sabato 24 marzo 2012

Dove si narra di Francesco Rutelli, di Luigi Lusi, de "l'Espresso", e di conti che non tornano

Con le minacce di querele a l'Espresso, "er cicoria" non ha messo a tacere il settimanale. Tutt'altro. L'Espresso ha raccolto la sfida di Rutelli, e ha fatto un giro fra bilanci alquanto strani o assenti, strani giri di danaro, dichiarazioni non fatte (o non pervenute alla Camera)... Insomma, sfidare l'Espresso non è stata la migliore idea di Rutelli degli ultimi 5 anni... Ecco cosa ha scoperto (e cosa NON ha scoperto) l'Espresso....

Espresso
I conti della politica: Rutelli smentisce Rutelli. Il leader dell'Api sui soldi da Lusi: tutto regolare. Ma i bilanci dicono altro
(di Primo Di Nicola e Emiliano Fittipaldi - l'Espresso)
 
Dopo aver letto la nostra inchiesta che spiegava come il tesoriere della Margherita Luigi Lusi avesse girato alla sua fondazione centinaia di migliaia di euro, Francesco Ruteli ha accusato "l'Espresso"di aver scritto "falsità" e di essersi fatto strumento "di una condotta di inquinamento e depistaggio dell'indagine" che la procura di Roma sta conducendo su Lusi, ormai a rischio arresto. "L'accusa esplicita a Rutelli è assolutamente ridicola", hanno aggiunto i suoi avvocati. "Rutelli non ha avuto personalmente neppure un centesimo dalla Margherita: ha svolto il suo incarico a titolo assolutamente gratuito".

Rutelli-lusiIl nostro giornale, però, non ha mai scritto che il senatore ha intascato soldi per suoi interessi privati. Ha spiegato che la Margherita-Dl ha girato denaro al Centro per un Futuro Sostenibile, fondazione fondata e presieduta dal leader dell'Alleanza per l'Italia (Api). Una circostanza che Rutelli ha avvalorato in seguito, spiegando di aver ricevuto non solo gli 866 mila euro scoperti da "l'Espresso", ma ben un milione e 126 mila euro. Non è tutto. Durante la conferenza stampa di giovedì 15 marzo, il senatore ha di fatto confermato ogni riga dell'inchiesta. Dai soldi alla fondazione alla vicenda dei dirigenti Api pagati ancora dalla Margherita, passando per quella dei 150 mila euro girati dal Cfs all'Alleanza per l'Italia il primo dicembre 2009. "Nessun finanziamento occulto all'Api", ha specificato, "è stata una semplice partita di giro, sono soldi che ho avuto dai miei sostenitori del Comitato Rutelli per le elezioni a sindaco di Roma del 2008. In tutto, 284 mila euro". Denaro, dice Rutelli, che gli spetta di diritto e che può spendere politicamente come vuole. "Una partita di giro documentata, tracciabile, fino all'ultimo centesimo".

Rutelli ha ripetuto la sua versione in più di due ore di conferenza stampa, ha inondato di dichiarazioni le agenzie, è intervenuto nel programma di Lucia Annunziata ("Ho spiegato tutto, dal primo all'ultimo centesimo, i soldi non li ricevo li do, amo i temi dell'ambiente, vuole che quereli anche lei? Ora non mi rompete più le palle", ha chiosato alla conduttrice di "Mezz'ora" che cercava di fargli domande sulla fondazione). "Se avessi detto cose false, sarei una persona disonesta, ma ho detto cose vere. Quanti dovrebbero dimettersi in un Paese dove tanti giornalisti scrivono fregnacce?". Ma sono esatte le cose dette da Rutelli?

Rutelli-annunziataCaccia al tesoro. Andiamo con ordine. La notizia principale rivelata da "l'Espresso", i soldi che Lusi ha girato alla fondazione di Rutelli, è un fatto. L'ha ammesso Rutelli in persona. Anche i 150 mila girati dal Cfs all'Api sono un fatto. Il senatore li ha giustificati come "giroconto", ma non ha consegnato nessun documento ai giornalisti che confermasse l'asserita tracciabilità dell'operazione. Ha però detto che la cifra era trasparente, addirittura "già presente nei bilanci". "L'Espresso" ha analizzato il bilancio dell'Api 2010 e le dichiarazioni congiunte alla Camera dei deputati, dove devono risultare tutti i versamenti ai partiti superiori ai 50 mila euro con i nomi dei soggetti coinvolti, la data e l'importo del contributo. "Tutti i finanziamenti risultano nella contabilità dell'Api, tutti", ha ripetuto fino allo stremo Rutelli. Il quale ha aggiunto che l'Api non ha fatto il bilancio nel 2009, dunque i 150 mila "penso che figurino nel bilancio 2010... sono sotto la voce "altri proventi", se lo vada a guardare, lo scoprirà". "L'Espresso" ha seguito l'invito. Ebbene: dei 150 mila euro che arrivano dalla cassa della fondazione non c'è traccia. Nessuna evidenza del contributo nemmeno nelle dichiarazioni congiunte depositate dall'Api alla Camera.

Partiamo dal bilancio. La voce "altri proventi", intanto, non esiste. Nel conto economico 2010 dell'Alleanza per l'Italia (che vanta proventi per 951.888 euro) ci sono cinque poste in attivo. Oltre ai "proventi da attività editoriali, manifestazioni e altre iniziative" (169 mila 787 euro: qui i contributi da una fondazione non ci possono stare), vengono annotate le entrate delle "quote associative" (253.310 ), i rimborsi elettorali (194.490), le contribuzioni da persone fisiche (47.500 euro) e quelle da persone giuridiche, ben 286 mila 800 euro. Che i 150 mila di Cfs siano in questa posta? Sfogliando il rendiconto si scopre che la voce è costituita quasi per intero dai contributi dei gruppi parlamentari, quello dei deputati (140 mila euro) e quello dei senatori (93 mila 900). Il totale fa 234 mila euro, restano da attribuire i 52.800 euro mancanti. Minutaglie: si tratta, spiega il bilancio, "di una serie di contribuzioni di soggetti diversi inferiori al limite di legge di 50 mila euro". Morale: i 150 mila versati dal Cfs nel dicembre 2009 nel bilancio 2010 dell'Api non ci sono.

Anche la ricerca nelle dichiarazioni congiunte alla Camera risulta vana. Alla Tesoreria di Montecitorio, infatti, l'Api nel 2009 non ha dichiarato nulla. Per il 2010 ci sono solo i 234 mila euro ricevuti dai gruppi parlamentari. Per il 2011 - sorpresa - ci sono invece altre somme ricevute da Cfs: in tutto 127 mila euro relativi a due versamenti per "servizi locativi" (61.194 euro) e per "acquisto e messa a disposizione di servizi per il 5 agosto 2011" (altri 66 mila euro). Solo una dimenticanza? Sta di fatto che la mancata dichiarazione dei 150 mila euro alla Camera rischia di provocare grattacapi seri a Rutelli. La normativa che regola le dichiarazioni congiunte prevede pesanti sanzioni per coloro che non la rispettano: l'omissione dell'obbligo comporta una multa da due a sei volte l'ammontare del contributo non dichiarato, sia per l'erogante (in questo caso Cfs) che per il ricevente (l'Api). Cioè per entrambe le creature predilette dell'ex leader della Margherita.

Poco ambiente, tanti soldi. Passiamo, ora, al Cfs. "L'Espresso" ha visionato tutti i bonifici tra il marzo del 2009 e il luglio del 2011. Non solo. Ha ottenuto anche il bilancio consolidato del Cfs del 2010. Sappiamo che il Centro presieduto da Rutelli ha avuto dalla Margherita oltre un milione di euro in totale. Altri soldi li ha ricevuti dal Comitato Rutelli 2008 (in tutto 284 mila euro, usati poi per l'attività politica dell'Api), altri ancora (150 mila nel 2009) dalla defunta associazione Cento Città, di cui Lusi era tesoriere (a proposito, sarebbe interessante sapere se i vecchi soci di Cento Città - da Ermete Realacci a Massimo Cacciari - fossero a conoscenza dell'esistenza di una cassa ancora attiva e di questa elargizione). Ora, come ha speso la fondazione di Rutelli tutti questi denari? "Ho destinato fondi a un'attivita bella come l'ambiente, un tema che mi appassiona da anni! Non dico che mi dovreste elogiare, però...", ha detto in tv. "Rutelli non ha mai riscosso un centesimo per il suo impegno, al contrario contribuisce economicamente alle attività: nel 2012 ha finora versato un contributo personale di 2.500 euro", hanno chiosato i suoi avvocati. "L'attività del Cfs come vedete dal sito è venuta crescendo negli anni", ha aggiunto ancora il presidente dell'Api in conferenza stampa [...]

Barbara-palombelliE l'affitto chi lo paga? Dopo quanto raccontato non è difficile ribadire che il Cfs e l'Api sembrano - per usare un eufemismo - due entità molto, molto vicine. Anche perché le sole uscite importanti dal forziere del Cfs, le cui casse sono rimpinzate quasi per intero dalle erogazioni di Lusi, riguardano versamenti all'Api. Non parliamo solo dei 150 mila euro giustificati da Rutelli come una sorta di giroconto di vecchi contributi elettorali. Ogni mese, a partire dal dicembre 2009, la fondazione paga 5 mila euro ai fratelli Alberto e Domenico Giusti De Marle, proprietari degli uffici dell'Api nel centro storico di Roma, a largo di Fontanella di Borghese. "Chi paga la sede del'Api? Alleanza per l'Italia", ha sussurrato Rutelli in risposta alla domanda di una giornalista. In realtà, i bonifici visionati da "l'Espresso" raccontano un'altra, strana storia. I proprietari della sede dell'Api vengono infatti pagati direttamente dal Cfs. La fondazione, a partire da giugno 2010, ha poi praticamente subaffittato all'Api, che restituisce la pigione alla fondazione di Rutelli. Ecco spiegati i 34 mila euro della voce "sublocazione" dentro il bilancio 2010 del Csf. Ecco perché nelle dichiarazioni congiunte (del 2011) risulta che l'Api ha avuto 61.194 euro.

Ma qual è la logica di quest'operazione? L'Api nasce nel novembre 2009 e ha un suo conto corrente ormai da anni. Perché sub-loca dal Cfs? Difficile saperlo. I subaffitti, però, sembrano una mania della famiglia Rutelli: a febbraio e marzo 2011 il Centro per un futuro sostenibile ha fatto due bonifici alla consorte del senatore, Barbara Palombelli, da 1.804 euro. La giustificazione? "Uso locali via Tacito", la strada dove ha sede la fondazione. Gli uffici sono di Federico Rossi di Medelana, proprietario di tutto il palazzo, che ha affittato - così spiegano alla fondazione - alla moglie del leader dell'Api. A sua volta, la Palombelli subaffitta al Cfs che la rimborsa. Un'altra partita di giro. "Un politico deve essere tracciabile dalla A alla Z", ha detto Rutelli in televisione. Tra partite di giro e finanziamenti border-line, però, la trasparenza non sembra granché centrata, mentre l'amore per l'ambiente è ostentato perlopiù a parole. Per quanto riguarda le accuse a "l'Espresso" di scrivere "falsità", lasciamo al lettore il giudizio finale.

domenica 18 marzo 2012

Beppe Grillo: parlo di cazzari "on stage", e trovo un non cercato, ma apprezzatissimo alleato: Eugenio Scalfari

Ancora oggi, reo di aver riportato la notizia di grillini doc che abbandonano il guru, mi sono beccato i rimbrotti di qualcuno, con argomentazioni di questo tipo: "Grillo è un cazzaro? sarà... ma che dire di quelli che hanno certificato che Ruby fosse la nipotina di Mubarak?". 

Parli di un Arcangelo Vendicatore che poi tira su qualche milione di euro all'anno sulla vendita di spillette ai gonzi e su sette anni di evasione fiscale, e la risposta qual'è? "Si, ma io vedo anche altri far soldi". E comunque mi è simpatico..."

E va bbè.... Se il fatto che Vallanzasca facesse le rapine giustifica anche la Banda della Magliana, siamo messi bene... Oggi apro (con ritardo) Repubblica, e leggo la domenicale articolessa di Eugenio Scalfari, di cui vorrei riportare pochi brani scelti. Faziosamente scelti:

Scalfari-eugenioDITO medio per lo "spread" e dito medio per il mercato. Dito medio per le banche e dito medio per la Tav. E infine dito medio per la politica, i partiti, la casta. La Repubblica parlamentare deve scomparire e deputati e senatori insieme con lei. Il popolo sovrano non delega ma decide direttamente con lo strumento del referendum. L'amministrazione sarà gestita a turno dai cittadini. Se è vero che lo Stato siamo noi, applichiamo questa affermazione radicalmente: sei mesi a rotazione di servizio volontario dietro le scrivanie dei ministeri, a tutti i livelli territoriali e gerarchici previo esame di apposite commissioni di controllo scelte anch'esse dal popolo sovrano.

Vi assicuro che non sto inventando nulla, semplicemente sto descrivendo la visione della società futura auspicata da alcuni veggenti che riscuotono un discreto consenso, specie tra i giovani, ma non soltanto. Il movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo è orientato più o meno in questa direzione; i movimenti favorevoli ai "beni comuni" anche; le varie "piazze pulite" pure, Sabina Guzzanti compresa. Il grande partito dei non votanti e degli indecisi condivide e sceglie l'indifferenza, i fatti propri e non quelli degli altri. Ma anche la falange dei corrotti e dei corruttori, anche le lobby che pullulano.

Le mafie vere e proprie no, loro sono un'altra cosa, le affiliazioni e le iniziazioni sono una cosa seria, le regole e i codici mafiosi sono fatti rispettare a colpi di lupara. I nemici però sono comuni: lo Stato, le istituzioni, la legalità. Istituzioni e Stato debbono essere occupati oppure smantellati. In realtà queste due operazioni procedono di pari passo; fino a tre mesi fa erano entrati nella fase decisiva. Ma poi, quasi all'improvviso, quella metà del Paese che aborre questo modo di pensare e di fare ha avuto un sussulto di resistenza ed è riuscita a invertire la tendenza [...]

Nella sua voglia di sintesi, Scalfari dimentica di onorare con una sua citazione un mare di cazzari in servizio permanente effettivo: si dimentica dei Piero Ricca, dei Gianfranco Mascia, dei rottamatori alla Matteo Renzi & Giorgio Gori, dei Mario Adinolfi, dei Paolo Flores d'Arcais, dei Giulietto Chiesa, dei Nichi Vendola... L'elenco sarebbe lungo, ma non si può parlare di mezza Italia.

Casini-cuffaro-rebibbiaMa andand avanti, scopro con piacere che Scalfari, pur essendo costituzionalmente un ammiratore del montismo, non lo è senza se e senza ma, "a tutto tonto": conserva la capacità di distinguere le cose buone dagli errori. E' ciò che distingue un analista politico da un acritico (ed interessato) ammiratore full-time - senza se e senza ma - alla Pierferdi Casini, impegnatissimo a tirare per la giacchetta Mario Monti (ma dove crede di portarlo, nell'UDC di Cuffaro???). Ma continuiamo con brani dell'analisi di Scalfari:

[...] Il processo è lungo e complicato, impone un grande senso di responsabilità, comporta sacrifici per tutti, può indurre in errori e in incidenti di percorso, ma l'obiettivo è di tale importanza da mobilitare tutti coloro che hanno in mente un altro destino per l'Italia e per l'Europa. Noi siamo con loro e speriamo di farcela.

Cominciamo dallo spread, parola ormai entrata nel vocabolario comune. Cento giorni fa quotava 550 punti, venerdì scorso è sceso a 275, si è esattamente dimezzato. Questo significa che i tassi d'interessi (il rendimento dei titoli) sono scesi dal 7 e mezzo al 4 e mezzo per cento. Scenderà ancora e ne avranno beneficio le imprese, la produzione, l'occupazione [...]

(Qualcuno avverta Di Pietro, Vendola, e gli inutili patani. Forse non posseggono una calcolatrice, altrimenti capirebbero che 275 punti-base in meno sulla montagna di 1939 miliardi di € di debito consolidato significano, a regime, minori costi annuali per interessi di circa 50 miliardi all'anno (o, per chi ama ancora ragionare in lire, di circa 100.000 miliardi di lire. NdR)

[...] Quanto alla politica il 6 maggio andranno a votare per Comuni e Province quasi cinque milioni di elettori. La campagna elettorale per le politiche comincerà di fatto dal prossimo ottobre. Segnalo al presidente del Consiglio un errore di valutazione da lui compiuto nell'ampio discorso tenuto ieri al convegno promosso dalla Confindustria. Ha detto che il suo governo di tecnici non deve affrontare le elezioni e questo gli consente provvedimenti impopolari.

Mario-montiDi solito c'è molta retorica su questa parola, si esalta il pregio dei provvedimenti impopolari ma il pregio non è automatico. Se si spremono i deboli oltre la tollerabilità e proporzionalmente si risparmiano i ricchi, l'impopolarità non è un pregio ma un grave errore che, se fosse commesso, potrebbe forse non interessare i tecnici ma certamente colpirebbe i partiti che li sostengono in Parlamento.

Un altro errore - di omissione ma non meno rilevante - ci sembra di aver trovato nel discorso di Monti. Riguarda il suo incontro con Marchionne. Un governo democratico e liberale non può e non deve dire al manager di un'industria privata ciò che deve fare, ma deve chiaramente dirgli ciò che non può fare. Nella fattispecie non può ledere i diritti dei lavoratori suoi dipendenti. Quei lavoratori hanno diritto di essere rappresentati in fabbrica. Si tratta di un diritto inalienabile e non può esser impunemente calpestato. Non condivido quasi nulla della "narrazione ideologica" di Landini, ma su questo punto ha piena ragione.

La riforma del lavoro va fatta e le linee fino a ieri esposte da Elsa Fornero sembrano meritevoli di consenso: flessibilità in entrata puntando soprattutto sul contratto di apprendistato, flessibilità in uscita quando vi siano ragioni economiche, possibile arbitrato d'un organo terzo che indaghi sull'esistenza di quelle motivazioni, ammortizzatori sociali che tutelino tutti i disoccupati senza eccezioni. Le tutele non possono essere eterne ma neppure troppo brevi, salvo quando il mercato del lavoro abbia ritrovato una dinamica accettabile. Ottima l'idea di concedere un indennizzo di quattro anni ai lavoratori con la pensione a quattro anni dalla scadenza. Non si parla più di una drastica diminuzione dei contratti "atipici" bisognerebbe invece tornare a parlarne.

Era in vista una "manutenzione" dell'articolo 18 limitata all'abolizione del reintegro obbligatorio del posto di lavoro lasciando all'apprezzamento del giudice la decisione d'un congruo indennizzo. La Cgil sembra abbia mutato la sua posizione su questa materia. Se così fosse, questo sarebbe un errore del sindacato [...]

TafanusBene: su questo Scalfari non la pensa come il prode Pietro Ichino, né come qualche suo piccolo epigono in 16mo, innamorato dei vasetti di vasel(l)ina. Il moderato Scalfari giudica un errore affidare al giudizio di un pretore la scelta fra indennizzi e reintegri, che deve essere regolata per legge. Dal famigerato art. 18. Oggi la scelta eventuale di optare per un risarcimento al posto del reintegro è delegata all'autonoma trattativa fra le parti, e non, per legge, alla decisione di un pretore. Il pretore deve solo statuire se ci sia stata o meno una giusta causa per il licenziamento. Punto. Scalfari bacchetta (e fa bene) persino la Camusso, che ha dichiarato la sua disponibilità a mettere in discussione questo sacrosanto principio, senza per il momento aver avuto in cambio né cifre, né puntuali dichiarazioni d'intenti. Troppa fretta, Cara Camusso

P.S.: il nostro vasel(l)inofilo ufficiale, alla mia terza richiesta di commentare il dato che finora il reintegro ha riguardato solo lo 0,0003% dei lavoratori all'anno, mi chiede: "ma allora, se i numeri sono questi, perchè c'è tanto accanimento da parte del governo e della confindustria sul tema dell'art. 18"?

Caro giuslavorista della mutua, non deve chiedere a me. Deve chiedere a chi si è incanaglito su questa battaglia idiota. Prima Sacconi, Berlusconi e la Marcegaglia, adesso Monti, la Fornero e la Marcegaglia. Con Sacconi abbiamo perso un anno a parlare di questa minchiata, adesso si mette sulla stessa strada il governo Monti-Fornero, appoggiato senza neanche sapere perchè da "porgitori di seconda chiappa". Io non posso che dare un consaiglio alla Marzullo: "Si faccia delle domande, si dia delle risposte, e poi fuori dai coglioni". Tafanus.

 

lunedì 12 marzo 2012

Dell'Utri: Si può essere collusi con la mafia anche senza essere "pungiuti"? E se il reato di "concorso esterno" non esiste, perchè tanta gente è in galera per concorso esterno?

DellUtri01Dunque, secondo la Suprema Corte è "inammissibile" il ricorso della Procura di Palermo che si appella per chiedere una pena superiore ai sette anni alla quale una sentenza d'appello condanna Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Leggere quanto scritto dal PG Francesco Iacoviello genera un senso di vertigine. Iacoviello derubrica il reato di concorso esterno in "un reato autonomo, in cui nessuno crede". Di grazia, Iacoviello, spiegherebbe anche a noi cosa significa questa frase? Ma diamo un piccolo estratto delle perle giuridiche di Iacoviello:

Per il procuratore generale Iacoviello "l'accusa non viene descritta, il dolo non è provato, precedenti giurisprudenziali non ce ne sono e non viene mai citata la sentenza "Mannino" della Cassazione, che è un punto di riferimento imprescindibile in processi del genere" (...insomma, per assolvere Dell'Utri del PdL, si deve citare e accettare che faccia giurisprudenza la "sentenza Mannino" del PdL. Mi viene in mente il famoso dipinto "I ciechi" di Breughel: l'uno si appoggia all'altro, e segue senza farsi domande, e senza sapere dove stia andando.

Iacoviello si pone delle domande: "Chiedo alla Corte: esiste il ragionevole dubbio? Nessun imputato ha più diritti di altri e nessun imputato ha meno diritti di altri". "La sentenza impugnata sostiene l'esistenza del reato di concorso esterno in associazione semplice fino al 1982, poi parla di concorso esterno in associazione mafiosa fino al '92”. E rivolto alla Corte : “Nessuno ha mai sostenuto una tesi del genere, voi sareste i primi". Il concorso esterno in associazione mafiosa, secondo Iacoviello, "è diventato un reato autonomo" in cui "nessuno crede. Io ne faccio una questione non a favore dell'imputato, ma a favore del diritto". Il pg ha voluto, invece, sottolineare che il ricorso della procura di Palermo "non è conforme agli schemi del ricorso per Cassazione, perché è fatto per episodi, non per motivi" (come il 99,9% dei ricorsi per Cassazione. La Legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale. NdR).

Inoltre, il ricorso è incentrato sul "vizio motivazionale". La "realtà giuridica - ha osservato - è che il ricorso per vizio motivazionale presentato dal pubblico ministero deve essere accolto solo in casi eccezionali. Se lo presenta il difensore, viene accolto nel caso in cui si dimostri il ragionevole dubbio, se lo presenta il pm, questo deve dimostrare che l'ipotesi alternativa resta al di sotto del ragionevole dubbio". (Con tanti saluti al principio della parità fra accusa e difesa. Qualcuno ricorda l'ignobile proposta del Governo Berlusconi, che voleva concedere alle difese il diritto ad appellarsi contro le condanne in primo grado e in appello, ma voleva vietare alla pubblica accusa di appellarsi contro una sentenza d'assoluzione in primo grado? Non era magnifica? NdR)

Gaspare-spatuzzaDell’Utri era stato condannato dal Tribunale di Palermo l'11 dicembre 2004, a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa perché l'accordo con la mafia e, in particolare, con i fratelli Graviano, era stato ritenuto provato anche dopo il 1993. Secondo la Procura di Palermo rappresentata da Antonino Gatto, i giudici di appello, che avevano ridotto la pena a 7 anni, avevano dato scarsa rilevanza alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza che, nelle sue dichiarazioni, aveva parlato di un vero e proprio "patto tra Cosa Nostra e Forza Italia". Un giudizio non condiviso dalla Procura della Cassazione. I legali di dell’Utri avevano chiesto l’assoluzione: "I giudici di Palermo sono stati assediati da una Procura che, a ogni costo, voleva provare quello che non si poteva provare e hanno finito con lo scrivere una sentenza che contiene solo acrobazie".   (Agenzia "Il Velino")

Ma il concorso esterno esiste o non esiste? e comunque lo si voglia definire, il problema principale resta il seguente: Dell'Utri è stato o meno organico agli interessi mafiosi? Ha dato una mano? si è servito della mafia? la mafia si è servita di lui? Questo, caro Iacoviello, dovrebbe essere il tema, non se la sentenza di condanna e l'appello della procura abbiano o non abbiano citato la sentenza Mannino, che soffre esattamente della stessa malattia che rende inaccettabili le sue parole. Il formalismo contro la sostanza. L'Italia ricorda ancora il lavoro immane di alcuni maxi-processi vanificato da un giudice dal cognome carnascialesco, magari per vizi veniali di forma (una firma messa su una riga sbagliata, ed altre amenità di questo genere).

Abbiamo dato voce, nel dirimere questa sottile questione, a due giornali di opposta tendenza: Il Fatto, e Il Giornale. A coloro che    volessero farsi un'idea personale su chi sia Dell'Utri, in calce suggeriamo tre libri d'inchiesta sull'argomento. Libri che invano i diretti interessati hanno tentato - con tutti i mezzi - di far sparire dalla circolazione. Ricorsi legali (respinti) e addirittura - sembra - acquisti massicci, nelle librerie e nelle edicole, dei libri in questione. Ecco, quei libri esistono, non ne è stato ordinato il ritiro dal mercato, e l'editore non è stato condannato. Vorrà dire qualcosa. O no?

Strage-capaci     Strage-viadamelio
Capaci                                                                Via D'Amelio

Mafia, il concorso esterno esiste. Decine di condanne, non solo eccellenti (Il Fatto)

Dopo l'annullamento della sentenza contro Marcello Dell'Utri, si riapre il dibattito sul reato "inventato" da Falcone e Borsellino. Che ha portato a pene definitive per decine di colletti bianchi collusi con Cosa Nostra e per diversi politici siciliani. Ma anche a processi controversi. Il dibattito spacca anche la magistratura

Pino Giammarinaro fu assolto perché una norma provvidenziale introdusse l’obbligo per i pentiti di ripetere in aula le accuse, Filiberto Scalone (An) e Gaspare Giudice (Forza Italia) vennero assolti in appello dopo una condanna in primo grado, Calogero Mannino (Dc) ha fatto scuola per la Cassazione: la sua sentenza restringe notevolmente l’ambito di applicazione del reato. E dc sono anche gli unici politici a pagare con una condanna definitiva, Franz Gorgone ed Enzo Inzerillo.

Assoluzioni, ma anche molte condanne, da Bruno Contrada e Ignazio D’Antone, a decine di professionisti. Negli anni ’80 era il reato dei colletti bianchi, nell’Italia mafiosizzata di oggi è l’imputazione dei potenti: sono indagati per 110 e 416 bis, tra gli altri, il presidente del Senato Renato Schifani, l’ex ministro Saverio Romano, a Palermo, e a Catania l’editore Mario Ciancio. ”Utile, ma complicato”, come dice il procuratore di Palermo Pietro Grasso, il concorso esterno lo hanno inventato Falcone e Borsellino a metà degli anni ’80, e fu subito polemica tra procura e ufficio istruzione: i pm parlarono di mera contiguità, i due magistrati uccisi nel ’92 lo ritennero un termine inadeguato per descrivere il rapporto tra i boss e la società civile "che conta" e nell’ordinanza del maxiprocesso posero le basi per la nascita del concorso esterno in associazione mafiosa: medici, ingegneri, architetti, avvocati e naturalmente politici collusi con le cosche avevano trovato una sanzione penale dall’unione di due articoli, 110, concorso di persona nel reato, e 416 bis, associazione mafiosa.

Schifani1Da trent’anni il concorso esterno è al centro di una guerra di religione tra due culture giuridiche, risolta, finora, dalla Cassazione, in favore dell’esistenza, e dell’applicabilità, di questa fattispecie: se nel ’94, la sentenza Demitry aveva limitato ai casi di sola "emergenza", e quindi anormalità, della vita dell’associazione criminale la possibilità di riconoscere un “concorso esterno”, nel 2002 le Sezioni Unite scrissero nella sentenza sul giudice Corrado Carnevale, annullata senza rinvio: “Conclusivamente deve affermarsi che la fattispecie concorsuale sussiste anche prescindendo dal verificarsi di una situazione di anormalità nella vita dell’associazione’’. Parole autorevoli sia per chi le ha pronunciate, sia per la qualità dell’imputato, in attesa di essere confermate o smentite dalle motivazioni del verdetto di annullamento del processo Dell’Utri.

Ma se l’esistenza, fino a oggi, del 110 e 416 bis è stata progressivamente accettata e confermata, l’ambito della sua applicabilità ha scatenato gli scontri più accesi tra i pm e le fazioni politico-giudiziarie ultragarantiste e persino all’interno degli stessi uffici giudiziari, divisi sulla valutazione in caso di imputati eccellenti: in disaccordo con i colleghi il pm Gaetano Paci lasciò il processo Cuffaro avviato verso un’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia. Sostenne che se al postino delle informazioni riservate sulle indagini antimafia, l’ex assessore Mimmo Miceli, si applica il concorso esterno, alla fonte – Cuffaro – non si può applicare un reato minore [...]

Eppure gli stessi fatti sono stati qualificati come reato dalla Cassazione, che ha considerato, per esempio, la candidatura di Mimmo Miceli come frutto di un accordo politico-mafioso con il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. La domanda finale investe uno dei nodi delle inchieste in corso: quell’accordo (e dunque l’accordo politico-mafioso, ove provato) costituisce favoreggiamento alla mafia, come già stabilito dalla Cassazione, oppure qualcosa di diverso e più grave?

Questo il parere del"Fatto". Ma per il Geniale il concorso esterno non è reato. E' solo una birichinata... Solo nel titolo, però. Perchè nel corpo dell'articolo qualche dubbio sorge anche al giurista consultato dal Geniale:

"Ecco perché il concorso esterno non è reato" - L’intervista a Paolo Pittaro, esperto di diritto penale (di Emanuela Fontana - Il Giornale)
 
Professor Paolo Pittaro, il sostituto procuratore generale della Cassazione Iacoviello, nella sua requisitoria precedente l’annullamento della sentenza Dell’Utri, ha dichiarato che al reato di concorso esterno in associazione mafiosa non crede più nessuno. È un’esagerazione?
«Personalmente credo che questa frase abbia un fondamento».

Il concorso esterno è un reato che è un «non reato»?
«È un reato che soffre di una certa dose di indeterminatezza. Parlare di un concorso esterno è difficile e quasi contraddittorio. Come può esistere un concorso se il soggetto non fa parte dell’associazione? A meno che non ci sia un favoreggiamento, ma in relazione a ogni singolo reato».

Il pg Iacoviello, sempre nella sua requisitoria, ha accusato i pm di Palermo e i giudici della corte d’Appello che hanno gestito il caso Dell’Utri di non aver mai fatto riferimento alla sentenza Mannino. Cosa significa?
«La sentenza Mannino sostanzialmente dice che non basta che un politico al momento dell’elezione esprima una certa vicinanza, o una disponibilità a esponenti mafiosi per configurare un concorso esterno. Deve esserci stato un contributo concreto da parte del politico. Deve aver fatto qualcosa per tenere in piedi l’associazione. Deve esistere un nesso di casualità e non solo di contiguità. E questo contributo concreto deve essere provato al di là di ogni ragionevole dubbio. Questo è il punto fondamentale a mio parere della decisione della Cassazione di annullare con rinvio la sentenza Dell’Utri».

Altrimenti, per dire, anche Frank Sinatra sarebbe potuto essere accusato, per il solo fatto di avere amici mafiosi. (...qui siamo alla domanda con risposta incorporata... NdR)
«Le cattive amicizie sono moralmente condannabili ma giuridicamente devono avere delle prove. Il soggetto deve aver fatto qualcosa di specifico a favore dell’organizzazione».

Il concorso esterno quindi è ormai contestabile da molti punti di vista?
«È un reato creato dalla giurisprudenza e non dalla legge. La prima obiezione che molti muovono è se possa esistere il concorso esterno senza iscrizione all’associazione: il concorso o c’è, o non c’è, o si deve parlare di favoreggiamento, ma per delitti singoli. Il secondo, se il reato associativo è permanente, ossia dura nel tempo, come fa a essere compatibile con un contributo sporadico? Essendo poi un delitto, tutto deve essere supportato dal dolo, ovvero deve esserci stato un contributo per tenere salda l’associazione».

Ma anche qui servono le prove.
«Il pentito è una fonte notevole di prove, ma che deve essere suffragata da altre prove. Le indicazioni devono essere confermate. Questo non vale solo per il concorso esterno».

Crede sia giunto il momento di annullare o di rivedere questo reato?
«La mera disponibilità, l’appoggio che non si concretizza, non può allargarsi alla fattispecie del reato. Ho forti perplessità sul concorso esterno, è un problema di garanzia per i cittadini, un discorso di legalità che non riguarda solo i politici. Oppure diamo una formulazione diversa al concorso, con determinati criteri definiti dal legislatore».

Queste le posizioni sul "concorso esterno". Ma se questo reato non esiste, quelli che sono in galera per concorso esterno potrebbero chiamare in giudizio lo Stato per sequestro di persona... O no? Ma nella sostanza, i rapporti di Dell'Utri (funzionali, non solo di imprudente amicizia), sono ben documentati e provati nei libri citati all'inizio di questo articolo (editi dalle Edizioni Kaos), di cui forniamo i sommarietti:


Dossier-dellutriDOSSIER DELL’UTRI - Prefazione di Gianni Barbacetto - Il testo integrale della requisitoria dell’accusa al processo di Palermo a carico di Marcello Dell’Utri, condannato per concorso in associazione mafiosa.

«Il ruolo e la posizione di Marcello Dell’Utri rispetto all’organizzazione mafiosa, le sue relazioni, la sua posizione di garante degli interessi mafiosi negli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, con particolare riferimento al gruppo Fininvest... Fatti obiettivi e concrete condotte dell’imputato, sviluppatesi nell’arco di un trentennio a partire dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, condotte che hanno costituito un contributo più che significativo al consolidamento e al rafforzamento di Cosa nostra, così da agevolarne il perseguimento delle sue finalità criminali...

Così come è stata acquisita la prova del pieno inserimento di Gaetano Cinà nell’organizzazione mafiosa, [nonché] la prova dei rapporti di Cinà con il coimputato Dell’Utri, e dei rapporti di entrambi con Vittorio Mangano e con altri elementi di spicco dell’associazione mafiosa come Stefano Bontate, Girolamo Teresi, i Di Napoli, i Citarda, Giuseppe Albanese, per arrivare fino ai Pullarà, ai Graviano, a Nitto Santapaola, a Pippo Calò, via via fino a Salvatore Riina e a Bernardo Provenzano.

Il pubblico ministero ha provato in definitiva che l’imputato Dell’Utri ha intrattenuto continuativi rapporti di complicità con Cosa nostra, organizzazione mafiosa che Dell’Utri ha favorito e dalla quale è stato a sua volta favorito nell’ultimo trentennio, e che tali rapporti si sono costituiti, consolidati e sviluppati nel tempo soprattutto per mezzo dell’imputato Gaetano Cinà...

La piattaforma probatoria del processo non è costituita da quel che la vulgata mediatica della disinformazione imperante vuol far credere, e cioè da “chiacchiere di pentiti per sentito dire”, ma da ben altro. Certamente da dichiarazioni di collaboratori (tutte puntualmente riscontrate), ma non solo. Testimonianze, intercettazioni telefoniche, risultanze relative ai dati del traffico telefonico di Dell’Utri, documenti, perfino risultanze fotografiche e filmati relativi a incontri clandestini dell’imputato Dell’Utri con soggetti destinati a inquinare le prove di questo processo...».


Dossier-manganoDOSSIER MANGANO - A cura di Lorenzo Ruggiero - Il boss mafioso Vittorio Mangano, stalliere nella villa ex Casati Stampa di Arcore a metà degli anni Settanta, è uno dei tanti buchi neri della biografia di Silvio Berlusconi. Un enigma mantenuto tale dalla più ferrea censura mediatica.

Questo libro ricostruisce la biografia criminale di Mangano, e risolve l'enigma della sua presenza nella villa berlusconiana di Arcore, attraverso i documenti. Anzitutto, il rapporto della Criminalpol dell'aprile 1981 «concernente il crimine organizzato imperante in Milano e Lombardia, strettamente collegato sia con quello di altre regioni italiane, e in particolare della Sicilia e della Calabria, sia con quello di oltre oceano, denominato Cosa nostra». Quindi le dichiarazioni di numerosi pentiti di mafia negli anni Novanta. Infine la requisitoria - comprensiva di riscontri, testimonianze, intercettazioni telefoniche - dei pubblici ministeri al processo di Palermo a carico di Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa (2004).


Onore-dellutriL'ONORE DI DELL'UTRI - I legami del berlusconiano Marcello Dell'Utri con Cosa Nostra, nella richiesta di rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa

1. Gli anni dal 1960 al 1973 – Dell'Utri all'Edilnord; I rapporti con la Banca Rasini; Le prime conoscenze mafiose; La famiglia Malaspina; Il lavoro presso la Sicilcassa; La seconda assunzione da parte di Berlusconi; I rapporti coi boss Vittorio Mangano e Gaetano Cinà.

2. I rapporti di Dell'Utri con Mangano, Cinà, Rapisarda e Berlusconi fino ai primi anni '80 – Le dichiarazioni dei “collaboratori di giustizia”; Lo spessore criminale di Vittorio Mangano; Le dichiarazioni di Filippo Alberto Rapisarda; La vicinanza di Dell'Utri al Mangano; Il reinvestimento dei capitali illeciti; Dell'Utri e Teresi al matrimonio di Jimmy Fauci (Londra, aprile 1980).

3. Gli investimenti – Gli interessi di Bontate e Teresi nel settore televisivo; La Trinacria Tv e la Par.ma.fid srl; La Massoneria e Bontate; Licio Gelli, Pippo Calò e gli investimenti della famiglia di Porta Nuova negli anni '80; Gli investimenti in Sardegna e l'affare “Olbia 2”; Il centro storico di Palermo.

4. Il rapporto con l'associazione mafiosa negli anni '80 – Le prime trattative per le “antenne”, e le dichiarazioni di Ganci, Anzelmo, Galliano, Cancemi, Scrima, Mutolo; Le intercettazioni telefoniche Dell'Utri-Cinà 1986-88; Lo spessore criminale di Gaetano Cinà.

5. I contatti con mafiosi e con persone “vicine” a Cosa nostra risultanti dalle agende di Marcello Dell'Utri.

6. I rapporti dei fratelli Dell'Utri con l'associazione mafiosa catanese e con il “mandamento” di Brancaccio.

 

CHI E' FRANCESCO IACOVIELLO (da PiemonteNews)

Nel 2006 riuscì a derubricare la corruzione di Renato Squillante a “intermediazione tra privati” [...] Gli apparve difficile da provare – soltanto quattro mesi fa – anche l’accusa d’istigazione alla falsa testimonianza, legata all’inchiesta sui pestaggi nella scuola Diaz di Genova, per il capo della Polizia Gianni De Gennaro, condannato in appello. Iacoviello chiese – e ottenne – l’assoluzione. De Gennaro era accusato di pressioni su Francesco Colucci, all’epoca questore di Genova, affinché ritrattasse la sua testimonianza su Roberto Sgalla, capo ufficio stampa della Polizia, arrivato alla Diaz. Per i pm che avevano svolto le indagini, comprendere se Sgalla era davvero arrivato su ordine di De Gennaro e perché, aveva un’importanza investigativa nella ricostruzione dell’evento. Iacoviello invece fu di parere opposto: “A Genova – disse, secondo un resoconto Ansa – stava succedendo il finimondo, c’erano stati pestaggi, la morte di Carlo Giuliani, mentre noi ci stiamo occupando solo di capire chi ha chiamato l’addetto stampa Sgalla”.

Renato-squillantePer quanto riguarda l’entourage di Silvio Berlusconi, poi, quella di ieri non è stata una “prima volta”. Già nel 2001 Iacoviello bocciò il ricorso dei magistrati di Milano che impugnarono il proscioglimento di Berlusconi nell’inchiesta sul Lodo Mondadori. Il sostituto pg della Cassazione commentò così: “Il parametro deve essere l’utilità di un dibattimento: il processo ha un costo umano e sociale, che può essere pagato solo se originato dal giudizio di un giudice, non dalle previsioni di un aruspice su un futuribile probatorio”.

Cinque anni dopo si occupa del processo Imi-Sir e, quindi, della condanna a sette anni per Cesare Previti e l’avvocato Attilio Pacifico, accusati di aver corrotto Renato Squillante, ex capo dell’ufficio gip a Roma, e l’ex giudice Vittorio Metta, autore della sentenza sul maxi risarcimento da 1.000 miliardi di lire che lo Stato – l’Imi – avrebbe dovuto pagare alla Sir del petroliere Nino Rovelli.

Squillante non era corrotto perché aveva “venduto” le sue sentenze, ma perché aveva offerto i propri servigi ad alcuni imputati. Iacoviello derubricò il tutto a una “intermediazione tra privati”, poi chiese la condanna di Previti e l’assoluzione di Squillante. E la ottenne.

Insomma, Squillante aveva "venduto i propri servigi", non le proprie sentenze. Ma secondo Iacoviello un magistrato che "vende i propri servigi" con è un corrotto. Quali "servigi" abbia venduto Squillante, a chi, per quanto, a che scopo, con quali risultati per gli "acquirenti dei servigi", Iacoviello non dice. De minimis non curat praetor. Tafanus

P.S.: Ho cercato invano, su Google Images, una foto di Francesco Iacoviello. Provate anche voi. Digitate Francesco Iacoviello su Google Images, e troverete tante foto di Mangano, di Dell'Utri, e dell'ingegnere nucleare omonimo... Del PG Grancesco Iacoviello, neanche l'ombra. Significherà qualcosa?

Tafanus: Ricciardi inchioda Meloni in Aula: “Ma cosa festeg...

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