italiane, inserimento di Alitalia in una promettente rete internazionale.

In tempi di crisi, la parola del parresiasta si accosta a quella profetica, o del saggio. I tempi s'allungano, il futuro lontano è incorporato come compito nel presente, la scadenza elettorale non è il cannello d'imbuto che inchioda i governanti alla veduta corta ma è un uscire all'aperto di cittadini bene informati.

Milena Gabanelli e Giovanna Boursier hanno chiesto a Passera di liberarsi dei suoi ingombri. Ma alla domanda viene da aggiungere: guardi al Presidente del Consiglio, signor Ministro, al suo linguaggio. Esca non solo dai conflitti d'interesse, ma dalle tante bugie dette ai cittadini: la bugia su Alitalia l'hanno pagata gli italiani, come contribuenti e lavoratori. La pòlis ha bisogno di verità, sugli sbagli di ieri. La pòlis ha bisogno di verità, sugli sbagli di ieri. Un ministro del governo Prodi parlò-vero, all'inizio del 2008, quando disse che "avevano ripreso sopravvento gli impulsi di autodistruzione presenti nella società italiana e nella classe politica", e criticò proprio l'offensiva pregiudiziale di Passera contro l'accordo Air France. Passera è un tecnico, non meno di Monti. Non basta esser tecnici per liberarci della malapolitica che ci ha portati nella fossa..."

Cosa aggiungere d'altro? due sole considerazioni:

-a) ma c'erano, in Alitalia, 15.000 persone da licenziare, senza il provvidenziale accordo fra Berlusconi ed AirOne???

-b) la Spinelli parla del mettersi di traverso dei sindacati, ma forse è meglio ricordare che fra i sindacalisti colui che si mise maggiormente di traverso fù il "mite Bonanni", lo stesso che in queste settimane ha fatto quei miserevoli walk-around contro Monti, in stile Capezzone d'antan. E lo stesso che con Angeletti andava a cena di nascosto a Palazzo Grazioli.

Che Dio ce la mandi buona. Tafanus

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