venerdì 27 febbraio 2015

RayWay: Renzi si appresta a fare un altro omaggio al pregiudicato di Arcore?

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Il cavallo di Renzi

La vergognosa storia di RaiWay non può che far parte dei "patti segreti" del Nazareno, che stanno condizionando, di male in peggio, la politica italiana. Se così non fosse, dovremmo dubitare seriamente delle competenze societarie di Renzi (che peraltro come unica esperienza aziendale ha avuto quella di numero due nell'aziendina di strillonaggio di famiglia, che non è andata molto bene...)

Con l'abituale arroganza, a chi chiedeva spiegazioni, ha troncato le parole in gola dicendo che la RAI si riserva per statuto il possesso del 51% delle azioni di RaiWay, e quindi dobbiamo stare tutti tranquilli. La Rai avrà sempre un ferreo controllo di RaiWay, e non ci sono controindicazioni. Fine delle spiegazioni

Davvero, signor Renzi? Vediamo...

-a) RaiWay è un'azienda quotata in borsa. Nel momento in cui ci dovesse essere un socio (la RAI) che conserva il 51%, e l'altro che lancia un'OPA sul 49%, anche se dovesse restare leggermente al di sotto di questa quota, toglierebbe dal mercato gran parte del flottante, e il titolo dovrebbe essere cassato dal listino di borsa, con conseguente illiquidità di fatto dei titoli rimasti in mano a piccoli soci minoritari. . Sicuro che l'attuale azionariato diffuso non avrebbe niente da dire?

-b) In una RaiWay renzian-berlusconiana al 49/51% si deve ipotizzare un CdA con un consigliere di nomina RAI in più di quelli di nomina berlusconiana. Ma alcuni ben noti consiglieri RAI sono ben noti per essere "graditi" a Berlusconi. Quindi in caso di controversie, avremmo la bellissima situazione che in CdA della nuova RaiWay voterebbero come da istruzioni di Berlusconi la metà meno uno dei consiglieri, ma arriverebbero due/tre rinforzi dagli attuali consiglieri RAI vicini a Berlusconi. Afferrato il concetto di chi comanderebbe, nella nuova RaiWay? Qualcuno vuol spingersi ad ipotizzare come voterebbe, ad esempio il consigliere Antonio Verro, che lavora nelle aziende berlusconiane da decenni???

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CDA Rai

-c) Una SpA con due soci al 49% e al 51% sarebbe letteralmente paralizzata dai veti incrociati. Si da infatti il caso che anche un socio con una quota di minoranza molto più bassa del 49% possa inchiodare di fatto giorno e notte i rappresentanti degli azionisti in assemblee, con le ragioni più pretestuose: fra le varie fattispecie che obbligano alla convocazione dell'assemblea, citiamo:

"...quando ne è fatta richiesta dai soci di minoranza (art. 2367 comma 1 c. c.): gli amministratori devono senza ritardo convocare l’assemblea, affinché i soci discutano i punti che la minoranza vuole portare a conoscenza dell’organo assemblare..."

DEVONO, non POSSONO. Chiaro il concetto?

E veniamo a qualche problemino di etica e di opportunità...

  • -a) E' proprio il caso che un'azienda il cui pacchetto di maggioranza è in mano al Tesoro, e che svolge un compito delicatissimo, come quello dell'informazione, accetti come socio "di blocco" (di fatto), un pregiudicato?
  • -b) E' proprio il caso che il socio prescelto o accettato, oltre che essere un pregiudicato, sia anche il proprietario dell'altra metà dell'etere?
  • -c) E' proprio il caso che uno come Berlusconi metta le mani sulla più grande rete italiana di "hardware", che serve non solo a trasmettere TV, ma anche telefonia, e internet a banda larga?
  • -d) RaiWay è un'azienda che fa utili? Ma allora perchè venderla? e perchè venderla a Berlusconi?
  • -e) RaiWay è un'azienda che perde? Ma allora perchè Berlusconi vuole comprarla a peso d'oro?


Vede quante domande, signor Renzi? e giacchè ci siamo, ne facciamo un'altra, su un aspetto che fin qui sembra non preoccupare nessuno: l'ideuzza di ridurre l'informazione RAI ad una sola struttura informativa cos'è, la premessa alla costituzione di una Voce del Padrone Unificata? Una sorta di Film Luce del Regime che ci parli dalla mattina alla sera delle Magnifiche Sorti e Progressive del renzusconismo?

Vede, signor mio, quante domandine che poniamo noi (e che hanno posto altri) per ora senza ricevere risposte?

E veniamo a qualche problemino di possibile insider trading... 

Noi non accusiamo nessuno, per carità... ma quel che è certo è che qualche "stranezza" c'è stata - come per la Banca Popolare dell'Etruria guidata da papà Boschi - anche nel caso delle quotazioni e dei volumi trattati di azioni RaiWay, PRIMA che fosse noto ufficialmente il suo progettino di vendere a Berlusconi metà delle torri RAI...

Il lancio dell’opa su RaiWay da parte della concorrente Ei Towers (gruppo Mediaset) ha già fatto ricco qualcuno che fin dalla metà di gennaio aveva iniziato a comperare titoli sul mercato. Possibile che Ei Towers abbia rastrellato azioni prima del lancio dell’offerta? Certamente sì, anche se difficile dato che Rai Way non è un titolo particolarmente liquido e dunque mettere insieme un pacchetto significativo di azioni a un prezzo inferiore a quello dell’opa sarebbe stato pressoché impossibile. Eppure qualcuno, all’improvviso e senza apparente ragione, ha iniziato ad acquistare.

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Il "balletto" delle azioni RaiWay in borsa

A fronte di una media di scambi di poche centinaia di migliaia di azioni al giorno, il 14 gennaio i volumi si sono improvvisamente impennati sfiorando gli 1,6 milioni di pezzi senza registrare alcun incremento di prezzo. Il titolo ha infatti chiuso la seduta a 3,18 euro, invariato rispetto al giorno precedente. Poi un altrettanto repentino ritorno alla calma: nei giorni successivi gli scambi sono tornati nella media e il prezzo è leggermente salito portandosi a 3,21 euro. Il 22 gennaio, però, si sono riviste mani forti in acquisto: i volumi sono schizzati oltre gli 1,3 milioni di pezzi e il prezzo si è impennato da 3,21 a 3,5 euro (+9%). Non male per un periodo in cui di Rai e di torri non si parlava proprio e l’attenzione era tutta concentrata sull’elezione del presidente della Repubblica.

La cosa interessante è che da quel momento in poi il titolo ha cominciato a salire e i volumi piano piano anche. Dal 14 gennaio alla chiusura odierna (4,05 euro, prezzo a un passo da quello dell’opa lanciata da Ei Towers) il titolo è salito di quasi il 30 per cento. Un bel colpaccio davvero. Chissà se è frutto del fato, di chiaroveggenza o di un suggerimento ricevuto da chi stava lavorando al lancio dell’opa? (Fonte: Il Fatto Quotidiano)

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Riservato: Matteo preso al volo

Il caso del volo di Stato preso da Matteo Renzi per andare in vacanza a Courmayeur con tutta la famiglia finisce davanti alla Corte dei Conti. Il deputato Nicolò Romano ha infatti presentato un esposto-denuncia alla magistratura contabile contestando le spiegazioni date dal governo in risposta a una sua interpellanza parlamentare. Il sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, aveva sostenuto che il Falcon 900 dell'Aeronautica militare è stato utilizzato per «ragioni di sicurezza», estese ai familiari in base a un decreto del governo Monti, aggiungendo che l'apertura straordinaria dell'aeroporto di Aosta «non è ammessa per i voli civili ma per quelli militari sì".

Romano replica: il viaggio non aveva nulla di militare, ma soprattutto la legge ammette i voli di Stato per «rilevanti ragioni» e per «fini istituzionali»: non certo per andare in vacanza. (Fonte: l'Espresso del 27 Febbraio)

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La débâcle tributaria del Governo Renzi - Perchè l'evasore la fa franca

Processi affidati a dilettanti. Che impiegano anni per decidere su cause che potrebbero portare all'erario 52 miliardi di euro (di Paolo Biondani - l'Espresso)

Tremonti-giulioLa lotta alla grande evasione fiscale rischia di fermarsi in tribunale. Un tribunale molto speciale, formato in maggioranza da privati. Pagati pochissimo: 26 euro lordi a sentenza. Ed esposti a gravi tentazioni. Perché le loro decisioni valgono una fortuna: più di 52 miliardi di euro, in teoria. In pratica, l'erario incasserà molto meno. Perché nei processi fiscali, in sei casi su dieci, lo Stato perde.

Mentre la nostra Costituzione stabilisce che «tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge», per cui le persone nella stessa situazione dovrebbero essere giudicate allo stesso modo, la giustizia tributaria è un ramo del diritto dove regna l'incertezza. Al caos fiscale non sfugge la lista Falciani, l'ormai famoso archivio della banca Hsbc di Ginevra, con i nomi di 7.499 italiani con il conto in Svizzera. La lista, consegnata dal tecnico Hervé Falciani ai magistrati spagnoli e francesi, è stata trasmessa alle autorità italiane nel 2009. Da allora la Guardia di Finanza ha concluso oltre 3.200 ispezioni. Ma lo Stato finora ha riscosso solo 30 milioni. In Spagna, per fare un confronto, l'evasore più ricco ha dovuto sborsare da solo oltre 200 milioni. In Italia invece ben 1.246 clienti della Hsbc hanno annientato ogni accusa grazie allo scudo fiscale varato nel 2009-2010 dal governo di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti: hanno sanato 1,7 miliardi di nero versando appena 83 milioni. E per tutti gli altri, quelli che non hanno pagato neppure quel condono, finora il fisco ha potuto soltanto minacciare super-multe, che verranno applicate solo se e quando lo Stato avrà vinto i processi tributari. Il primo problema è la durata di queste cause: in media passano 1.558 giorni tra primo e secondo grado, che diventano otto anni con il verdetto finale della Cassazione. Solo nell'aprile 2015, ad esempio, la nostra Corte Suprema pronuncerà la prima sentenza definitiva nel processo numero uno (il più veloce) sulla lista Falciani, avviato nel 2009 contro un giocatore professionista di poker con 41 mila dollari in Svizzera.

Il verdetto della Cassazione è destinato a fare scuola per tutti gli altri clienti della Hsbc, che avevano depositi complessivi per 7,5 miliardi: la lista Falciani è utilizzabile dal fisco come prova? A questa domanda, che si ripete identica in tutti i processi, i giudici di primo e secondo grado hanno finora dato risposte contraddittorie. Tutto dipende dalla posizione geografica. Gli evasori di Genova, Pisa, Treviso o Verbania sono stati stangati. Chi abita a Pinerolo, Como o Avellino, invece, ha stravinto: lista inutilizzabile, fisco sconfitto.

L'incertezza e quindi l'imprevedibilità delle sentenze sulle tasse, secondo alcuni economisti, è uno dei problemi strutturali che tengono lontani gli investimenti stranieri. «In Italia i processi fiscali vengono decisi da giudici part-time, non professionisti», lamentano gli studiosi Giuseppe e Nicola Persico in un recente articolo su "lavoce.info", «e solo in Cassazione da giudici specializzati, ma oberati da cause di modesto valore».

I ricorsi contro il fisco, infatti, non vengono decisi dai normali tribunali, ma da organi particolari. Si chiamano commissioni tributarie, provinciali (in primo grado) e regionali (in secondo), e sono formate da volontari, in maggioranza privati: avvocati, commercialisti, professori, funzionari in pensione, geometri, ragionieri, agronomi. Su un totale di 3.419 componenti, i magistrati professionisti sono 1.543. Gli altri 1.876 sono privati che fanno i giudici come secondo lavoro, nei ritagli di tempo, con paghe bassissime: in media tra 200 e 400 euro al mese. Eppure davanti alle commissioni pendono 570 mila processi, per un valore totale di 52,6 miliardi di euro.

Affidare a privati sottopagati il potere di arbitrare cause milionarie è un sistema all'origine di infiniti scandali. L'ultima retata di giudici fiscali corrotti, a Bari, è partita da un'assurdità statistica: lo Stato perdeva il 98 per cento dei processi. Dagli affari privati di un giudice-geometra è nata, tra le tante, l'inchiesta sulla cosiddetta P3, che pilotava procedimenti a tutti i livelli. Nei fascicoli disciplinari del Consiglio di giustizia tributaria (una specie di Csm creato nel 1992), "l'Espresso" ha trovato casi di giudici tributari che erano contemporaneamente imputati di corruzione, bancarotta, prostituzione e, ironia della sorte, evasione fiscale. Per frenare il malcostume, negli ultimi anni il Consiglio ha radiato decine di avvocati e commercialisti che, mentre vestivano i panni di giudici imparziali, intascavano ricche parcelle dagli evasori, spesso attraverso mogli, amanti o soci di studio.

Consapevoli di queste anomalie, autorevoli giudici propongono di cambiare sistema. «La mia opinione è che le commissioni andrebbero soppresse», spiega il magistrato Piercamillo Davigo, che fa anche il giudice tributario dal 1979: «Affidare i processi fiscali ai magistrati ordinari o amministrativi offrirebbe più garanzie sia allo Stato sia ai contribuenti onesti. Naturalmente c'è il solito problema: per non paralizzare i tribunali già oberati di cause, bisognerebbe fare i concorsi e assumere nuovi magistrati».

L'attuale sistema delle commissioni aggrava anche le disuguaglianze economiche: gli evasori più ricchi possono pagarsi avvocati e consulenti in grado di schiacciare i funzionari che rappresentano lo Stato; mentre i contribuenti tartassati da un fisco forte con i deboli rischiano di non potersi permettere una difesa decente. Uno squilibrio aggravato dal «contributo unificato», imposto dall'ex ministro Tremonti per ridurre il numero di cause minori o inutili: nel 2014 sono stati presentati "solo" 181 mila ricorsi, 21 mila in meno del 2013. Secondo Davigo e altri giuristi, però, «invece di tassare chi chiede giustizia, forse sarebbe più sensato colpire con sentenze rapide e severe chi fa ricorsi pretestuosi».

Altri giudici, pur confermando i limiti delle commissioni, difendono «un sistema che sta migliorando». Il magistrato milanese Gaetano Santamaria, già presidente del Consiglio di giustizia tributaria, spiega che «gli abusi vanno stroncati, ma sarebbe sbagliato buttare via i collegi misti: anche nei processi ordinari, se c'è un minimo di complessità tecnica, i giudici si affidano alle perizie, cioè a privati lautamente remunerati. La commissione tributaria invece ha già al suo interno il revisore dei conti che sa leggere i bilanci, il ragioniere che fa gli estimi, il geometra che conosce i dati catastali...».

Fatto sta che, con tutti questi giudici privati, lo Stato perde. Secondo uno studio del "Sole24Ore" sulle sentenze emesse dalle commissioni provinciali tra il 1996 e il 2010, il fisco ha vinto solo quattro processi su dieci: l'accusa di evasione è stata cancellata totalmente in quasi due milioni di cause (45 per cento del totale), parzialmente in altre 642 mila (15 per cento). «Ma il vero problema è se le sentenze sono giuste o sbagliate», replica Santamaria: «Il calcolo va fatto sulle decisioni annullate in Cassazione: nei processi civili sono il 33,5 per cento, in quelli tributari il 33. Quindi le commissioni sbagliano come i giudici ordinari, anzi un po' meno». Ma perché in 60 casi su cento ha torto lo Stato? Con queste percentuali, nei processi in corso il fisco rischia di perdere più di 31 miliardi. «Alcuni uffici fiscali reclamano tasse esagerate o non dovute, costringendoci ad annullamenti sistematici», risponde Santamaria. «E spesso lo Stato non sa difendersi neppure quando avrebbe ragione». Su questo concorda anche Davigo: «Succede che il funzionario non si presenta, o porta il fascicolo sbagliato, o non parla perché era un caso seguito da un collega. Per fortuna, nei centri più importanti, ora l'amministrazione sta creando veri uffici legali, dove lavorano molti giovani preparati, anche se spesso precari».

In attesa delle riforme annunciate dal governo Renzi, che prevedono ad esempio un solo giudice per le cause di minor valore, il sistema resta caratterizzato da sentenze discutibili e contrastanti. Per tornare alla lista Falciani, alcuni verdetti l'hanno dichiarata «inutilizzabile» in quanto «sottratta illegalmente violando il segreto bancario svizzero». Per altri invece vale, perché è autentica e fu trasmessa ai magistrati di Torino con tutti i crismi delle rogatorie. A risolvere l'incertezza sarà la Cassazione con la sentenza spartiacque di metà aprile. Come anticipato da "l'Espresso", il fisco ha grandi probabilità di vittoria: il giudice incaricato di proporre la sentenza-pilota ai colleghi, infatti, ha spiegato nella relazione ufficiale che pagare le tasse è un «inderogabile dovere costituzionale», che vale più della privacy dei presunti evasori. Mentre il segreto bancario svizzero in Italia non esiste. Per cui il fisco può usare la lista Falciani «anche come unica prova». Una tesi in linea con la giustizia europea: la Corte Costituzionale tedesca, il 9 novembre 2010, aveva convalidato la «lista di Vaduz», cioè un altro elenco di evasori che fu comprato nel 2007 dai servizi segreti tedeschi. E poi usato perfino dalla Svizzera, ovviamente contro i propri evasori. In Italia invece pochissimi dei 394 clienti della banca di Vaduz hanno avuto problemi con la giustizia. E alcuni fortunati hanno già dribblato anche la lista Falciani: il 4 ottobre 2011 un giudice di Pinerolo, poi imitato da altri, non si è limitato ad assolvere un accusato di evasione, ma ha ordinato addirittura la «distruzione» della sua fetta di lista. Comunque decida la Cassazione, dunque, per il plotone dei miracolati sulla scia di Pinerolo la prova non c'è più.

«In Italia c'è un'evasione che non ha paragoni nel mondo civile e non è vero che sia impossibile ridurla», conclude Davigo: «Basterebbe applicare a tutti le leggi antimafia, che permettono di confiscare le ricchezze sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati». Un esempio pratico? «Se un tizio che si dichiara nullatenente viene fermato su una Ferrari, lo si fa scendere gentilmente. E la Ferrari se la tiene la Guardia di Finanza».

Paolo Biondani - l'Espresso

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giovedì 26 febbraio 2015

Bersani contro Renzi (...e speriamo che non si tratti del "Ruggito del Coniglio")

Domani uscirà su l'Avvenire una intervista a Bersani, che per una volta non mette "la ditta" davanti agli interessi generali, ma sembra fare il contrario. Per una volta, prova a mettere gli interessi della gente comune e il rispetto della Costituzione davanti agli interessi della "ditta". Se Bersani fa sul serio, da ora in poi, anzichè criticare certe leggi e poi votarle "per disciplina di partito", eserciti il diritto/dovere di ricordarsi che lui e gli altri della sinistra PD sono in Parlamento per esercitare i propri doveri di parlamentari SENZA VINCOLO DI MANDATO.

Da ora in poi Bersani, Civati, Cuperlo & C. li giudicheremo non per le critiche a perdere nei talk-shows, ma per come voteranno, provvedimento per provvedimento.

Tafanus

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mercoledì 25 febbraio 2015

L'annuncite cronica di Matteo Renzi, e la realtà

L'Italia Felix di Matteo Renzi può attendere. Mentre il Presidente di Frignano e i suoi vassalli sono piantati giorno e notte in tutti i talk-shows che la vita ci infligge per illustrarci la magnificenza dell'Italia di Matteo 'de Medici, le istituzioni internazionali, e "i fatti separati dalle pugnette" raccontano un'altra storia. Ci parlano di un'Italia che insegue la Grecia, di un paese corrotto, e di un governo "di sinistra" che finalmente sta riuscendo a realizzare i piani di Licio Gelli, caldeggiati nei decenni da Bettino Craxi, da Silvio Berlusconi, e ora realizzati, con un impegno degno di miglior causa, da Matteo Renzi. A cominciare dalla legge sulla responsabilità civile dei magistrati, proseguendo col programma del TG Unico in formato MinCulPop (o, se preferite, "in formato "Film Luce")

E mentre un giornale come Nature ci piazza come fanalino di coda in Europa per quasi tutti i parametri che misurano la civiltà di un paese, mentre la Corte dei Conti parla senza peli sulla lingua di "aleatorietà" delle entrate da "lotta all'evasione fiscale" e dei risparmi della desaparecida "spending review", mentre la Confindustria stappa lo champagne per il Giobatta e per le "tuteli crescenti" (per le aziende"), il nostro premier, tanto bravo che non ce lo meriteremmo, straparla addirittura di Annus Felix, con sprezzo del ridicolo. Ecco alcuni piccoli esempi...

Responsabilità civile dei magistrati: il piano Gelli/Craxi/Berlusconi è legge. Legge Renzi


La corte dei conti massacra la legge di stabilità

...e mentre l'Italia affondava, La Padania divorava 120 miliardi di lirette...

Anche per "Nature" l'Italia è la locomotiva d'Europa. Quella di coda...

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domenica 22 febbraio 2015

La Libia, Matteo Renzi, e "la faccia dell'armi"

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Nella prima sezione del suo editoriale odierno Eugenio Scalfari parla del velleitarismo soldatesco di Matteo Renzi con l'elmetto

Tripoli bel suol d'amore / sarai italiana al rombo del cannon": era il 1911 e l'Italia (governo Giolitti) conquistava lo "scatolone di sabbia" della Tripolitania, avendo mancato, preceduta dai francesi, di occupare la Tunisia allora molto più ambita. Mussolini e Pietro Nenni, da buoni socialisti quali erano, avevano cercato con tutti i mezzi di fermare la guerra, perfino facendo stendere i loro compagni sui binari dello snodo di Bologna per ostacolare i treni che portavano i soldati a Napoli e a Palermo per partire verso la Quarta Sponda, mentre Gabriele D'Annunzio celebrava l'impresa con le sue Canzoni d'Oltremare.

Tempi antichi, anzi antichissimi. La Libia  -  dove nel frattempo è stato scoperto il petrolio  -  non esiste più. Esistono governi che si odiano tra loro o fingono di ignorarsi: Tripoli, Tobruk con le bande di Bengasi e Misurata e circa duecento tribù della più varia estrazione e tre regioni geopolitiche: Cirenaica, Tripolitania e Fezzan. E poi il deserto e le sue oasi.

In aggiunta c'è anche una propaggine del Califfato, che non si sa bene a chi si riferisca perché i capi sono locali; hanno occupato Derna e Sirte. In questo "puzzle" si muovono liberamente spacciatori di uomini e di droghe, gli scafisti e gli schiavisti che conducono centinaia di migliaia di famiglie dall'Africa sub-equatoriale fino al mare e si dirigono verso l'Italia per poi, in grande maggioranza proseguire verso la Francia, la Germania, in Belgio insomma nell'Europa che offre più occasioni di lavoro. Ne muoiono a migliaia nel viaggio in mare ma il flusso non si arresta anzi crescerà sicuramente col passare del tempo.

Questa è la situazione dove l'Italia è tra i Paesi più minacciati, ma lo è anche l'Europa nel suo complesso. Perciò bisogna farvi fronte, bisogna indurre (costringere?) i governi libici ad una sorta di "union sacreé", bisogna prendere contatto con le principali tribù e arrivare ad un accordo.

Forse ci vorrà anche un'adeguata e non simbolica presenza di militari in funzione di "peacekeeping" o addirittura di "peace-enforcing" ma affinché siano adeguate al compito in un Paese che è sei volte l'Italia, gli esperti ne valutano la consistenza a novantamila uomini, più i necessari appoggi navali e soprattutto aerei. Pensare all'Egitto è inutile, non dispone di forze adeguate e comunque ha ben altri problemi da risolvere.

Chi deve fornire l'ombrello internazionale, sia per la mediazione politica sia per l'"enforcing" militare, sono (in teoria) l'Onu, l'Europa, la Nato.

Matteo Renzi, con la rapidità che gli è propria negli annunci, ha già rivendicato la guida italiana sia per l'aspetto politico sia per quello eventualmente militare. Del resto ricorre proprio oggi l'anniversario del suo insediamento a Palazzo Chigi un anno fa. La leadership anche sul caso libico sarebbe per lui (anche per noi italiani?) un vero e proprio festeggiamento.

Non so se Renzi conosca le canzoni di D'Annunzio, ma questa semmai sarebbe una lacuna trascurabile. Il vero guaio è che a questo fine le sedi decisionali sono fuori dalla sua portata. L'Onu non deciderà un bel niente, impedita come è dalla presenza della Russia e della Cina nel Consiglio di Sicurezza. È vero che il 2 marzo il nostro presidente del Consiglio andrà a Mosca per incontrare Putin. Sarà certamente accolto benissimo, una montagna di caviale e litri di vodka specialissima. Putin non si muove ma parla con tutti, dal presidente egiziano alla Angela Merkel e Hollande (lì però si parlava di Ucraina e il discorso è alquanto diverso).

A Renzi darà tutte le rassicurazioni: la Russia è contro il terrorismo e quindi non lo favorirà in nessun caso. Ma i terroristi libici hanno a che fare con il Califfato? Quello che è certo è che fornire truppe non è mai avvenuto in Africa e quindi è certo che truppe russe non ci saranno. Quanto al voto nel Consiglio dell'Onu, le varie nazioni che vi partecipano possono tutt'al più avallare un intervento solo se sarà stato deciso da altri enti internazionali ma non sotto la sua bandiera. Potrà nominare un moderatore, ma non sarà certo Putin a determinarne la scelta. Tantomeno Renzi. Saranno, ovviamente, gli Usa.

Il viaggio di Renzi a Mosca serve a metterlo in bella vista a Roma. Tornerà soddisfatto e ci racconterà di un pieno successo e questo è tutto. E l'Europa? Come sempre è divisa: la Francia vorrebbe una presenza militare, la Germania no. L'Italia, tutto sommato, neppure, sempre che non si riveli indispensabile. Insomma pensare ad un piano europeo per la Libia è escluso. Salvo la Mogherini, titolare della politica estera e della difesa dell'Ue. Via, come direbbe Enrico Mentana, questa è una mia battutaccia. Resta la Nato e questa sarebbe lo scudo più appropriato, ma anche qui sono gli Usa a decidere. Perciò, caro Renzi, rassegnati: sulla costa libica noi possiamo anzi dobbiamo occuparci solo degli sbarchi di immigranti sulla nostra costa ed anche questa non è una bazzecola. Il resto sarà deciso altrove. O forse  -  speriamo di no  -  da nessuno [...]

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Questo è quanto. Togliete l'elmetto a Gentiloni, alla Pinotta, a Renzino. Proprio questi non hanno la più pallida idea delle enormità che sparano a raffica, appena vedono un microfono o meglio una telecamera.

La Professoressa di Lettere Pinotti era già pronta a invadere la Libia con un esercito di ben... 5000 uomini. Ora, a prescindere dal fatto che l'ultimo paese al mondo adatto a questa bisogna sia l'Italia, paese che ha tentato di colonizzare la Libia, passeggiando su un mare di petrolio senza accorgersene; a prescindere dal fatto che i soldati italiani sono come le mucche di Fanfani nell'Opera Sila: sempre quelli, da spostare dall'Afghanistan "altrove"; a prescindere dal fatto che non si capisce la ratio di mettere l'Italia al centro del bersaglio dell'Isis, che dista 300 chilometri dall'Italia; a prescindere da tutto questo, spieghiamo alla Pinotti qualcosa, prima che corra in una show-room di Dolce & Gabbana a cercare un bel corsetto antiproiettile con scollo a V e un elmetto da cerimonia finemente serigrafato...

Dunque, 5000 soldatini, considerando le turnazioni, le malattie, i periodi di riposo, servono a coprire h24 a stento 1500 posizioni. E ora diamo qualche informazione alla Professoressa Pinotti:

  • # La Libia ha una superficie di 1.760.000 kmq, che sono esattamente 5,8 volte la superficie italiana (301.340 kmq)
  • # I nostri 1500 soldatini disponibli considerando le turnazioni, rappresentano un soldatino ogni 1.167 kmq di territorio libico
  • # Un'area di 1.167 kmq rappresenta, mal contato, un quadratino di  34 kms di lato
  • # Per dare un ordine di grandezza, a spanne ma non troppo si tratta di un quadrilatero (vedi illustrazione) chiuso ai quattro vertici da Busto Arsizio, Trezzo sull'Adda, Vigevano, Lodi:

1000-kmq

Ma dato che la Pinotti è una che se ne intende, certamente non manda il soldatino da solo a Milano, a coprire gli oltre mille kmq circostanti, ma ne manderà almeno dieci insieme... in un'area di 10.000 kmq. Armati di carte stradali dell'epoca dell'Impero, estremamente attrezzati con le dieci lingue arabe e le 150 etnie e tribù e gruppi di predoni, alle prese con due governi che pretendono di essere "quello legittimo", e coi tagliagole dell'Isis che possono essere "in cielo, in terra, nelle buche scavate nella sabbia, e in ogni dove"...

Qualcuno si affretti a regalare a Renzi, a Gentiloni e alla Pinotti una calcolatrice da due euri, un link a "google earth", e magari, se avanza, anche un cervello.

Tafanus

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sabato 21 febbraio 2015

Matteo Renzi - Professione: "Rottamatore Immaginario"

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In un anno di governo, Renzi ha avuto la possibilità di mettere in pratica una delle sue parole d’ordine vincenti: la rottamazione della vecchia classe dirigente. Quanto lo ha fatto davvero? Esaminando gli organigrammi al vertice dei ministeri, solo in piccola parte: meno di un quinto del totale (Francesco Daveri - lavoce.info)

È passato un anno da quando il segretario del Partito democratico Matteo Renzi ha sostituito Enrico Letta come primo ministro. Una volta diventato premier, Renzi ha avuto la possibilità di mettere in pratica una delle parole d’ordine vincenti della sua ascesa politica, quella della rottamazione, l’idea di sostituire molti politici, amministratori e burocrati inamovibili in modo da facilitare il cammino delle tante riforme economiche di cui l’Italia ha bisogno da molto tempo. Lo ha fatto?

I MANDARINI DEI MINISTERI - Per capire se la rottamazione che aveva in mente il premier è stata messa in pratica si può guardare che cosa è accaduto negli ultimi 12 mesi alle figure di vertice dei ministeri, a quelli che Renzi spesso chiama i mandarini. Con il governo Renzi è arrivata sul sito di Palazzo Chigi l’Amministrazione trasparente e altri passi sono stati fatti per ridurre la distanza tra i cittadini e il Palazzo. Nonostante questi progressi il raggiungimento della trasparenza nell’accesso ai curricila vitae e agli incarichi ricoperti da chi è nominato a svolgere incarichi pubblici è ancora un processo in itinere. Un lavoro certosino nei meandri dei siti dei vari ministeri consente però di arrivare a una stima approssimativa del numero dei mandarini, includendo nella lista – con un margine di incompletezza – le seguenti categorie di dirigenti: capo e vicecapo gabinetto, capo dipartimento, segretario e vicesegretario generale, direttore generale, capo segreteria tecnica, capo e vicecapo ufficio, consigliere.

Il conto assomma a 118 persone. Di queste, solo 36 (il 30,5 per cento del totale, tre mandarini su dieci) ricoprivano lo stesso ruolo già ai tempi del governo Letta. Se non è rottamazione, poco ci manca.

C’è però da dire che tra chi ha rimpiazzato i vecchi mandarini ci sono molti che hanno fruito di un meccanismo che si potrebbe definire di porte girevoli. Molti dirigenti che durante il governo Letta erano incardinati in un ministero o in un altro incarico nello stesso ministero, con il governo Renzi si sono ritrovati a occupare una poltrona diversa ma sempre ministeriale. Se il problema di cambiare verso per davvero è che i mandarini possiedono in maniera esclusiva e custodiscono gelosamente come il più prezioso dei tesori le informazioni che consentono a un ministero di operare, allora ruotarli tra ministeri non risolve il problema. Prima di parlare di rottamazione come di una missione compiuta bisogna quindi conteggiare anche quanti si sono alzati dalla poltrona precedente per accomodarsi su un’altra poltrona in altra sede ministeriale. I dati dicono che si tratta di un piccolo esercito di altre 60 persone.

EFFETTO PORTE GIREVOLI - Se dunque si sommano i confermati nel loro ruolo con i fruitori di questa informale rotazione degli incarichi, la rottamazione effettiva ottenuta dal governo ne esce molto ridimensionata. Gli ingressi di extra-ministeriali negli incarichi apicali dei ministeri scendono a 22. In gran parte provenienti dalle Camere e da altri incarichi negli enti locali e altre istituzioni intermedie. E se i nuovi ingressi sono meno di un quinto del totale, viene da concludere che, malgrado gli sforzi del premier rottamatore, la ragnatela dei mandarini nei ministeri continua a essere un tema di attualità.

CI VUOLE LA RIFORMA DELLA DIRIGENZA PUBBLICA - Del resto, inutile stupirsi: è il modello italiano di selezione della dirigenza che produce inamovibilità. È quindi grave che la riforma della dirigenza pubblica – una riforma che crei una sola lista di idonei in luogo delle due fasce attuali, che reperisca gli idonei in funzione delle loro competenze manageriali e che leghi una parte della remunerazione dei dirigenti pubblici al raggiungimento degli obiettivi – sia da mesi impantanata alla commissione Affari costituzionali del Senato.

(Raccolta dati a cura di Vincenzo Baldassarre e Martina Tornari)

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venerdì 20 febbraio 2015

L'Expò di Michele Serra: Dodici strati di tower-burger

ExpòEcco la novità che gli Stati Uniti presenteranno all'Expo. Un hamburger così alto che si deve mangiare stando in piedi. La Francia delude: in mostra un solo tipo di formaggio. I cinesi invece esporranno se stessi (di Michele Serra)

Moltissime, in tutto il mondo, le persone che hanno acquistato un biglietto per Expo. Se lo rigirano tra le mani felici, orgogliosi, rivolgendosi tutti la stessa domanda: «E adesso, che cosa me ne faccio?».

Da un recente sondaggio risulta infatti che, a poco più di due mesi dall'apertura di Expo, nemmeno gli organizzatori hanno capito esattamente di che cosa di tratta. È un effetto-sorpresa molto elettrizzante, che aumenta di molto il fascino della manifestazione. Pochissime le indiscrezioni fin qui trapelate.

I CINESI - I dieci milioni di cinesi che hanno già acquistato il biglietto costituiranno, essi stessi, una delle principali attrazioni di Expo. Circa la metà verrà convogliata nell'enorme padiglione della Cina, dove daranno vita a un continuo, variopinto via vai di grande suggestione, tipicamente cinese, che sarà il vero contenuto di quel padiglione, per il resto completamente vuoto.

Farà eccezione un piccolo stand, posto esattamente al centro del gigantesco spazio, nel quale verranno esposte, in omaggio alle problematiche del cibo, bacchette di recente progettazione grazie alle quali pare che d'ora in poi i cinesi riusciranno a mangiare: fino ad oggi - secondo dati della Fao - l'ottanta per cento del cibo consumato in Cina cadeva per terra durante i pasti a causa delle bacchette. Molta curiosità sulle bacchette di nuova concezione che Expo avrà l'onore di presentare in anteprima mondiale: c'è chi dice che siano ricoperte di nastro biadesivo per permettere al cibo di aderire meglio, chi garantisce che sono fissate tre per volta a una specie di manico assumendo una foggia molto simile a una forchetta.

GLI ALTRI CINESI - I cinque milioni di cinesi in eccesso verranno utilizzati per simulare la presenza a Expo anche di visitatori di altri paesi. Travestiti accuratamente e già addestrati in patria, si fingeranno americani, mongoli, congolesi, brasiliani eccetera a seconda delle necessità degli organizzatori. Chi li ha già visti all'opera assicura che la loro interpretazione è magistrale, essendo l'arte dell'imitazione uno dei punti di forza di quelle popolazioni. Unico problema, se sentono suonare un gong tradiscono subito la loro provenienza assumendo la posizione tipica delle arti marziali.

UCRAINA - Il piccolo padiglione ucraino sarà diviso in due parti, una filorussa e l'altra filoeuropea. Per impedire che le tradizionali polpette di carne bovina impastata con corteccia di betulla vengano usate come proiettili per colpire la parte avversa, il padiglione sarà diviso da una enorme vetrata infrangibile e sorvegliato dai caschi blu dell'Onu.

CamambertFRANCIA - L'idea era di esporre, tutti insieme, i settecentotrenta tipi di formaggi rappresentativi della straordinaria varietà della produzione nazionale francese. Purtroppo, durante la selezione, gli esperti si sono resi conto che i formaggi francesi sono quasi tutti identici l'uno all'altro. Con l'eccezione del Roupillon, che è triangolare, e del Bombac, che è un liquido sieroso contenuto in scatolette di legno, tutti gli altri formaggi francesi sono forme rotonde di circa venti centimetri di diametro, molto stagionate, di consistenza morbida, con la buccia bianca, l'interno giallo e il caratteristico odore di camembert. È stato dunque deciso, per evitare polemiche, di esporre solo una forma di camembert.

USA - Come sempre gli americani stupiranno il mondo. Presenteranno a Expo il nuovo tower-burger a dodici strati, un hamburger così alto che al suo interno viene collocato un piccolo ascensore a pile per trasportare le salse anche ai piani più alti. Per mangiarlo, una volta messo sul piatto, occorre stare in piedi sulla sedia.

PADIGLIONE ANONIMO - Si vocifera molto a proposito del padiglione di una Nazione nella quale si mangia talmente male che a Milano esporrà i suoi prodotti in forma anonima.

Michele Serra

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L'Expò di Michele Serra: Dodici strati di tower-burger

ExpòEcco la novità che gli Stati Uniti presenteranno all'Expo. Un hamburger così alto che si deve mangiare stando in piedi. La Francia delude: in mostra un solo tipo di formaggio. I cinesi invece esporranno se stessi (di Michele Serra)

Moltissime, in tutto il mondo, le persone che hanno acquistato un biglietto per Expo. Se lo rigirano tra le mani felici, orgogliosi, rivolgendosi tutti la stessa domanda: «E adesso, che cosa me ne faccio?».

Da un recente sondaggio risulta infatti che, a poco più di due mesi dall'apertura di Expo, nemmeno gli organizzatori hanno capito esattamente di che cosa di tratta. È un effetto-sorpresa molto elettrizzante, che aumenta di molto il fascino della manifestazione. Pochissime le indiscrezioni fin qui trapelate.

I CINESI - I dieci milioni di cinesi che hanno già acquistato il biglietto costituiranno, essi stessi, una delle principali attrazioni di Expo. Circa la metà verrà convogliata nell'enorme padiglione della Cina, dove daranno vita a un continuo, variopinto via vai di grande suggestione, tipicamente cinese, che sarà il vero contenuto di quel padiglione, per il resto completamente vuoto.

Farà eccezione un piccolo stand, posto esattamente al centro del gigantesco spazio, nel quale verranno esposte, in omaggio alle problematiche del cibo, bacchette di recente progettazione grazie alle quali pare che d'ora in poi i cinesi riusciranno a mangiare: fino ad oggi - secondo dati della Fao - l'ottanta per cento del cibo consumato in Cina cadeva per terra durante i pasti a causa delle bacchette. Molta curiosità sulle bacchette di nuova concezione che Expo avrà l'onore di presentare in anteprima mondiale: c'è chi dice che siano ricoperte di nastro biadesivo per permettere al cibo di aderire meglio, chi garantisce che sono fissate tre per volta a una specie di manico assumendo una foggia molto simile a una forchetta.

GLI ALTRI CINESI - I cinque milioni di cinesi in eccesso verranno utilizzati per simulare la presenza a Expo anche di visitatori di altri paesi. Travestiti accuratamente e già addestrati in patria, si fingeranno americani, mongoli, congolesi, brasiliani eccetera a seconda delle necessità degli organizzatori. Chi li ha già visti all'opera assicura che la loro interpretazione è magistrale, essendo l'arte dell'imitazione uno dei punti di forza di quelle popolazioni. Unico problema, se sentono suonare un gong tradiscono subito la loro provenienza assumendo la posizione tipica delle arti marziali.

UCRAINA - Il piccolo padiglione ucraino sarà diviso in due parti, una filorussa e l'altra filoeuropea. Per impedire che le tradizionali polpette di carne bovina impastata con corteccia di betulla vengano usate come proiettili per colpire la parte avversa, il padiglione sarà diviso da una enorme vetrata infrangibile e sorvegliato dai caschi blu dell'Onu.

CamambertFRANCIA - L'idea era di esporre, tutti insieme, i settecentotrenta tipi di formaggi rappresentativi della straordinaria varietà della produzione nazionale francese. Purtroppo, durante la selezione, gli esperti si sono resi conto che i formaggi francesi sono quasi tutti identici l'uno all'altro. Con l'eccezione del Roupillon, che è triangolare, e del Bombac, che è un liquido sieroso contenuto in scatolette di legno, tutti gli altri formaggi francesi sono forme rotonde di circa venti centimetri di diametro, molto stagionate, di consistenza morbida, con la buccia bianca, l'interno giallo e il caratteristico odore di camembert. È stato dunque deciso, per evitare polemiche, di esporre solo una forma di camembert.

USA - Come sempre gli americani stupiranno il mondo. Presenteranno a Expo il nuovo tower-burger a dodici strati, un hamburger così alto che al suo interno viene collocato un piccolo ascensore a pile per trasportare le salse anche ai piani più alti. Per mangiarlo, una volta messo sul piatto, occorre stare in piedi sulla sedia.

PADIGLIONE ANONIMO - Si vocifera molto a proposito del padiglione di una Nazione nella quale si mangia talmente male che a Milano esporrà i suoi prodotti in forma anonima.

Michele Serra

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mercoledì 18 febbraio 2015

Frode fiscale e associazione a delinquere - Mannheimer patteggia un anno e 11 mesi con la condizionale

Il sondaggista ha risarcito integralmente il «danno tributario», versando all’Agenzia delle Entrate circa 6,3 milioni di euro (Fonte: corriere.it)

Mannheimer-vespa-berlusconi

Il sondaggista Renato Mannheimer, accusato di associazione a delinquere per una presunta frode fiscale da circa 10 milioni di euro, ha patteggiato 1 anno e 11 mesi con la sospensione condizionale della pena. Il gup di Milano Cristina Di Censo, nel ratificare il patteggiamento, ha spiegato nelle motivazioni che il presidente dell’Ispo ha risarcito integralmente il «danno tributario», versando all’ Agenzia delle Entrate circa 6,3 milioni di euro. Il giudice, ratificando gli accordi tra accusa e difese, ha accolto anche i patteggiamenti a 1 anno e 11 mesi e 11 giorni per il commercialista Francesco Merlo, a 1 anno e 11 mesi per il tunisino Hedi Kamoun e a 2 anni e 4 mesi per un altro imputato, Giovanni Battista Colleoni. Sono stati assolti, invece, due imputati, Emanuela Ajelli e Umberto Ajelli, che erano a processo con rito abbreviato. Altri due, Dan Singer e Angela Corbetta, sono stati rinviati a giudizio e il processo inizierà il prossimo 17 aprile.

Risarcimenti integrali - Nelle motivazioni della sentenza il giudice ha scritto che sono stati «determinanti» nella valutazione della pena sospesa per Mannheimer, difeso dal professore Mario Zanchetti, «gli intervenuti risarcimenti integrali del danno tributario». Il gup, inoltre, ha spiegato che il sondaggista ha assunto nel procedimento un atteggiamento «remissivo, leale e collaborativo». Lo scorso ottobre, il pm Adriano Scudieri, dopo aver chiuso le indagini a febbraio, aveva chiesto il processo per Mannheimer e altre nove persone per un presunto sistema fraudolento che sarebbe stato messo in atto per aggirare il fisco attraverso false fatture e società esistenti solo sulla carta. Il sondaggista, in particolare, era accusato di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e all’utilizzo di false fatture per operazioni inesistenti (per circa 30 milioni di euro), assieme ad altre quattro persone, tra cui Merlo. Poi è arrivato l’accordo per il patteggiamento dopo il risarcimento all’Agenzia delle Entrate.

Le società di comodo - Secondo le indagini, sarebbe stato proprio Mannheimer «l’ideatore e beneficiario dell’attività fraudolenta, posta in essere attraverso il consulente e commercialista Merlo» e tramite le cosiddette società «filtro» e una serie di società «cartiere» tunisine. Mannheimer, come si legge nell’imputazione, si sarebbe servito «al fine di evadere le imposte sui redditi e sull’Iva, nelle dichiarazioni fiscali societarie per gli anni dal 2004 al 2010» di fatture «per operazioni inesistenti».

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martedì 17 febbraio 2015

Berlusconi e le Olgettine: quanto costa un harem?

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Una serie di perquisizioni domiciliari nei confronti delle ragazze che hanno preso parte alle serate di Arcore e indagate per corruzione in atti giudiziari è stata eseguita martedì nell’ambito dell’inchiesta «Ruby ter». Secondo quanto è emerso dagli accertamenti, Berlusconi continuerebbe a retribuire le giovani presenti alle cene, ascoltate come testimoni nei processi su Ruby. Gli investigatori hanno scoperto acquisizioni di immobili sospette da parte di alcune di loro, con alto tenore di vita rispetto ai redditi dichiarati. In particolare, Barbara Guerra abita in una villa da un milione di euro disegnata dal famoso architetto Gregorio Botta che le sarebbe stata messa a disposizione da Berlusconi. Guerra non voleva aprire la porta agli investigatori e lo ha fatto solo quando sono arrivati i vigili del fuoco. Nel 2013 l’ex premier aveva sospeso i versamenti mensili da 2.500 euro alle «olgettine» ma, secondo la Procura di Milano, i pagamenti alle ragazze che avrebbero testimoniato il falso nei processi sono proseguiti sotto altre forme. Sarebbero stati individuati infatti, tramite analisi sulle movimentazioni bancarie, altri versamenti sui conti correnti delle giovani (soldi che non compaiono, però, nelle loro dichiarazioni dei redditi) e anche alcune acquisizioni sospette di immobili.

«Corruzione in atti giudiziari» - Tra l’altro, un nuovo capo di imputazione per corruzione in atti giudiziari (emerso con una proroga delle indagini a dicembre) riguarderebbe proprio l’offerta da parte di Berlusconi di due case per Barbara Guerra e Iris Berardi. Le due giovani prima si erano costituite parti civili nel processo a carico di Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, poi avevano revocato la loro costituzione. Indagato in questa nuova imputazione anche Francesco Magnano, noto come il «geometra di Arcore». Alle ragazze perquisite, una ventina in tutto, gli investigatori hanno sequestrato i pc e i telefoni per analizzare anche i messaggi che si sono scambiate. È stata perquisita anche l’abitazione dell’avvocato Luca Giuliante, mentre il legale era a Vicenza per un processo. A rendere noti i nuovi accertamenti è stato il procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati, «ai fini di una completa informazione, tenuto conto del rilievo della vicenda». Le perquisizioni hanno riguardato anche la stessa Karima El Marough nella sua abitazione di Genova. Le operazioni sono iniziate all’alba di martedì e vi partecipano anche i pm Luca Gaglio e Tiziana Siciliano.

Movimenti di denaro - Fonti giudiziarie aggiungono che le ragazze perquisite sono «una ventina», e si tratta di quelle indagate per corruzione e non solo per falsa testimonianza. Le perquisizioni, precisano le fonti, sono state decise a causa di nuovi recenti movimenti di denaro su conti correnti. L’inchiesta chiamata «Ruby ter», dal nome d’arte di Karima El Marough, la giovane marocchina da cui originarono i processi (che hanno visto Berlusconi assolto in appello dalle accuse di concussione e prostituzione minorile), ha origine dalle motivazioni delle sentenze dei due processi di primo grado, nelle quali il Tribunale rinviò gli atti alla procura perché procedesse per valutare un eventuale condizionamento dei testimoni. Nell’inchiesta, condotta dal procuratore aggiunto Pietro Forno e dai pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, risultano indagati lo stesso Berlusconi e altre 44 persone, fra ragazze che parteciparono alle feste nella residenza dell’ex premier ad Arcore, altri testimoni e avvocati. Tutti gli indagati hanno respinto gli addebiti quando, nel gennaio dello scorso anno, la procura diede notizia dell’avvio dell’indagine con un comunicato.

No comment - Nel corso delle perquisizioni è stato sequestrato anche un pc a casa dell’avvocato Luca Giuliante, uno degli indagati nell’ ambito dell’inchiesta cosiddetta Ruby ter. Quando sono arrivati gli investigatori a casa del legale, l’avvocato non c’era, ma c’era soltanto la sua compagna. Anche nelle altre perquisizioni a carico delle cosiddette olgettine gli investigatori hanno cercato file e sequestrato materiale informatico. Giuliante non ha voluto commentare l’accaduto. (Fonte: corriere.it)

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lunedì 16 febbraio 2015

Dopo la Santanché candidata premier e Maria Elena Boschi Ministra, come potrete sorprenderci ancora?

 
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Sono quasi affascinato dalla pressoché totale impalpabilità del Ministro Karina Huff Boschi: l’arroganza vacua al potere, se è lecito asserirlo. In Commissione Affari Costituzionali raccontano che, quando qualcuno osa discutere il testo della riforma del “nuovo” Senato, la bravissima Pacioccona Mannara – che sta a Renzi come Intini a Craxi – si esibisca in bambinesche faccette sdegnate: chissà, forse è la sua massima sintesi politica.

E’ un Ministro dalle mille risorse. La bravissima Karina Huff Boschi è quella che, se la critichi, sei sessista (ma com’è che non eravamo “sessisti” quando attaccavamo Santanché e Gelmini? Il sessismo vale solo con le “politiche” di “sinistra”?)

Maria elena boschiLa bravissima Karina Huff Boschi è quella che “io non ne sapevo nulla dell’immunità“, però poi si è visto che lo sapeva benissimo. La bravissima Karina Huff Boschi è quella che, quando asserisce qualcosa di arguto, forse non è lei ma Virginia Raffaele. La bravissima Karina Huff Boschi è quella che, forse nel suo discorso politico più pregno di contenuti, ha sentenziato: “Fo’accia skiaccia sciamaninnnn”. La bravissima Karina Huff Boschi è quella che è diventata repentinamente Ministro, anche se i meriti sfolgoranti per assurgere a tale ruolo – sempre se è lecito asserirlo – un po’ si ignorano.

La bravissima Karina Huff Boschi è quella che ama il giornalismo libero, a patto però che le diano ragione (chiedere anche a Lucia Annunziata, nota anti-renziana e grillina barricadera). La bravissima Karina Huff Boschi è quella che, se Rodotà o Zagrebelsky attaccano le sue (va bbe’) idee (va bbe’) di riforme costituzionali, sbuffa insolentita: “Basta con questi professoroni, ci sono altri costituzionalisti che la pensano come me gne gne gne”, e nessuno ha ancora capito chi siano ‘sti costituzionalisti che la pensano (?) come la Boschi.

Tratteggiata come una sorta di Dea Angelica da quasi tutta la stampa italiana, che si dilunga nel raccontare meticolosamente come Gengis Maria Elena sogni un figlio e ami le patatine fritte, la vagamente giunonica (commento sessista) Karina Huff Boschi ricorda un po’ le compagne di classe secchione e quasi-carine che andavano volontarie alle interrogazioni, recitavano la paginetta a memoria e alla prima domanda appena fuori protocollo si guardavano in giro spaesate e pensavano: “Uffa, questo mica c’era scritto nel libro”. E poi mettevano il broncio, perché qualche “professorone” da rottamare aveva osato dar loro meno di 7,5.

Se l’atteggiamento tenuto dalla Boschi fosse ora caratteristica di una Biancofiore o una Taverna, tanti colleghi “de sinistra” farebbero le barricate e griderebbero alla “democrazia a rischio autoritarismo”. Ma se a voler far carne di porco delle regole è il renzismo va tutto bene, e chi non ci sta è gufo, disfattista e rosicone (il renziano ultrà, a tali critiche, suole rispondere con cose tipo: “La Boschi ti piace proprio tanto eh?”... Concetti forti, ecco).

Di perversioni ne esistono tante, alcune delle quali – va detto – assai soddisfacenti, ma eleggere Karina Huff Boschi a madrina costituente è forse un po’ troppo hard. Davvero vogliamo farci così male? Perché? In nome di quale astruso masochismo politico? Verrebbe quasi da intonare un nuovo grido di battaglia: “Aridatece Mara Carfagna”. Almeno è bella davvero (commento sessista) e soprattutto (commento politico) in confronto sembra Kierkegaard.

Andrea Scanzi

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sabato 14 febbraio 2015

Off Topics del 14 Febbraio 2015: Sanscemo e il trionfo dello stile

...una volta a Sanscemo c'era la censura per le calze velate, per le gonne sopra al ginocchio, per qualche parolaccetta d'uso comune entrata persino negli oratori... A quando un Sanscemo MinCulPop che censuri il cattivo gusto?

Votate per il vostro "neopeggio" spreferito!

Arisha1 Atzei
Arisa                                              Atzei

Masini-tocchiamoci Moreno-zompafuosso
Masini                                          Moreno

Platinette-by-botero Raf1
Platinette                                                 Raf

Tatangelo1 Zilli-inguardabile
Tatangelo                                                     Zilli

 

venerdì 13 febbraio 2015

La lista Falciani, con alcuni errori, ma con tanti nomi di "sospettabili" veri

L'Espresso in edicola pubblica una lista di nomi della "Pregiata Lista Falciani". Fra tanti evasori veri, c'è anche qualche scivolone di contorno. Per esempio l'attribuzione a Civati (che, come si sa, non mi è particolarmente simpatico), di un ridicolo conto da ben 6.589 dollari, peraltro intestato al padre, sembra usato per lavoro e dichiarato. Ma ciò non toglie che il "bulk" della lista Falciani sia costiituito da nomi di evasori belli tosti, grossi e vergognosi. Vediamo cosa scrive l'Espresso:

Espresso
Dal presidente di Telecom all'ex rettore della Bocconi, da Pippo Civati a Davide Serra, dall'erede della Beretta al re dei panzerotti. Ecco i primi nomi degli italiani nella lista Falciani
(di paolo biondani, alfredo faieta, vittorio malagutti, gloria riva e leo sisti)


Eccoli, gli italiani della lista Falciani. Eccolo, l'elenco segreto dei clienti della banca Hsbc di Ginevra che da almeno cinque anni rimbalza tra procure della repubblica, Guardia di Finanza e servizi segreti. Tra i nomi più conosciuti troviamo il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, e l'amministratore delegato di Benetton, Eugenio Marco Airoldi. Il sondaggista Renato Mannheimer e l'imprenditore Giulio Malgara. L'ex rettore dell'università Bocconi, Luigi Guatri, e Giancarlo Giammetti, da decenni stretto collaboratore dello stilista Valentino Garavani, anche lui, come già emerso nei giorni scorsi, presente nella lista. La somma record, 606 milioni di dollari (540 milioni di euro), viene però associata agli eredi di Bruno De Mico, il costruttore, morto nel 2010, che negli anni Ottanta fu al centro di uno dei più clamorosi scandali, dell'era pre Tangentopoli.

In tempi e circostanze diverse, tutti i personaggi menzionati nell'elenco sono approdati in Svizzera, alla filiale di Ginevra della grande banca britannica HSBC. Un'inchiesta dell'International Consortium of Investigative Journalists (Icij), a cui "l'Espresso" ha collaborato in esclusiva per l'Italia, è ora in grado di rivelare nel dettagli i contenuti di questo colossale database. Sono oltre 100 mila i clienti provenienti da 200 Paesi diversi che compaiono nei file dell'istituto elvetico.

E il made in Italy, con 7.499 nomi, è ampiamente rappresentato. Si va dai vip già emersi nel giorni scorsi come il pilota Valentino Rossi e Flavio Briatore (residente all'estero) fino a decine di imprenditori, commercianti, professionisti, artigiani sconosciuti alle cronache. La lista fotografa una situazione che risale al 2007. L'anno successivo, il consulente informatico Hervé Falciani riuscì a sottrarre i dati alla banca per cui lavorava, mettendoli a disposizione della magistratura francese (vedi articolo a pag. 34)

I POLITICI - Sono due i parlamentari citati nella lista Falciani. Uno è Giorgio Stracquadanio, radicale passato a Forza Italia, molto legato a Marcello Dell'Utri. Stracquadanio è morto nel gennaio 2014, ma dai documenti bancari risulta che nel 2007 il suo conto alla Hsbc di Ginevra aveva una disponibilità di 10,7 milioni di dollari. «Non ho alcun commento da fare», ha dichiarato la sorella di Giorgio, Tiziana Stracquadanio, a cui era cointestato il conto insieme al padre Raffaele.

Il parlamentare del Pd Giuseppe "Pippo" Civati, già candidato alla segreteria del partito, viene invece collegato a un deposito con soli 6.589 dollari di cui è titolare suo padre Roberto, classe 1943, in passato amministratore di aziende importanti come la Redaelli Tecna di Milano. «Non ho mai avuto accesso a quel conto, di cui non sapevo proprio niente», ha dichiarato Civati a "l'Espresso". «Solo ora mio padre mi ha spiegato», ha aggiunto, «di averlo aperto quando era amministratore e azionista della Redaelli, che aveva fabbriche anche all'estero. C'erano soldi della Redfin, la finanziaria del gruppo, regolarmente dichiarati nei bilanci». Gli atti di Falciani documentano che Civati, così come sua madre, è stato inserito nelle carte della banca nel novembre 2000, quando aveva 25 anni: l'unica operazione registrata a suo nome coincide con la procura rilasciatagli dal padre. «Nel 2011 la Finanza ha sottoposto mio padre a una verifica a cui non è seguita alcuna contestazione», precisa Civati che ha anche spiegato che il deposito, come risulta dall'estratto conto, «si è estinto nel 2011 per effetto delle spese bancarie, senza che dal 1998 sia mai stato effettuato alcun versamento o prelievo».

Pubblico questo inutilmente lungo paragrafo su Civati per dire ai giornalisti dell'Espresso che forse se lo potevano risparmiare...

GLI SCUDATI - Secondo i dati delle Fiamme Gialle sono stati ben 1.264 gli italiani della lista Falciani che sono riusciti a mettersi in regola grazie allo scudo fiscale, il condono varato per l'ultima volta nel 2009 dal governo Berlusconi. A conti fatti, si scopre così che le indagini hanno portato alla denuncia alla magistratura di soli 190 presunti evasori. È la conferma che il meccanismo legale ideato dall'ex ministro Giulio Tremonti per consentire il rimpatrio dei capitali esportati illegalmente all'estero si è trasformato in un salvacondotto di massa. In effetti, molti dei clienti della HSBC interpellati da "l'Espresso" hanno precisato di aver sfruttato lo scudo fiscale per riportare in Italia i loro soldi. È questa, per esempio, la spiegazione fornita dall'ex rettore della Bocconi Guatri che, interpellato per questo articolo, ha detto di «non ricordare» questo conto all'HSBC, ma di «aver comunque aderito allo scudo fiscale alcuni anni fa».

Il finanziere Luigi Maria Clementi, presidente del gruppo turistico I Grandi Viaggi (quotato in Borsa), ha invece rimpatriato 134 milioni di dollari nel 2009, con l'ultimo dei tre condoni. L'elenco dei salvati dallo scudo comprende lo stilista Roberto Cavalli, con un deposito di 1,7 milioni di dollari. Cavalli ha dichiarato tramite portavoce di aver regolarizzato la sua posizione. Lo scudo ha dato una mano anche all'avvocato d'affari Alberto Ledda che compare nella lista Falciani (con 402 mila dollari) al pari del brianzolo Enrico Ferrari (4,1 milioni), già direttore dell'Autodromo di Monza, sotto processo per presunti reati legati al gestione della pista, dei due fratelli Claudio e Alberto Pederzani (10,3 milioni), gioiellieri con vetrina in via Monte Napoleone e di Manuela Ronchi (72 mila euro), ex manager del ciclista Marco Pantani.

«TUTTO IN REGOLA» - Il tesoro dei settemila italiani vale 6,8 miliardi di euro, ma almeno la metà dei conti risultavano vuoti alla fine del 2007, perché chiusi oppure svuotati. I nomi della lista sono ordinati per data di nascita, professione e città di residenza, in qualche caso viene indicata la società, quasi sempre registrata in un paradiso fiscale, a cui è stato intestato il deposito. Tutto questo non basta, ovviamente, per qualificare come evasori fiscali i clienti della Hsbc di Ginevra. Trasferire denaro in una banca svizzera non è di per sé un reato, se le disponibilità all'estero vengono segnalate nella dichiarazione dei redditi. Recchi, il presidente di Telecom, fa per esempio sapere che il suo conto, chiuso nel 2004, rappresenta un investimento personale regolarmente denunciato. Stesso discorso per il numero uno di Benetton, Airoldi: «Sono investimenti effettuati tramite fiduciaria, legittimamente detenuti e regolarmente dichiarati in Italia», ha spiegato il manager a "l'Espresso". Edoarda Vesel Crociani, proprietaria del gruppo Vitrociset, che produce radar e sistemi elettronici, risulta invece intestataria insieme a due famigliari di un conto su cui a fine 2007 erano depositati poco più di 15 milioni.

Edoarda Vesel è la vedova di Camillo Cruciani, il manager di Stato, morto nel 1980, coinvolto nello scandalo Lockheed. Il suo legale ha spiegato che «la signora Vesel Crociani ha definitivamente lasciato l'Italia dal 1976, per trasferirsi con la propria famiglia prima in Messico, poi negli Stati Uniti e dal 1980 a Montecarlo, dove ha acquisito la nazionalità monegasca», per cui «non ha alcun obbligo di dichiarare alle autorità italiane il proprio conto, sul quale non sono mai confluiti redditi provenienti dall'Italia».

Residente all'estero da molti anni, per la precisione 18, è anche Davide Serra, il finanziere con base a Londra salito alla ribalta come sponsor e sostenitore del premier Matteo Renzi. Tramite un portavoce, Serra ha confermato di essere titolare di un conto all'Hsbc di Ginevra «in totale trasparenza e in accordo con il sistema fiscale inglese». Salvatore Mancuso, già vicepresidente di Alitalia e consigliere dell'Enel, paga le tasse in Italia ma a Lugano si trova la sede operativa del fondo d'investimento Equinox, di cui è fondatore e gestore. Il suo conto alla Hsbc di Ginevra (1,5 milioni nel 2007), fa sapere Mancuso, è quindi collegato alle sue attività in Svizzera.

SMEMORATI - «Francamente non ricordo di avere mai avuto un conto alla Hsbc di Ginevra», dice Luigi Zunino, l'uomo d'affari costretto quattro anni fa a cedere alle banche creditrici il controllo del suo gruppo immobiliare Risanamento. Zunino viene indicato nella lista Falciani come titolare di un deposito aperto nel 1998 e chiuso nel 2002. Nell'elenco della Hsbc compare anche Renato Mannheimer, il sondaggista già coinvolto in un'inchiesta per evasione fiscale. Mannheimer però ha detto a "l'Espresso" di «non avere memoria di quel conto svizzero». Anche Franco Gussalli Beretta, 50 anni, dirigente e azionista della grande fabbrica d'armi bresciana, ha un conto con 4 milioni e 136 mila dollari. Sull'argomento però Beretta non ha nulla da dire, salvo precisare che «la complessità della mia posizione fiscale e patrimoniale richiede il supporto di consulenti che gestiscono e tutelano i miei interessi nel rispetto delle normative italiane ed internazionali».

QUESTIONI DI FAMIGLIA - Manfredi Catella, l'immobiliarista di Hines Italia, a fine 2007 aveva 922 mila dollari alla Hsbc di Ginevra. A "l'Espresso" dichiara che «si trattava di un lascito ereditario su cui ho pagato le tasse in Italia: sono residente a Milano e non ho mai avuto bisogno di fare lo scudo». I legami famigliari sarebbero all'origine anche di un conto che nella lista Falciani viene attribuito a Maurizio Barracco, manager di lungo corso che ora siede alla presidenza del Banco di Napoli, gruppo Intesa. Il deposito risulta intestato al Carrobio Trust, aperto – spiega Barracco – negli anni Novanta «per motivi successori ma chiuso nel 2004 senza che abbia effettuato alcuna transazione». Luigi Luini, conosciuto a Milano come il "re dei panzerotti" nel 2007 aveva un conto da circa 250 mila dollari all'Hsbc.«Era un conto di famiglia, chiuso da anni, su cui l'Agenzia delle Entrate non ha formulato rilievi», spiega Luini.

NIENTE DA DICHIARARE - «Non ho nulla da dire», questa la dichiarazione di Ludina Barzini, giornalista e scrittrice, interpellata da "l'Espresso". Secondo i file, Barzini a fine 2007 poteva disporre di oltre 7 milioni di dollari sul suo conto all'Hsbc. Stefania Sandrelli, che già nel 2011 venne accostata alla lista Falciani, compare nei documenti con un deposito di circa 425 mila dollari. Anche questa volta però, come 4 anni fa, l'attrice ha rispettato la consegna del silenzio. Le richieste di chiarimenti sono state respinte anche da altri clienti noti alle cronache come la figlia di Raul Gardini, Eleonora, a cui è associato un deposito di 722 mila dollari. La cantante Ornella Vanoni, pure lei in lista, ha rimandato al mittente le richieste di chiarimenti. Niente da dichiarare neppure da parte di Giulio Burchi, un manager che ha ricoperto diversi incarichi privati e pubblici, tra i quali, da ultimo, quello di consigliere della nuova autostrada Milano-Brescia. Burchi risulta titolare di un conto da circa 180 mila dollari. Marina Nissim, vicepresidente e azionista del Bolton group, quello del tonno Riomare e del Borotalco, compare nella lista come titolare di un conto con oltre 3 milioni di dollari. Un conto numerato identificato come "5529 BIG" a cui aveva accesso anche il fratello Gabriele e come procuratore l'inglese Freddy Roland Martell. Le richieste di informazioni inviate via mail all'indirizzo della manager milanese sono rimaste senza risposta. Anche Abramo e Raffaele Galante hanno preferito non commentare. Secondo i documenti ai due fratelli che controllano Digital Bros, azienda di videogiochi quotata in Borsa, sarebbero riferibili due conti per un totale di 650 mila dollari. Nessuna riposta neppure dall'imprenditore Adolfo Savini, fondatore del gruppo Olidata. Savini risulta associato a un conto con 18,5 milioni di dollari.

IMPUTATI & CONDANNATI - Nella lista Falciani spuntano alcuni protagonisti del processo Mediaset. Daniele Lorenzano, ex dirigente Fininvest, si è visto infliggere tre anni e otto mesi per frode fiscale nel processo chiuso nel 2013 con la condanna di Silvio Berlusconi. Lorenzano è indicato dalla Hsbc come titolare di sette conti svizzeri: tra il 2006 e il 2007, quando era già in corso l'inchiesta milanese, aveva ancora un milione e 239 mila dollari, poi scesi a 830 mila. Le sentenze del caso Mediaset gli attribuiscono un ruolo fondamentale nella frode fiscale, ricompensato da Berlusconi con oltre 12 milioni di dollari nascosti all'estero. Lorenzano ha fatto sapere a "l'Espresso" che «vive fuori dall'Italia dal 1992 ed è iscritto all'anagrafe dei residenti all'estero (Aire)», per cui «non è soggetto al fisco italiano e non ha mai dovuto fare condoni».

Il conto alla Hsbc è invece costato un guaio fiscale all'imprenditore Giorgio Dal Negro, assolto nel processo Mediaset per mancanza di dolo: ha diviso soldi in nero con Lorenzano, spiegano le sentenze, ma poteva non sapere che erano frutto delle frodi fiscali organizzate dall'amico con Berlusconi. Anche nel suo caso, i conti esteri scoperti con le indagini penali erano inutilizzabili dal fisco. Il problema si è riaperto con la lista Falciani, che gli attribuisce un conto svizzero da oltre 12 milioni. «Dal Negro ha regolarizzato la sua posizione», chiarisce il suo difensore, Nadia Alecci, «versando a rate l'intero importo che gli è stato contestato dalla Finanza».

Fonte: l'Espresso del 13/02/2015

Vorrei rivolgere un invito ai giornalisti de "l'Espresso", a futura memoria: nell'articolo compaiono nomi che non dovrebbero comparire, ma il cui nome finisce poi col rimanere nella testa dei distratti. Di fronte a casi irrilevanti o spiegati con motivazioni accettabili, si poteva evitare di citarli. e si poteva cercare di approfondire invece, e molto, la posizione di quelli seriamente coinvolti. Un approfondimento a parte meriterebbe il capitolo "prescrizioni", e quello sui capitali effettivamente sporchi, "sanati" dalla Pregiata Lavanderia Berlusconi & Tremonti con quattro soldi pagati sotto la voce "scudo fiscale", uno strumento che tanto per cambiare ha premiato i "molto furbi", e scaricato i costi sul bilancio familiare dei poveri disgraziati.

Tafanus

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martedì 10 febbraio 2015

Quando il "populista autocertificato" Massimo Giletti insegna l'etica agli altri

...Un libro che vola per terra, minacce di querele, un duello verbale durissimo. Lo scontro tra Massimo Giletti e Mario Capanna domenica all'Arena su RaiUno, col giornalista che in un gesto di rabbia scaglia il libro di Mario Perrotta sull'ex leader di Democrazia Proletaria, invitato a dare conto del suo vitalizio, diventa un caso politico. Mentre su Twitter impazzano i commenti, il segretario della commissione di vigilanza Rai, Michele Anzaldi (Pd) chiede conto della rissa al direttore generale della Rai Luigi Gubitosi. Si attendono sviluppi. Speriamo che il gesto idiota di Giletti sia compensato da una risposta intelligente di Gubitosi...

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Massimo Giletti e la renzina Alessandra "Ladylike" Moretti

Da non credere. Quando uno che si autodefinisce "conduttore di una trasmissione populista", dall'alto del suo stipendiuccio da 410.000 €, contesta a Mario Capanna i suoi 5.000 € mensili di vitalizio... e lo fa da autentico cafone... Ecco cosa scrive  sulla vicenda Sebastiano Messina, su Repubblica di oggi:

Massimo Giletti: il populista delle domeniche in TV

Ci mancava  solo l’arruffapopolo della domenica, per completare il catalogo dei tribuni catodici. Adesso l’abbiamo trovato: è Massimo Giletti, il bel tenebroso dei giorni di festa, protagonista di una metamorfosi da antologia. Solo l’altro ieri conduceva «Beato tra le donne», annunciava «Il lotto alle otto» e ci augurava «Buon Natale con Frate Indovino». Ma adesso è un altro uomo, un altro conduttore. È Il tribuno della plebe che duella a suon di insulti con Mario Capanna e getta a terra il libro dell’ospite. Dopo avergli scandito che quel libro, «sa cosa le dico, lo leggerò in un certo posto!».

Giletti non è un volto nuovo — rimbalza da una rete all’altra da più di vent’anni — ma fino a qualche tempo fa apparteneva alla nutrita categoria dei personaggi che riescono ad attraversare il video senza lasciare traccia. Poi, improvvisamente, la trasformazione. Che avviene la domenica pomeriggio su RaiUno, in un programma da lui stesso inventato: “L’arena”. È qui, che dopo aver provato a rastrellare audience con il delitto di Avetrana e il video porno di Belen Rodriguez, lui ha scoperto la sua vera vocazione: diventare un teletribuno.

E così ha rubato a Beppe Grillo la lista dei privilegi della Kasta e s’è lanciato in una coraggiosa operazione di sfondamento di porte aperte, solleticando all’ora del caffè la già sensibilissima indignazione dell’italiano medio: contro i falsi invalidi, contro i comunali assenteisti, contro i forestali del Sud. E contro i politici.

Ma non quelli in carica (meglio evitare: sono troppo potenti). Quelli in pensione. È proprio nel nome di questa coraggiosa battaglia, che domenica il bel tenebroso Giletti ha sfidato l’ex capopopolo sessantottino Mario Capanna, chiamandolo a spiegare perché non vuole rinunciare nemmeno in parte al vitalizio di 5000 euro che riceve dallo Stato come ex parlamentare. E quando Capanna — difendendo la sua impopolarissima condizione — lo ha accusato di far “rincoglionire” i telespettatori, Giletti ha indossato la toga del tribuno del popolo. L’ha accusato di essere un ladro («Voi rubate i soldi a chi è onesto»). Ha chiamato in causa i minatori («che sono pieni di silicosi mentre voi portate a casa cinquemila euro»). E ci ha rivelato — credendoci — che lui lavora «per la gente come Isabella, che si alzava alle quattro per andare a lavorare ed è morta d’infarto». (... e noi, disinformati, che eravamo convinti che lavorasse per i 410.000 euri all'anno che la TV di Stato - sezione spazzatura! Invece no. Giletti lavorava per Isabella!... NdR)

Cosa non si farebbe, al giorno d’oggi, per un punto di share...

Sebastiano Messina

...ma si sa... Sebastiano Messina non bisogna prenderlo sul serio... Sebastiano è uno schierato, mica uno di quelli abituati a galleggiare lasciandosi trasportare in favore di corrente...Sentite cosa scriveva, sempre Messina, esattamente quattro anni fa:

L'intrepido Giletti

Nel suo spazio a "Domenica In" (chiamato misteriosamente "L'arena": forse perché le gradinate somigliano a quelle dei cinema all'aperto) Massimo Giletti ha sollevato un caso spinoso che - ci ha avvertito inarcando il sopracciglio - «farà molto discutere». Il caso era quello della cantante Emma, in corsa per Sanremo, che quel pomeriggio aveva partecipato alla manifestazione di piazza del Popolo. Dimostrando, secondo Giletti, «un grande coraggio». Perché «quella era una manifestazione di un certo tipo, che andava in una certa direzione». Vedi cosa fa fare la modestia. L' intrepido Giletti non si rendeva neanche conto che a una donna non serve una grande audacia per andare in piazza contro un premier accusato di prostituzione minorile. E' per farle il processo a "L'arena", che davvero ci vuole coraggio.

Sebastiano Messina 15/02/2011

Massimo-giletti
Il Bello della diretta

Ed ecco, per la gioia dei cultori del "gilettismo" (l'arte di dire cose assolutamente banalone facendo andare su e giù le ciglione in stile "Martelli de' tempi belli", uno stralcio dell'intervista pubblicata oggi su repubblica/politica:

Giletti, è preoccupato?
"Sono sereno perché conosco l'intelligenza di chi sarà chiamato a valutare il caso".

Non le sembra di aver esagerato?
"Il gesto può essere criticabile, mi sono scusato con Capanna e mi scuso col pubblico, però di quella giornata non ricordo il lancio del libro ma le lacrime di una ragazza, fuori dallo studio, che mi ha detto: "Grazie per quello che fa per noi". Rispetto il libro, ma era privo di contenuto se non c'erano le risposte sui privilegi dei politici" (...rispetta il libro talmente tanto, che lo ha lanciato sprezzantemente per terra... Se non lo avesse "rispettato" così tanto, probabile che lo avrebbe ficcato in golla a Mario Capanna, prima o subito dopo avergli dato del ladro... NdR)

Veramente Capanna era suo ospite, e ha risposto.
"Lo rispetto, infatti, ci ha messo la faccia e continuo a rispettarlo anche se la penso in modo totalmente diverso da lui. Peccato però. Difendeva i diritti degli operai e non ha capito che oggi c'è un ulteriore scontro, i ragazzi non avranno più la pensione".

Il confronto è giusto, ci mancherebbe: ma far volare il libro in quel modo è solo un volgare gesto di stizza.
"Per me quel libro era stracciato nelle "non risposte", e comunque Capanna ha detto che non va pagato il canone per uno come me che "coglioneggia". I politici non sono normali pensionati".

Però il libro poteva semplicemente restituirglielo, senza tirarlo.
"Va bene, è stato un gesto poco piacevole, ma mi si può accusare di tutto tranne di vendere "coglionate" al pubblico. Sa cosa mi dispiace?"

No.
"L'Arena fa un'inchiesta che dura cinque mesi sui piloti che prendono le pensioni d'oro, e anziché essere valutati su questo, sono giudicato sul lancio del libro. Un programma con 4 milioni e mezzo di spettatori a quell'ora, la domenica fa un risultato straordinario: la gente lo segue".

Nei mesi il programma è cambiato, ha alzato i toni.
"È vero, ma non faccio varietà. Non dimentico di essere nato a "Mixer" con Giovanni Minoli".

Lei si è trasformato in tribuno: accusa, aizza. Non trova che sia demagogico?
"Se vuol dire essere dalla parte del popolo sono populista, ma la demagogia no, guardi, non mi appartiene. Dico sempre che senza la politica non c'è democrazia, che i buoni politici salveranno questo paese. M'interessa solo scoperchiare certe situazioni. Le faccio un esempio, ci siamo occupati dello scandalo di Agrigento e martedì la gente è scesa in piazza: qualcosa vuol dire".

Un maligno potrebbe dire che ora sogna la prima serata.
"Non sono io che decido. Sono a disposizione dell'azienda, capisco che la Rai, che con uno come me incassa milioni di pubblicità in quella collocazione difficile, deve pensare a come si muove. Ognuno ha le proprie ambizioni, a me piace fare bene il mio lavoro" [...]

Anche a noi, Giletti, piace fare bene il nostro lavoro. E nel concetto di "far bene il nostro lavoro" c'è anche il dovere etico di chiamare maleducati i maleducati, e populisti i populisti. NdR

Ma andiamo avanti. Entriamo nel merito. Dato che il populismo "anti-casta" è roba che tira, Giletti, da buon "Indignato Speciale", chiama ladro Mario Capanna, lancia sprezzantemente per terra un libro su Capanna (in favore di telecamera)...e sapete perchè? Perchè Mario Capanna prende un vitalizio, a termini di legge, di 5.000 euro al mese (non sappiamo se lordi o netti). Soldi rubati? Non credo. Capanna non è (ce ne sono, ce ne sono...) di quelli che lasciavano il parlamento dopo due anni, sei mesi e un giorno, per andare a fare i pensionati.

Narrano le cronache che Mario Capanna abbia fattoil Consigliere Regionale per 5 anni, il Consigliere Comunale per un anno, l'europarlamentare per 5 anni, il deputato nazionale per dieci anni. Fatto il conticino? siamo ad un totale di 21 anni. Forse è più scandaloso prendere un vitalizio di 2500 euro al mese dopo 4 anni, sei mesi e un giorno di attività parlamentare, vero?

E' comunque dare del ladro a chi - come tutti - i soldi non li ruba dal portafogli di Giletti, ma li prende - certamente da privilegiato - nel rispetto delle vigenti leggi, non è la cosa più intelligente che si possa fare. Vero, Giletti?

Giletti, dato che a lei piace fare il fustigatore di costumi (altrui), non ci parlerebbew della fulminante carriera politica di Ladylike Moretti, alla quale sembra che lei sia legato da "affettuosa amicizia"? Non ci parlerebbe, con toni da Savonarola, dell'immoralità della politica, che consente a qualcuno di entrare in Parlamento col listino bloccato di Bersani, e poi di fiondarsi in braccio a Renzi? O di qualcuno che chiede i voti popolare per andare in Europa, e neanche un anno dopo, tradendo il mandato popolare, si dimette per candidarsi sotto l'egida di Renzi (non di Bersani) alla Presidenza della Regione Veneto?

Giletti, ci aspettiamo che lei, da conduttore/fustigatore tutto d'un pezzo, dedichi una delle prossime trasmissioni al trasformismo in politica, invitando come ospite d'onore Alessandra Ladylike Moretti, e magari tirandole in faccia un bel tomo di Etica della Politica, o un bel Trattato su Trasformismo. Potrebbe anche farsi preparare da un esperto uno specchietto su quale sia calcolato il vitalizio che prenderà Ladylike quando smetterà di fare politica, magari con dieci anni e mezzo di attività, in luogo dei 21 anni di Mario Capanna. Ci contiamo.

Massimo Giletti: colui che lavora gratis per l'operaia Isabella e per noi

Chi ha avuto la sventura di assistere a questo sconcio di trasmissione, assicira di aver ricavato l'impressione che Giletti sia una specie di missionario che fa del volontariato per il bene dell'Operaia Isabella, mio e vostro. Senonchè noi siamo curiosi, e abbiamo scovato una recente intervista rilasciata da Massimo Giletti in Savonarola a Piero Degli Antoni del "Quotidiano.net", nella quale dichiarava di guadagnare 412.000 euro all'anno. Soldi pubblici, lavorando alla RAI. Ottocento milioni all'anno del vecchio conio. Circa quattro milioni di lire per ogni giorno feriale. Non sembra che Massimo Giletti abbia mai accusato Massimo Giletti di essere un ladro. Devo verificare.

Ma c'è in fondato sospetto che quello sia solo lo stipendio ufficiale... Apprendiamo da una nota dell'ANSA del 23 Luglio 2008 che Massimo Giletti in Savonarola si era dimesso (non sappiamo se spontaneamente o spintaneamente) dall'Ordine dei Giornalisti, in seguito al "quarto procedimento disciplinare per commistione tra attività giornalistica e pubblicità":

Massimo Giletti si dimette dall'Ordine dei giornalisti (ANSA del 23/07/2008)

Massimo Giletti si è dimesso dall'Ordine dei giornalisti. Lo annuncia l'Ordine del Piemonte, dove lui era iscritto, e che ha accolto le sue dimissioni archiviando così il procedimento disciplinare che lo vedeva incolpato di violazione delle norme sul divieto di commistione tra informazione giornalistica e pubblicità.

«È una scelta quella di Giletti - commenta il presidente dell'Ordine del Piemonte Sergio Miravalle - che attesta la consapevolezza dell'incompatibilità tra attività giornalistica e pubblicità». È la conclusione - spiega una nota dell'Ordine - di una vicenda che aveva già visto Giletti sottoposto, sempre per la stessa violazione sulla pubblicità, a tre sanzioni disciplinari nel 1998, nel 2005 e nel 2006, rispettivamente a dodici, due e poi ancora dodici mesi di sospensione. Il nuovo procedimento riguardava lo spot del pollo Amadori nell'ambito di Domenica In su Rai Uno.

«Nel corso dell'audizione di Giletti - sottolinea inoltre il presidente Miravalle - è stata rilevata l'esistenza di una sorta di 'obbligo contrattualè imposto dalla Sipra, la concessionaria di pubblicità Rai a prestare volto e immagine a favore di clienti pubblicitari, ricevendone un compenso» [...]

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