mercoledì 26 novembre 2014

Renzi ha vinto: ora ha un'opposizione interna, e balla sul filo del rasoio

Bindi: si torni all’Ulivo o noi usciamo. Matteo ha deluso, è già in caduta

L’esponente della sinistra: se il Pd non cambia ci sarà bisogno di una nuova forza. Renzi? Fa il salvatore della patria come Grillo, Salvini e il Berlusconi dell’esordio (di Monica Guerzoni - Corriere.it)

La minoranza si è spaccata in tre, presidente Rosy Bindi.
«Gli obiettivi di chi ha votato no e di chi ha lasciato l’Aula, come me, erano gli stessi. Marcare la distanza netta da un provvedimento che, eliminando il diritto al reintegro, considera il lavoro come una merce».

L’indennizzo non basta?
«È un passo indietro profondo, secolare, rispetto alla dignità del lavoratore richiamata dal Papa. Oltre a non condividere il merito io ho voluto prendere le distanze dal messaggio che il premier ha costruito in questi mesi. Le sue parole hanno scavato un solco tra il governo, il segretario del Pd e il mondo del lavoro, la parte più sofferente dell’Italia. Abbiamo visto la delegittimazione del sindacato e una provocazione davvero lontana dalla situazione reale degli italiani».

Pensa che l’astensionismo nasca da qui?
«Tra Emilia e Calabria il Pd ha perso 750 mila voti. Se alle Regionali avessero votato gli stessi elettori delle Europee dovremmo dire che oggi il Pd è tornato al 30%, un numero più vicino al 25 di Bersani che non al 41 di Renzi».

L’astensionismo è ininfluente, secondo lui.
«Affermazione molto grave. L’astensionismo è un problema per la democrazia di un Paese, per il Pd e anche per il governo. Il premier ha fatto campagna in prima persona e ha lanciato dal podio dell’Emilia uno dei messaggi piu gravi quando ha detto che lui crea lavoro, mentre il sindacato organizza gli scioperi. Con le Regionali Renzi si è unito ai tanti salvatori della patria a cui gli italiani amano affidarsi, per poi sperimentare la cocente delusione».

Rimpiange Enrico Letta?
«Il paragone non è con Letta. È con Grillo, con Salvini, con il Berlusconi dei primi anni. La rottura della politica col Paese reale è profonda e sembra rimarginarsi quando gli italiani si affidano al salvatore di turno, per poi delusi andare a ingrossare l’unico partito che vince, quello dell’astensione. Il voto di domenica dimostra che è iniziata la parabola discendente, anche di Renzi».

Gufa perché rottamata?
«Sono stati rottamati 750 mila elettori in un colpo solo, non la Bindi. Questa categoria è servita a Renzi per vincere, ma ora, per continuare a governare, deve prendere per mano la povertà, le periferie, il dissesto del territorio, la crisi industriale. Chi guida i processi politici deve indicare il cammino, la speranza, e responsabilizzare tutti nella fatica della paziente ricostruzione».

La minoranza chiederà il congresso anticipato?
«Il gioco interno al Pd non interessa agli italiani, figuriamoci a me. Quel che mi interessa è che ci sia una forza politica che abbia il coraggio di ricostruire il tessuto democratico e affrontare una crisi economica sempre piu grave».

Progetta la scissione?
«Dico che questa è la funzione del Pd, se ha memoria delle origini, se non vagheggia l’idea del partito unico della nazione e se è un partito riformista, ma di sinistra. Quello sul Jobs act è stato un primo passaggio di merito, ma ora ce ne sono altri non meno importanti».

La riforma costituzionale?
«Appunto. Così è irricevibile, umilia il Parlamento e lo rende subalterno al governo».

La legge di Stabilità?
«Non può essere una mera, finta restituzione delle tasse, c’è bisogno di sostegno vero al lavoro e agli investimenti».

E l’Italicum, lei lo vota?
«Se il patto del Nazareno non ha più futuro, nessuno pensi di portare avanti quella legge elettorale con sostegni diversi in Parlamento. C’è da dare al Paese una legge che assicuri il bipolarismo, non attraverso i nominati e il premio di maggioranza al partito unico».

E se Renzi va a votare?
«Questo risultato dovrebbe farlo riflettere, non è tempo di facili ricorsi alle urne. Voglio sperare che al di là del messaggio grave, sbagliato e pericoloso che ha mandato all’Italia, Renzi abbia un momento di ripensamento serio. Spero cambi stile e accetti il confronto. E si ricordi che il segno di chi ha la responsabilità più alta è unire, non dividere».

Perché non uscite per fondare una forza alternativa, guidata da Landini?
«Se il Pd torna a essere il partito dell’Ulivo, che unisce e accompagna il Paese, non ci sarà bisogno di alternative. Ma se il Pd è quello di questi ultimi mesi, è chiaro che ci sarà bisogno di una forza politica nuova».

Una forza minoritaria?
«Tutt’altro che minoritaria, una forza di sinistra, competitiva con il partito della nazione. E allora servirà, oltre alle idee, la classe dirigente».

La sinistra fuori dal Pd non è un ferro vecchio?
«Renzi sbaglia quando si paragona al partito a vocazione maggioritaria di Veltroni, che prese il 33% e ridusse la sinistra radicale a prefisso telefonico. Quello era collocato nel centrosinistra e non ambiva a fare il partito pigliatutto. Se il Pd è quello di questi mesi una nuova forza a sinistra non sarà residuale, ma competitiva. E sarà un bene per il Paese, se non vogliamo che il confronto si riduca ai due Matteo. Sarà una sinistra riformista e plurale, ma sarà una sinistra. Sarà il Pd».

Il voto sul Quirinale sarà una resa dei conti?
«Quando dovremo confrontarci su quella scelta, spero più tardi possibile, io auspico che venga fatta ricercando l’unità del Paese. Fu un bene bocciare la riforma del centrodestra, che riduceva il capo dello

Stato a portiere del Quirinale».
Perché Renzi dovrebbe cercare un nome non condiviso?
«Ci sono molti modi per ridurre il ruolo del Colle, come rinunciare alla ricerca della personalità più autorevole per considerarla strumentale alla politica del governo. Sarà fondamentale trovare la persona che più unisce e la cui autorevolezza sia considerata indiscussa, da tutti».

La lezione di Rosi Bindi
 
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lunedì 24 novembre 2014

L'agonia della democrazia (di Piergiorgio Odifreddi)

Piergiorgio-odifreddiLa democrazia sta agonizzando, colpita a morte dal populismo di Matteo Renzi  (di Piergiorgio Odifreddi)

Nella rossa Emilia Romagna, una volta feudo della sinistra, il 62% degli elettori ha disertato le urne per l’elezione del governatore, percependo lucidamente che il rito del voto sarebbe stato solo una farsa. E il nuovo governatore, eletto con meno del 50% dei votanti, non rappresenta dunque che un quinto degli elettori.

Invece di rendere nulla la votazione, come si sarebbe fatto per un referendum, e affidare temporaneamente la regione a un commissario, la legge elettorale “maggioritaria” permette comunque all’usurpatore di insediarsi e prendere il potere assoluto per cinque anni. Se ad andare a votare fossero stati solo in tre, sarebbero bastati due voti in tutto per governare: visto che questa è la democrazia, tanto vale appunto starsene a casa.

Da parte sua, il premier Matteo Renzi esulta per la “netta vittoria”. In fondo, lui al governo c’è arrivato addirittura senza nessun voto popolare, e forte (o meglio, debole) di un’elezione per la segreteria del partito nella quale aveva ottenuto meno di due milioni di voti: cioè, meno del 4% degli elettori per le politiche, che dovrebbero essere quelli preposti a dare un mandato per il governo, appunto. Ancora una volta, se questa è la democrazia, tanto vale starsene a casa.

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Eppure, dal presidente della Repubblica in giù, tutti auspicano leggi elettorali ancora più maggioritarie e meno democratiche di quelle esistenti, che già rendono appunto il processo elettorale una farsa. A che pro andare a votare e sporcarsi le mani, quando comunque il potere viene usurpato e abusato? E, soprattutto, perché mai diventare complici dell’ennesimo gerarca che nasce socialista e governa da fascista, sul triste esempio di Mussolini, Craxi e Berlusconi?

Queste domande gli elettori onesti e di sinistra dell’Emilia Romagna se le sono poste, e hanno dato la loro risposta rimanendo a casa. E’ un segnale forte, che ci auguriamo un giorno possa essere ricordato come il primo passo di una reazione popolare crescente che arrivi a travolgere un intero modo di intendere la democrazia. E a rottamare l’intera classe politica, a partire dai falsi rottamatori.

Piergiorgio Odifreddi 

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domenica 23 novembre 2014

La figa al potere: un disastro sociale (del prof. Marco Zurru)


Certo è che ostentare la figa – la bella figa s’intende – a modello di rappresentanza degli italiani è cosa ormai sedimentata nel paese. E’ che prima capitava in un’arena diversa, quella dove volavano le bustine gonfie di euro dopo pompini serviti come dessert in “eleganti cene”. Ma tant’è… l’isomorfismo è tragicamente pervasivo, ingloba tutto, anche l’idiozia che del genere fa schermo e non scherno, altare e ostia sconsacrata, miope distanza rispetto alla sostanza della politica, quella che già Platone e Aristotele individuavano nel “bene comune”.

Ora, cosa ci sia di rappresentativo nel modello del far politica al femminile proposto da questa signorina “bravissima” e bonissima – perché due colpi (anche quattro, a dire il vero) glieli darebbe chiunque – proprio non lo capisco. Non è che tutti i maschi perdono la testa, la bussola, e l’orizzonte etico dei propri desideri e delle proprie necessità di fronte ad una bella figa.

Possono certo arrossire se sono timidi. Possono incespicare nell’incedere verbale perché molto timidi. Possono veder crescere le dimensioni del proprio “pacco” a destra o a sinistra del jeans (a seconda di dove “riposi” l’attrezzo). Possono anche gonfiarsi di suadenti capacità seduttive. Possono fare un sacco di cose, anche molto scabrose.

Ma che cazzo c’entra questo, che cazzo c’entra la figa con la buona politica?

Marco Zurru


Marco-zurru
Marco Zurru

Marco Zurru, l'autore di questa filippica contro le "scorciatoie" verso il potere attraverso strumenti diversi dal merito e dalle conoscenze, è professore di Sociologia presso l'Università di Cagliari. E' uno degli autore di "sardegnablogger.it", e per questo suo post finirà probabilmente sotto inchiesta nella sua Università.

Al netto da alcuni termini attaccabili, condivido in pieno l'attacco di Marco Zurru nella sua sostanza. Sarebbe ora di "cambiare verso" alla politica che seleziona le future classi dirigenti in base alla presunta "figaggine", al numero di sedute mensili dall'estetista, al tasso di servilismo. Ridiamo dignità alla politica. Mandiamo a casa i boy-scouts e i topi d'oratorio.

Tafanus

Credits: ringrazio Giuseppe Abis per avermi segnalato questo episodio.

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sabato 22 novembre 2014

Ezio Mauro chiosa "Le parole sbagliate" di Matteo Renzi, ma Renzi non ci sta

Questo post si potrebbe tranquillamente intitolare "Ezio Mauro e Matteo Renzi: l'arte della sintesi, e quella della logorrea"

TafanusIniziando dalla forma piuttosto che dai contenuti: ieri Ezio Mauro scrive due paragrafetti non proprio laudatores indirizzati a Matteo Renzi. Titolo "Parole sbagliate". Lunghezza complessiva del conciso (e inconfutabile) scritto di Ezio Mauro: 161 parole.

Non passano 24 ore, e un piccatissimo Matteo Renzi, malato di logorrea, risponde con un lettera aperta indirizzata a Mauro, alquanto meno concisa: 161 parole Ezio Mauro, 1073 parole Matteo Renzi. Rapporto: una parola di Mauro contro sette del logorroico. Diceva (se non erro) G.B.Shaw, che "chi usa venti parole per esprimere un concetto che può essere espresso in 5 parole, andrebbe incarcerato". Noi non siamo così drastici, ma tuttavia concordiamo sul principio. Chi si arrampica su un Everest di 1073 parole per ribattere a due paragrafetti  di quattro righe ciascuno, ha urgente bisogno almeno di un corso di recupero alla CEPU.

Andiamo in ordine cronologico, partendo dal "telegramma" di Ezio Mauro:

Mauro-ezio
La Sintesi

"Parole sbagliate" (di Ezio Mauro)
        
Un conflitto sull'articolo 18 è comprensibile, ed era anche prevedibile. Il linguaggio con cui il presidente del Consiglio tratta la Cgil è invece molto meno comprensibile. È vero che Susanna Camusso lo considera un personaggio dell'Ottocento, subalterno ai padroni, abusivo a sinistra. Ma il premier  -  mentre annuncia a parole rispetto per chi dissente  -  dileggia il sindacato, banalizza le ragioni della protesta, svaluta insieme con lo sciopero una storia legata alla conquista e alla difesa di diritti che tutelando i più deboli contribuiscono alla cifra complessiva della democrazia di cui tutti usufruiamo.

La domanda è sempre la stessa: che idea ha il segretario del Pd della sinistra che guida? Un partito che voglia parlare all'intera nazione deve ospitare culture diverse al suo interno e tocca al leader  -  mentre decide  -  garantire loro spazio e legittimità. Sapendo che prima o poi si voterà, e i suoi avversari non saranno Camusso e Landini, ma Berlusconi e Verdini. Quando se ne accorgerà?

Ezio Mauro

E questa la logorroica e piccata risposta di Matteo Renzi l'Infallibile:

Renzi-brufoli-denti2
La Logorrea


Ecco la mia sinistra: sta con i più deboli e non ha bisogno di esami del sangue -"Ho rivendicato l'appartenenza del Pd alla famiglia socialista europea. Per me parlano i miei comportamenti" (di Matteo Renzi)

Caro Direttore,

Repubblica mi chiama in causa personalmente. Mi chiede quale sia la nostra idea di sinistra che rivendico, ad esempio, quando parlo della riforma del lavoro. Come lei sa, non da ora, sono tra quelli che hanno favorito e accelerato la fine dell'era del trattino. Quando non si poteva pronunciare la parola sinistra senza premettere qualche prefisso per attenuarla, quasi a prendere le distanze. Ho sempre rivendicato, con fierezza ed orgoglio, l'appartenenza del Partito democratico alla sinistra, alla sua storia, la sua identità plurale, le sue culture, le sue radici. Per questo ho spinto al massimo perché il Pd, dopo anni e anni di dibattito, fosse collocato in Europa dove è adesso, dentro la famiglia socialista della quale oggi, grazie al risultato delle ultime elezioni, è il primo partito con oltre 11 milioni di voti. Questo per dire che nei comportamenti concreti, nelle scelte strategiche, il Pd sa da che parte stare.

Dalla parte dei più deboli, dalla parte della speranza e della fiducia in un futuro che va costruito insieme. Non credo sia il caso qui e ora di discutere di pantheon e di storie, ognuno ha i suoi riferimenti, le persone che ci hanno ispirato nella azione politica. Dico solo che nel partito democratico hanno tutti cittadinanza alla pari, così come le tradizioni, le esperienze, le parole che ognuno di noi porta dentro questo progetto che è collettivo e anche personale perché riguarda nel profondo ognuno di noi, e non perché come vorrebbe chi ci vuole male c'è un uomo solo al comando. Quella del Pd è una sfida plurale, un progetto condiviso da milioni di persone, non la tigna di un individuo. Ed è per questo, però, che non possiamo permetterci di restare fermi a un passato glorioso, ma rivitalizzarlo ogni giorno cambiando, trovando soluzioni concrete ed efficaci a problemi che si trasformano e che riguardano da vicino la vita delle persone.

So che Repubblica non vuole farci un esame del sangue, come invece pretenderebbe qualcuno anche dalle parti del sindacato. Lo dico per rispondere alla premessa del vostro editoriale, di una mancanza di rispetto nei confronti di una storia e di una rappresentanza. Non è la mia intenzione, ho un profondo rispetto per il lavoro e per i lavoratori che il sindacato rappresenta. E non sono parole formali. Penso, tuttavia, che altrettanto rispetto sia da chiedere anche nei confronti di un governo che sta cambiando il mondo del lavoro per evitare che alibi e tabù tengano fuori dal mercato milioni di lavoratori solo perché non hanno contratto o sono precari. Penso che il modo più utile per difendere i diritti dei lavoratori sia quello di estenderli a chi ancora non ce li ha, di aprire le porte di uno spazio rimasto troppo chiuso per troppi anni. Altrimenti qualcuno ci deve spiegare perché con tutto l'articolo 18 abbiamo una disoccupazione a doppia cifra che cresce in questo paese.

Sono pronto sempre al confronto, da mesi giro l'Italia in lungo e largo, visitando aziende, stringendo le mani di chi lavora, parlando del futuro del paese in una competizione sempre più dura nel mondo. Non siamo noi, non è il governo, non è il Partito democratico a cercare lo scontro. Siamo noi, però, a porre il tema di un mondo che cambia, nel quale non possiamo più permetterci di non dare tutele alle donne che non hanno garanzie se aspettano un figlio. Un mondo nel quale la selva di contratti precari e precarizzanti deve essere disboscata, semplificata. Un mondo nel quale esista una rete di strumenti di welfare che sostenga chi perde il lavoro e lo metta in condizione di trovarne un altro.

Se entriamo nel merito del Jobs Act vediamo che non c'è riforma più di sinistra. L'altra sera, al PalaDozza di Bologna, nel cuore di quella Emilia rossa fatta di tradizione e pragmatismo, di storia e senso pratico, il passaggio più sentito di un intervento che ho fatto per sostenere Stefano Bonaccini come presidente di Regione è stato quello sul sindacato che non ha manifestato contro la Legge Fornero e oggi manifesta contro il Jobs Act. E avevo davanti una platea di militanti e dirigenti, molti dei quali vengono proprio dalla storia profonda della sinistra italiana. Allora, io mi faccio molte domande, mi interrogo e sento la responsabilità del cambiamenti che stiamo portando, che è autentica e non di facciata. Ma vorrei che anche il sindacato e più in generale il mondo della sinistra si chiedesse se non ci sia una grande opportunità da cogliere. Per questo penso che la battuta su Berlusconi e Verdini che fa l'editoriale di Repubblica sbagli indirizzo e destinatario. Il Pd ha chiara la differenza tra maggioranza e opposizione così come ha chiaro che le regole del gioco si prova a cambiarle assieme per poi tornare a dividersi su tutto il resto.

L'alternativa all'Italicum è lo status quo proporzionalistico. Che convince chi ha in mente un disegno neocentrista che fino a qualche mese fa era sul tavolo e che noi abbiamo sparecchiato. Mi viene rimproverato anche di scherzare coi gufi e coi soloni. Penso che un po' di ironia, Direttore, possa aiutare tutti a mettere a fuoco meglio le nostre posizioni, non per banalizzarle, ma per metterle in prospettiva. Per noi la sinistra è storia e valori, certo, è Berlinguer e Mandela, Dossetti e Langer, La Pira e Kennedy, Calamandrei e Gandhi. Ma è soprattutto un futuro su cui lavorare insieme per risolvere i problemi delle persone, per dare orizzonte e dignità, per sentirsi parte e avere orgoglio di essere non solo di sinistra, ma italiani.

Il mondo in questi mesi è cambiato, l'Italia in questi mesi è cambiata; l'Italia delle Istituzioni, del lavoro, della pubblica amministrazione, della giustizia. Una libertà ingiusta, una libertà per pochi, è la ragione sociale della destra. Ma una giustizia illiberale, una giustizia cioè che pretenda di essere per tutti ma senza rispetto per la libertà dei singoli, è la prigione ideologica di una sinistra che ha una visione odiosa delle cose. Tocca a noi recuperare questo ritardo, rivoluzionando come democratici questo meraviglioso paese. Ci sono due modi per cambiare l'Italia. Farlo noi da sinistra. O farlo fare ai mercati, da fuori. Sostenere che le ricette siano le stesse cozza contro la realtà. In ciò sta tutta la nostra idea di sinistra. Parole che producono fatti. Perché il tempo delle parole, giuste o sbagliate, slegate dai fatti, è un tempo che abbiamo deciso di lasciarci alle spalle per sempre.

Matteo Renzi


E ora, chi è sopravvissuto alla lettura del solito "nulla impacchettato sotto vuoto" del Renzino, faccia lo sforzo di rileggere le prime quattro riche dell'articoletto di Ezio Mauro:

"UN CONFLITTO sull'articolo 18 è comprensibile, ed era anche prevedibile. Il linguaggio con cui il presidente del Consiglio tratta la Cgil è invece molto meno comprensibile. È vero che Susanna Camusso lo considera un personaggio dell'Ottocento, subalterno ai padroni, abusivo a sinistra. Ma il premier  -  mentre annuncia a parole rispetto per chi dissente  -  dileggia il sindacato, banalizza le ragioni della protesta, svaluta insieme con lo sciopero una storia legata alla conquista e alla difesa di diritti che tutelando i più deboli contribuiscono alla cifra complessiva della democrazia di cui tutti usufruiamo".

Bene, chiunque non abbia scelto di vivere a Disneyland, si accorgerebbe in un attimo che non c'è UNA SOLA RIGA di risposta, fra le 1073 parole sul nulla di Renzi, che risponda a quelle quattro righe di Ezio Mauro. As usual. Non so se Ezio Mauro replicherà... A un compitino del genere, cosa mai dobrebbe rispondere? Fossi in Mauro, risponderei con una riga:

"Egregio presidente, le dispiacerebbe rispondere alle accuse che le ho fatto sul suo approccio all'opposizione sindacale?"

Credo che Ezio Mauro o non replicherà, o cadrà - Dio non voglia - nel tranello di entrare nel circuito dell'aria fritta. Al limite, cercherei di aumentare il dosaggio e il peso specifico delle domande da porre a Renzi. A titolo esemplificativo:

  • a) E' certo che Berlinguer avrebbe mai proposto di "condonare" 500.000 slot-machines illegali?
  • b) E' certo che Mandela e Gandhi avrebbero irriso alle manifestazioni di dissenso, ed alle folle in piazza?
  • c) E' certo che Calamandrei si sarebbe spellato le mani per plaudire alle porcherie sub "Italicum/1" e "Italicum/2"?
  • d) E' certo che La Pira avrebbe combattuto la battaglia campale contro l'art. 18?
  • e) E' certo che Dossetti o Calamandrei avrebbero fatto la ola al pensiero di innalzare al ruolo di "Padri della Patria" un pregiudicato, e il suo factotum sotto processo?
  • f) Ci spiegherebbe quali sono i diritti "estesi a tutti"?

Grazie. Ezio Mauro

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Renzi e gli evasori fiscali: peggio di Berlusconi & Tremonti

Il Fisco apre agli evasori che si ravvedono. Condono per le slot machines illegali. Verso l'abolizione dello scontrino fiscale. Quadruplicati i limiti perchè i reati fiscali abbiano rilievo penale (di Roberto Petrini - Repubblica)

Renzi-tremonti
Il Fisco allarga le maglie nei confronti degli evasori. Da una parte c'è l'esigenza di spingere sul pedale del «fisco amico » ma dall'altra il sistema sanzionatorio e penale nei confronti degli evasori si allenta. La legge di Stabilità, il più importante provvedimento economico dell'anno, all'articolo 44, commi 11-18, prevede una rivoluzione del «ravvedimento operoso».

L'istituto è ben conosciuto e utilizzato dai contribuenti: chi omette di dichiarare o evade il fisco con una dichiarazione infedele del proprio reddito imponibile, attualmente ha tempo un anno per ravvedersi, pagare sanzioni fino al 12,5 per cento più gli interessi. Ad una  condizione: il ravvedimento deve essere spontaneo, frutto di un ripensamento e della autonoma voglia di mettersi in regola con il fisco per evitare guai peggiori.

Con l'articolo 44 le cose cambiano: si potrà fare il ravvedimento anche se la Guardia di Finanza è già entrata in casa o nei propri uffici per un accesso (richiesta di un documento), una ispezione (richiesta di alcune carte) o di una vera e propria verifica. Solo di fronte alla notifica di un accertamento, dunque quando l'evasione è conclamata, non si potrà ricorrere al ravvedimento.

Sempre nella legge di Stabilità il Tesoro è pronto a presentare un emendamento per modificare la stretta fiscale sulle slot machine il cui gettito era stato definito incerto da più parti. Al suo posto arriverà una sanatoria, da 500 milioni, per le slot non autorizzate che emergono dal nero (con pagamento di una tantum e 2 anni pregressi) e altri 500 milioni per le slot scollegate.

Naturalmente a fronte di questo fisco «dal volto umano», perseguito anche con l'operazione della denuncia di redditi on line, ci sono anche strette sostanziali contro l'evasione: «Basta con gli scontrini, arriva la tracciabilità, l'Agenzia delle entrate non sarà più un avvoltoio», ha ripetuto ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Ma intanto la depenalizzazione avanza: la prossima settimana con tutta probabilità saranno varate le due deleghe per dare certezza all'abuso di diritto e per depenalizzare (come prevede la delega) reati meno gravi come l'omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele (oggi si rischiano da 1 a tre anni) se l'imposta evasa è superiore ai 50 mila euro. L'obiettivo è di portare la soglia molto più in alto, fino ai 200 mila euro. Una linea condivisa anche dalla direttrice dell'Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi che ieri in Parlamento ha definito «irrealistica » l'attuale soglia dei 50 mila euro oltre la quale scatta la sanzione penale.

Echi di questa vicenda si ripercuotono anche sul provvedimento che prevede il rimpatrio dei capitali dalla Svizzera in discussione al Senato: chi si autodenuncia (voluntary disclosure. Sic. Continua il provincialismo di Coso. NdR)) paga tutto ed evita le sanzioni penali (tranne la falsa fatturazione), ma nel provvedimento è previsto lo stesso trattamento anche per chi ha costituito una provvista in nero in Italia, non rimpatria nulla ma evita il reato penale. La barriera potrebbe essere l'introduzione del reato di autoriclaggio, chiesto da più parti: chi utilizza la provvista in nero incappa nel penale, ma dalla discussione il perimetro è uscito limitato. L'autoriciclaggio scatta solo per chi occulta i fondi e non per chi li utilizza per fare la bella vita. La partita dell'evasione fiscale si riapre a partire dal Parlamento incrociando anche la legge di Stabilità.

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venerdì 21 novembre 2014

C.V.D. - Storie non parallele: l'Unità non riapre, EUROPA non chiude

TafanusCome Volevasi Dimostrare: l'Unità, storico giornale della Sinistra, dove ancora resisteva qualche voce in dissenso dal renzismo, ha interrotto le pubblicazioni a fine Luglio, e dal c.d. "Partito Democratico" di Renzi & Verdini non ha ricevuto alcuna forma di sostegno. Solo vacue parole di circostanza, nessuna seria manifestazione d'interesse.

La stessa "fine annunciata" avrebbe dovuto fare il giornaletto ufficiale della Margherita e di Renzi (Europa Quotidiano), diretto dall'indescrivibile Stefano Menichini. Il giornaletto (che tirava un decimo delle copie dell'Unità, ma aveva il pregio di assegnare a Renzi, sulla base di sondaggi mai pubblicati, il 93% di fiducia da parte degli italiani), avrebbe dovuto subire la stessa sorte de l'Unità, e cioè sparire a fine settembre.

Ma... MIRACOLO! A metà Novembre, Stefano Menichini annuncia che il giornale non chiude. L'editore di Europa, infatti, ha annunciato che è arrivata una seria, fondata "manifestazione d'interesse" da un altro "investitore". Indovinate chi è questo investitore? Indovinato? Ma si! Il salvatore del giornaletto della margherita è il Partito Democratico di Renzi!

L'UNITA' SOSPENDE LE PUBBLICAZIONI

 (29 Luglio 2014)
 
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I liquidatori di Nuova iniziativa editoriale spa in liquidazione, società editrice de l'Unità, a seguito dell'assemblea dei soci tenutasi in data odierna comunicano che il giornale sospenderà le pubblicazioni a far data dal 1 agosto 2014
(di Emanuele d'Innella e Franco Carlo Papa)

IL COMUNICATO DEL CDR: “FINE DELLA CORSA” - Fine della corsa. Dopo tre mesi di lotta, ci sono riusciti: hanno ucciso l'Unità. I lavoratori sono rimasti soli a difendere una testata storica. Gli azionisti non hanno trovato l'intesa su diverse ipotesi che avrebbero comunque salvato il giornale. Un fatto di gravità inaudita, che mette a rischio un'ottantina di posti di lavoro in un momento di grave crisi dell'editoria. I lavoratori agiranno in tutte le sedi per difendere i propri diritti. Al tempo stesso, con la rabbia e il dolore che oggi sentiamo, diciamo che questa storia non finisce qui. Avevamo chiesto senso di responsabilità e trasparenza a tutti i soggetti, imprenditoriali e politici. Abbiamo ricevuto irresponsabilità e opacità. Questo lo grideremo con tutta la nostra forza. Oggi è un giorno di lutto per la comunità dell'Unità, per i militanti delle feste, per i nostri lettori, per la democrazia. Noi continueremo a combattere guardandoci anche dal fuoco amico [...]

Il primo campanello d'allarme sulla reale "volontà" del PD renzino di ridar voce a l'Unità parte il 10 Settembre da D'Alema, alla Festa dell'Unità di Firenze:

Unità-dalema

Naturalmente la "soluzione imprenditoriale convincente" sembra che sia stata trovata più facilmente per il giornaletto di Menichini (che mai nessuno di noi ha visto e toccato materialmente), che non per il "giornale fondato da Antonio Gramsci". Infatti questa settimana abbiamo appreso che delle laudi al renzismo di Stefano Menichini & C. potremo continuare a godere:

Europa-non-chiude

Siamo sinceramente felici per la sopravvivenza di Europa Quotidiano. In effetti il renzismo fin qui si è dovuto accontentare delle laudi di tutti i canali TV pubblici (con l'eccezione, cessata, di RaiNew24 di Corradino Mineo). E, per un lungo periodo, di tutta Rainvest. Era quindi indispensabile che il tesoriere del PD manifestasse "interesse" per l'acquisto della "storica testata"... della Margherita.

Per prevenire eventuali obiezioni: si, è vero... per ora parliamo del salvataggio della testata onlime. Come è vero che per l'Unità non si è riusciti a parlare neanche di quello, e come è vero che un "cartaceo" come quello di EUROPA, che nessuno di noi ha mai visto dal vivo, se non nelle serali rassegne-stampa TV, sarebbe difficilissimo da salvare. Non si può salvare l'inesistente.

Europa         Unita

Tafanus

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sabato 15 novembre 2014

Le domande intelligenti dei mezzibusti RAI

A Roma, al Parco della Musica, espongono fino a febbraio i fotografi Gianni Berengo Gardin, e Elliott Erwitt

Elliott-erwitt
Elliott Erwitt

Puntuale come l'esondazione del Seveso a Milano o quella del Bisagno a Genova, arriva l'immancabile "intervista intelligente" del mezzobusto di Rai Uno. L'acme dell'intervista (da non confondere con l'acne) viene toccato quando il mezzobusto, con l'aria di chi fa la domanda del secolo, lungamente ponderata, chiede:

"Signor Erwitt... le fotografa con la mente, o col cuore?"

Il malcapitato viene folgorato con questa fantastica risposta:

"Io fotografo con la macchina fotografica"

Amen

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"Vibralani" a Malo: Renzi smascherato da Luigi Meneghello già da mezzo secolo

Luigi-meneghelloSpesso, quando sento Renzi declamare con pathos i versetti dei "Baci Perugina", o vedo Crozza che imita Renzi (e mi viene il dubbio che si tratti invece di Renzi che imita Crozza che imita Renzi), il mio pensiero corre riconoscente a Luigi Meneghello, ed al suo "Libera Nos a Malo"... Un libro che raccomando a tutti. Poesia in prosa, e la retorica del fascismo deformata e ridotta in mutande dagli occhiali della fanciullezza...

Nelle "deformazioni interpretative" di Luigi Meneghello (Malo 1922 - Thiene 2007) c'è la poesia dell'infanzia; nelle "declamazioni celebri" di Coso c'è l'incultura degli sms e dei tweets, l'autoerotismo dei "selfies"... Raffronti improponibili. E' come voler confrontare Fortebraccio a Sallusti, De Gasperi a Cesa, Nilde Iotti a Maria Elena Boschi, Bartali a Malabrocca...

Esemplare, del suo bellissimo libro, il passaggio in cui Meneghello ricorda come lui bambino di Malo (Vicenza), insieme ai suoi coetanei, aveva "capito" la solita, stupida, tronfia canzonetta fascista...

Vibra l'anima nel petto
sitibonda di virtù:
freme, o Italia, il gagliardetto,
e nei fremiti sei tu!


Ecco come Michele Diodati  si calava nel trauma interpretativo (irrisolto) di questo fiero parto della scemenza fascista, concludendo con la traduzione in "malese/fanciullesco" della stupida e tronfia strofetta. Traduzione infantile certamente più degna di essere letta che non la minchiata originaria:

"...molti i punti oscuri per i ragazzi di Malo (qualcuno, confessiamolo, anche per adulti esperti): che sarà, che avrebbe potuto essere "sitibonda"?, che saranno mai il "fremere" e i "fremiti" rispetto ai ben noti e magari scassati "freni" delle ambite biciclette?, e che mai ci potrebbe fare, come potrebbero entrarci l'"Italia" nei "fremiti"? D'altra parte i ragazzi erano, per dir così, agevolati, nel cercare di superare le oscurità, dagli "ictus", dalle elisioni ("frem(e o) Italia (i)l gagliardetto"), dalle scansioni metrico-canore ("Vibra l'ani // manelpetto"), dal loro sapere linguistico pregresso e dalla convinzione che, per quanto facessero, nei testi "alti" restano sempre zone oscure, parole che solo là hanno cittadinanza (...). Ecco, "teste" Meneghello, il risultato dell'inno capito e tradotto in veneto malese:


Vibralani! Mane al petto!
Si defonda di virtù!
Freni, o Italia, al gagliardetto
e nei freni ti sei tu!


Traduzione dal malese in italiano standard: «Vibralani, (portate le) mani al petto! Della virtù si faccia alfine adeguato defondimento. Italia, è tempo: si mettano freni al gagliardetto e nei freni tu ti mostri in tutta la tua suprema essenza ("ti sei tu")».

Così prese corpo nella mente dei ragazzi di Malo l'eroica stirpe dei "Vibralani", che correvano impetuosi, irrefrenabili dietro al gagliardetto, che solo l'Italia, la grande, augusta, sovrana Patria, poteva frenare e, per dirla con Hegel, in ciò darsi una realtà: proprio in ciò, in questo suo sapere farsi o dare freno all'impeto non altrimenti infrenabile dei Vibralani, forse anche perciò opportunamente invitati a tenere le "mane al petto", come "le braccia conserte" a scuola, e a non sbracciarsi nella solita furia scomposta. Tutto tornava nel conto..."

Verrà mai il giorno in cui persino Isso capirà che con tutto il suo tweettare, chattare, declamare frasi di Crozza, ruberà il ruolo a colui che un giorno non lontano l'Express definì "Le Bouffon d'Europe"?

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giovedì 6 novembre 2014

Rating italiano a BBB-, a un passo dal livello «spazzatura» (Ma Renzi dice che "tout va bien")

«Aumento del debito e crescita debole»: S&P taglia il rating italiano a BBB-, a un passo dal livello «spazzatura» (Fonte: IlSole24Ore)

Standard & Poor's ha abbassato il rating dell’Italia sul debito a lungo termine a BBB-, mentre il rating sul debito a breve passa da A-3 ad A-2. L'outlook sul rating a lungo termine passa a stabile. La decisione, spiega S&P in un comunicato, «riflette la debolezza ricorrente che vediamo nella performance del Pil reale e nominale dell'Italia, inclusa l'erosione della competitività, che sta minando la sostenibilità del suo debito pubblico». «Un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e bassa competitività, non è compatibile con un rating BBB, secondo i nostri criteri».

L’outlook stabile «riflette le nostre aspettative che il Governo implementi riforme strutturali e di bilancio in grado di migliorare la crescita», spiega l’agenzia. S&P ipotizza anche che la Bce guidata da Draghi continui a supportare la normalizzazione dell’inflazione in Italia e nei suoi partner chiave dell’Eurozona.

Le possibilità di un nuovo taglio...  In base ai nostri criteri, avvisa S&P, «potremmo abbassare i rating se dovessimo concludere che il governo non può implementare politiche per riportare la crescita economica e rafforzare le finanze pubbliche, portandoci a rivedere il nostro giudizio sull'efficacia istituzionale e di governance dell'Italia». Questo potrebbe avvenire se alcune delle rigidità dei mercati del lavoro, dei servizi e dei prodotti dell'Italia - che hanno frenato sin qui la crescita, persisteranno. Un rischio al rating è anche rappresentato da un deterioramento della performance di scambi commerciali del Paese, che è di recente migliorata, oltre che da una «significativa deviazione negativa dalla sua traiettoria attesa di budget».

...e quelle di una promozione - S&P potrebbe invece «considerare di aumentare il rating qualora il governo dovesse implementare appieno riforme dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi che portassero a un incremento sostenibile della crescita economica dell'Italia e mettessero il deficit e il debito su un traiettoria chiara al ribasso». Sul Jobs Act, il giudizio dell’agenzia di rating statunitense è positivo, anche se c’è il «rischio che la legislazione secondaria (i decreti attuativi, ndr) possa indebolire» la struttura della riforma.

La mina del debito pubblico: 2.256 miliardi nel 2017  - La debolezza della crescita economica ha «minato le dinamiche del debito pubblico più di quanto non avessimo previsto nel rapporto del 6 giugno 2014», rilevano gli analisti di S&P. «In termini assoluti ora stimiamo che il debito pubblico italiano sarà pari a 2.256 miliardi di euro entro la fine del 2017, cioé 80 miliardi di euro in più (o il 4,9% del Pil previsto per il 2014) delle nostre stime di giugno». In termini percentuali, S&P prevede che il debito pubblico salirà dal 123,9% del 2014 al 127% del 2015 al 127,4% del 2016 per poi ridiscendere lievemente al 126,8% nel 2017.

...tout va bien, Madame la Marquise...

Fonti del Governo: non è bocciatura - Il giudizio di S&P «non è una bocciatura del Jobs act, dicono che le riforme vanno bene ma bisogna andare più veloce». E' la valutazione di fonti di governo per le quali la cosa “positiva” è che l'agenzia di rating vede «elementi buoni nelle riforme ma non tali da compensare il debito e risvegliare a breve l'economia» [...]

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L'Italia perde un grande jazzista, io un caro amico: Renato Sellani

Se n'è andato venerdì, in punta di piedi, con la grande discrezione che è sempre stata la cifra della sua vita. E anche se andarsene a 88 anni rientra - più che nella normalità - nella fortuna, chi ha avuto per mezzo secolo il privilegio di averlo come amico, non riesce a farsene una ragione. Ecco come ne dava notizia, l'altro giorno, Marinella Venegoni su "La Stampa":

Renato-sellani...che dispiacere, e che sorpresa, la fulminea scomparsa di questo ragazzo di 88 anni. Renato Sellani, una vita alla tastiera, un gentiluomo del pianoforte, Il suo tocco fatato era inconfondibile, era elegante anche nell'energia, un velluto robusto, una sicurezza senza pari. Ha attraversato tutta la storia della musica leggera come veniva chiamata, e del jazz, dagli Anni Quaranta ai nostri giorni. Soltanto a metà ottobre aveva presentato con una festa a Milano il suo ultimo album, "Glad There Is You", un'antologia a tutto tondo, con molto jazz, intitolata come la canzone che gli dedicava Sarah Vaughan ogni volta che si esibivano insieme.  

Con i grandi del jazz, Renato Sellani è cresciuto e si è fatto onore. Gli italiani lo ricordano bene per la sua lunga collaborazione con Mina (non si può dimenticare la loro originaria "E se domani"); io personalmente non dimentico qualche sua fuga con il leggendario Nicola Arigliano: s'inerpicavano come ragazzi in certe swingate, quando si incontravano: ed era un godimento. Ma i suoi compagni di strada sono stati Chet Baker, Gerry Mulligan, Bruno Martino del quale migliaia di volte ha suonato la splendida "Estate". E Franco Cerri, ed Enrico Rava; e perfino Billie Holiday, Lee Konitz, Dizzie Gillespie, Bill Coleman. A fine Anni Settanta Giorgio Strehler lo aveva chiamato per scrivere le musiche di un "En attendante Godot", e Beckett da Parigi scrisse per testimoniare il proprio apprezzamento.  

Chiunque se la sarebbe tirata alla grande. Ma Sellani non era un tipo così. La sua regola era l'understatement: "Tuttora penso di essere un dilettante a 88 anni", ha detto nell'ultima intervista, a Repubblica, in occasione dell'uscita del disco.  

Molti lo conoscevano per i suoi pomeriggi musicali all'Hotel Brufani di Perugia, durante Umbria Jazz, che sono durati fino all'ultima edizione; era già scritturato anche per Umbria Jazz Winter, ad Orvieto. 

Marinella Venegoni

Cosa posso aggiungere di mio? poco. Due brani (uno senza video, dove suona Indian Summer con Chet Baker - di cui Renato era il pianista prediletto) e con Franco Cerri. Roba del 1959, e sembra suonata ieri... e l'altro con la splendida, intrigante Rosa Emilia Dias, in un dolcissimo "Corcovado". Si, perchè Renato era musica a 360°, e aveva frequentato moltio sia brasiliani veri (Rosa Emilia, Gilberto Gil), che "brasiliani d'Italia" - come la bravissima Barbara Casini, Bruno Martino, e tanti altri. E poi i grandi americani della stagione del be-bop e non solo, e tutti i più grandi jazzisti europei.

Indian Summer, con Chet Baker e Franco Cerri

 Corcovado, con Rosa Emilia Dias

Renato appare in pochissimi video, e sempre con molta ritrosia. Detestava le telecamere, ed era di una timidezza imbarazzante. Renato l'ho conosciuto negli anni sessanta, ai tempi in cui al mitico "Intra's Derby Club" - che era "within walking distance" da casa mia, era nato il connubio fra il cabaret, e gli interminabili "after-hours" jazzistici, ai quali arrivavano alla spicciolata tutti quelli, italiani o stranieri, che passavano da Milano. Poi la frequentazione era diventata consuetudine da quando aveva iniziato a suonare tutte le sere al "Ponte di Brera", che era il "piano di sopra" dello storico bar Giamaica. In quel lungo periodo, non passavano mai sette giorni senza fare una visita al "Ponte".

Ricordo l'imbarazzo di Renato una sera che entrai con una giovane ragazza in minigonna d'ordinanza... Afferrai al volo l'antifona, e al primo intervallo mia avvicinai con la giovane ragazza al piano... "Renato, ti presento mia figlia Marzia"... Scoppiò a ridere, ma sempre con molto contegno... Mia figlia deve non certo a me - che sono stato solo un "coach" della prima ora - ma a gente come Renato, il suo amore per il jazz. Amore che l'ha spinta a creare un gruppo chiuso, a inviti, su facebook, dove un gruppo di amici si scambia notizie, links, brani, opinioni...

Poi, negli ultimi anni, a Milano il jazz è virtualmente morto. Il Capolinea è stato distrutto da un incendio doloso. La "Taverna Greca", dove il mio amico Roberto Baciocchi suonava tutti i giovedì jazz tradizionale, non c'è più. Al "Due", in piazza Madonnina, dove tutte le sere c'erano Paolo Tomelleri e Laura Fedele, hanno pensato di fare un postaccio da karaoke, fallito subito; al Santa Tecla vendono scarpe. Dove una volta, al mezzanino della Galleria di Piazza Duomo, c'era il "Jazz Power", adesso c'è una tavola calda. E i ragazzi che una volta affollavano il Capolinea, adesso, se vogliono sentire due ore scarse di jazz, hanno il Blue Note, dove si può ascoltare Diana Krall per 60 euri di solo ingresso... Fine della Milano da ascoltare.

Con la morte della cultura a Milano, anche i miei incontri con Renato si sono diradati. L'ultima volta che l'ho visto è stato mesi fa, ad un dopo-concerto al Teatro Dal Verme, dove ho incontrato altre vecchie conoscenze. Enrico Intra, fondatore del "Derby Club", Franco Cerri (che avevo conosciuto professionalmente per la faccenda dell'uomo in ammollo, e Renato: sempre timido, sempre affettuoso, sempre con quella "faccia triste come una salita"...

Sono sicuro che, se esiste un "dopo", si ritroveranno. Tutti quelli che con lui hanno spartito note e sentimenti, in una grande, celestiale jam session....

Ciao, Renato......

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