lunedì 30 marzo 2015

Milano, sequestrati a Dell'Utri 20.000 libri antichi: "Erano spariti da chiese e biblioteche"

...lo aveva sempre detto, Marcello, di essere un bibliofilo... ma nessuno pensava che lo fosse fino a tal punto!...

All'ex dirigente Fininvest ed ex senatore sono contestate le accuse di ricettazione ed esportazione illecita all'estero di opere d'arte. "I volumi valevano alcuni milioni di euro" (Fonte: Repubblica)

Codice.miniatoVentimila volumi di notevole rilevanza storica e documenti archivistici datati tra il XV ed il XIX secolo, del valore di alcuni milioni di euro, sono stati sequestrati a Milano dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale di Monza, su richiesta della Procura di Milano. I volumi appartengono a Marcello Dell'Utri, ora indagato con l'accusa di ricettazione ed esportazione (o importazione) illecita di opere d'arte. Dell'Utri è detenuto nel carcere di Parma, dove sta scontando una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo essere stato estradato dal Libano il 13 giugno dello scorso anno.

I libri sono stati recuperati in parte nella biblioteca della sua Fondazione in via Senato a Milano, attualmente chiusa, e in parte presso un magazzino di deposito beni per privati, l'Opencare in via Piranesi. Delle 20mila opere, circa 3.000 farebbero parte del 'sancta sanctorum', la collezione privata di Dell'Utri, grande collezionista di libri antichi e rari, trovata direttamente nelle sue pertinenze, di cui fanno parte manoscritti anche del XV secolo. Il sequestro, avvenuto quasi un anno fa - ma reso noto soltanto oggi - parte da un'indagine condotta all'epoca dai carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico di Monza, che in questi mesi hanno compiuto accertamenti sulla provenienza dei volumi.

L'inchiesta è nata dalla vicenda del saccheggio della storica biblioteca dei Girolamini, a Napoli, dalla quale furono sottratti migliaia di libri, molti dei quali di inestimabile valore. Secondo il pm di Milano che ha coordinato l'inchiesta, Luigi Luzi, non sono stati trovati collegamenti con quelli sequestrati all'ex senatore. Le indagini, tuttora in corso, hanno consentito di accertare la presenza di "opere asportate, in epoca e con modalità ancora ignote, da biblioteche pubbliche ed ecclesiastiche insistenti sull'intero territorio nazionale"

Gli esiti delle investigazioni sulla vicenda della Girolamini - sviluppate con l'ausilio di intercettazioni e costantemente ostacolate sia dall'estrema impermeabilità degli indagati sia da ripetuti tentativi di depistaggio - avevano consentito di scoprire l'esistenza di un sodalizio dedito alla sistematica spoliazione della biblioteca, per il quale sono stati eseguiti sei arresti nei confronti di soggetti accusati di associazione per delinquere finalizzata al peculato, alla falsificazione e alla ricettazione di migliaia di volumi antichi.

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mercoledì 25 marzo 2015

Aste online: occhio alle truffe! Il caso "swoggi.it"

Qualche giorno fa, tranquillizzato da un encomiastico e tranquillizzante articolo del maggior quotidiano italiano - il Corriere.it (articolo ora sparito dall'archivio), mi sono registrato sul sito swoggi.it, e ho voluto fare un'inchiesta diretta, versando il minimo consentito per iniziare a partecipare alle aste: 25 euro.

Appena iniziato il giochino, ho sentito odore di bruciato: confuse descrizioni di "crediti swoggi" che nessuno riesce a capire (non io) in che rapporto di cambio diano cogli euro versati. Aste che non finiscono mai o quasi... Morale: ho deciso che il giochino era durato abbastanza, e ho deciso di uscire dal sito. Sapevo che non avrei mai rivisto i 25 euro, ma li avevo messi in conto, come costo della mia inchiesta. Ho chiesto la disiscrizione e il rimborso. Ecco la risposta ricevuta:

Buongiorno,

Sono spiacente d'apprendere che desidera cancellare il vostro conto. Solo i crediti disponibili sul vostro conto possono essere rimborsati. I crediti utilizzati non possono essere rimborsati poiché permettono ai vincitori delle Aste di vincere i nostri prodotti di qualità a prezzi molto bassi. Peraltro, le vostre puntate non possono essere annullate poiché cio potrebbe perturbare il buon svolgimento delle Aste.
 
Ad oggi il saldo del vostro conto é di 0 euro, tenuto conto che applichiamo la somma di 15 euro su qualsiasi rimborso  (punto 7 delle nostre condizioni, http://www.swoggi.it/it-it/aiuto.aspx ). Lei non rientra dunque nei requisiti per un rimborso.
 
Se lo desidera possiamo riattivare il suo conto ed accreditarle a titolo commerciale 20 crediti bonus.
Restiamo a sua disposizione.Cordiali saluti.
 
Gina,
Customer Service (swoggi.it)
 
Avete capito bene: con un italiano esilarante, da traduttore automatico google, vi spiegano che voi fate delle offerte per delle aste che non vincete, ma i soldi delle aste non vinte non ritornano nella vostra disponibilità, per la restutuzione o per altre aste. Quindi a me è andata bene perchè ho versato poco, ma come potete leggere nell'articolo in alto, c'è gente che ha versato molto, non ha vinto mai un'asta, e non è riuscita a rientrare in possesso dei suoi crediti. Altra perla: dall'eventuale rimborso - che nessuno sembra riesca ad ottenere, vengono detratti 15 euro per spese di bonifico. Strano... Perchè restituire dei soldi attraverso PayPal a me non costa NIENTE, e fare un bonifico Italia su Italia a me costa 0,50 euro... Alla "Casa d'Aste online "swoggi", esaltata da un articolo scomparso del Corriere, costa 15 euro.

Sarò grato a privati e/o siti che vorranno dare il loro contributo a diffondere questo "warning"

Tafanus

3001/0615/1545 edit

L'etica politica a targhe alterne del "PD" di Renzi

TafanusStrane cose accadono in quello che è stato il partito di Longo, di Ingrao, di Berlinguer... Ciò che ieri, con Letta al governo, era un obbligo morale per la Cancellieri (dimettersi senza neanche essere inquisita per rapporti troppo amichevoli con Ligresti) oggi non costituisce obbligo morale per Maurizio Lupi, "reo" dello stesso tipo di comportamento "improprio".

Oggi Renzi e i suoi vassalli criticano la vittoria alle primarie "aperte" di Agrigento, vinte per il PD da un bellimbusto di Forza Italia, e dicono che non candideranno il bellimbusto, anche se costui ha vinto legittimamente (fino a prova contraria) le primarie svoltesi con i sistemi fortemente reclamati da Renzi quando doveva mettersi in gioco nelle SUE primarie contro Bersani, poi straperse. Ricordate? Risse continue di "Renzi contro tutti" affinchè le primarie fossero libere e aperte a cani e porci, e non riservate ai "condomini" del PD. Tutto bene finchè le primarie del PD sono state vinte da margheriti vicini all'erede di De Mita, ma adesso che la destra usa - come da suo diritto - le "primarie libere" volute da Renzi, il risultato "non vale". Come ogni topo d'oratorio, Renzi gioca finchè lo lasciano vincere. Ma appena qualcun altro osa vincere con le regole dettate da Renzi ed accettate dai suoi fedeli servitori, si porta via il pallone e non si gioca più.

Ormai sopporto male "Repubblica", che a volte scrive marchette a Renzi peggiori di quelle che si possono leggere sul Corrierone o sul giornale di Confindustria. Sopporto Repubblica per abitudine, per pigrizia, perchè lo compro da quando era al suo numero zero, ma non credo che potrò andare ancora avanti per molto... Trovo insopportabile che quello che è stato un giornale d'informazione faccia i titoloni sui ben 79.000 assunti fra gennaio e febbraio con contratti a tempo indeterminato, e trova il modo di suggerire che il merito sia del "Giobatta", approvato solo in marzo. Dimenticando di dire che anche per semplici ragioni di turnover, 80.000 assunti in due mesi ci sono sempre stati, anche nei momenti peggiori della crisi. E - quel che è peggio - "dimenticando" che non abbiamo, per ora, alcuno strumento per capire se stiamo parlando di nuovi posti di lavoro, o di trasformazioni di contratti in essere. Prendi i 24.000 euri e scappa. Lo sapremo, forse, solo quando e se usciranno dati affidabili sul numero totale di occupati. Perchè laddove gli occupati non crescessero, o addirittura dovessero dimunuire, vorrà dire che il giobatta avrà avuto lo stesso magnifico effetto degli ormai mitici 80 euri, dati all'elettorato di riferimento di Renzi, piuttosto che ai più bisognosi.

Come qualcuno avrà notato, ormai di Repubblica riprendo quasi sempre articoli "non allineati": alcuni articoli di Fubini sui temi economici, molti di Francesco Merlo. Del primo apprezzo molto l'indipendenza dagli "ordini di lavoro" della direzione di Repubblica, e la competenza in campo economico: del secondo, indipendenza, e quel sottile filo ironico che contraddistingue certi siciliani colti, che hanno conservato il piacere della "parola in più", della citazione colta, della coltellata che fa male ma che non può essere "portata in giudizio". Ecco come illustra Francesco Merlo la storia delle tante etiche a geometria variabile del renzismo...

Candidabili e no. Le morali del Pd (di Francesco Merlo - Repubblica.it)

Francesco-merloO le dimissioni del ministro Lupi diventano codice d'acciaio, oppure finiranno per essere archiviate come la punizione del perdente, l'amputazione della parte politica più esposta. E possiamo permetterci di dirlo noi che abbiamo alzato la voce in nome della politica e non del codice penale. E infatti Lupi, che non era indagato, è stato costretto a dimettersi.

C'è invece nel Partito democratico una combriccola di indagati e di condannati che resiste. E c'è una tribù di mascalzoni politici che Renzi finge di subire ma che in realtà premia con la strategia gommosa della dissimulazione onesta.

"Se consentiamo di stabilire un nesso tra avviso di garanzia e dimissioni - dice Renzi - diamo per buono il principio per cui qualsiasi giudice può iniziare un'indagine e decidere sul potere esecutivo". Ma l'idea opposta, e cioè che la politica possa annullare le ragioni della giustizia, non è garantismo. È impunità. Come se il partito avesse il potere medievale di rendere innocente un colpevole e viceversa. Insomma, più che al Montesquieu illuminista di Renzi, questa schiuma rimanda al dosaggio dei veleni, al potere come saga dei Borgia e ai fabbricatori di dossier: "Riservato per il Duce". Mussolini archiviava le informative sui nemici e soprattutto sugli amici che tanto più gli erano fedeli quanto più erano ricattabili. Erano, per dire, insospettabili i toscani Wladimiro Fiammenghi e Alfredo Peri e il modenese Graziano Pattuzzi coinvolti nel sistema Incalza.

E però ci sono i crani di Lombroso nel Pd romano contagiato da Mafia capitale sino ad Ostia Antica. "È pericoloso e dannoso" ha scritto Fabrizio Barca. Ma come sempre è il sole allo zenit che meglio rovescia i luoghi comuni. Leggete cosa ha scritto ieri su Facebook Claudio Fava che, della lotta alla mafia è il testimone più limpido e fiero: "Perché il Pd non candida a sindaco di Enna Mirello Crisafulli (prosciolto) e candida a presidente della Campania Vincenzo De Luca (condannato)? Perché ritiene impresentabile Crisafulli e si tiene al governo quattro sottosegretari indagati?".

I quattro sono Francesca Barracciu e Davide Faraone, e poi Filippo Bubbico e Vito De Filippo. Nella mancanza di regole anche la buona notizia del proscioglimento del quinto, Basso De Caro, aggroviglia il nodo. La domanda chiave rimane infatti quella di Fava su Crisafulli, al quale sarebbe stata inflitta "una porcata". E certo Fava può permetterselo perché contro Crisafulli ha speso metà della sua vita politica: "Gli si rinfaccia questa sua esuberanza gogoliana, la panza e l'effervescenza del temperamento... Lo si considera adatto a fare il segretario provinciale del partito ma inadatto a candidarsi a sindaco".

Per la verità nessuno ci obbliga a scegliere tra Crisafulli e De Luca. E l'indecenza politica, anche se assolta penalmente, rimane indecenza. Anzi, dal punto di vista amministrativo, De Luca ha fatto di Salerno una delle più vitali e solari città del Sud. Come Fava mi insegna, il notabile De Luca è la versione salernitana del siciliano Crisafulli, e anche dei notabili Tosi e Bitonci, e Formigoni e Lupi. La differenza? È in nome della sinistra che De Luca e Crisafulli mettono se stessi al di sopra di tutto, anche loro unti del Signore.

Scrive ancora Fava introducendo l'argomento trans gender: "Posso dirvi che mi sembra cento volte più impresentabile e pernicioso un campione dell'antimafia dei pennacchi come Crocetta, col suo circo di turibolanti che lo protegge?". E si capisce qui che solo nel cerchio dannato della Sicilia, dove un'antimafia indaga su un'altra antimafia, si poteva arrivare all'incappucciato di Forza Italia, Silvio Alessi, che ad Agrigento ha vinto a man bassa le primarie del Pd, con visita di rispetto a Berlusconi ad Arcore del presidente regionale dello stesso Pd Marco Zambuto.

Ovviamente sono state cancellate queste prime primarie transgeniche, un vero mostro di verità che, come sempre dalla Sicilia, illumina il labirinto-Italia. E infatti si capiscono meglio anche le primarie annullate a Napoli e quelle impiastricciate ma confermate a Genova nonostante la denunzia di Cofferati e la forza delle prove. Raffaella Paita, moglie del presidente dell'autorità portuale (meglio non farsi mancare nulla in famiglia) è rimasta in sella, ma il suo avversario Luca Pastorino non ha riconosciuto la vittoria e si è candidato anche lui a governare la Liguria.

Un pasticcio? Nulla esprime meglio il "pasticcio Pd" di quel prosciolto Crisafulli condannato dal partito e di quel condannato De Luca prosciolto dal partito perché controlla tantissimi voti con l'aria guappa del boss del Mediterraneo. Ecco: più grave della protervia del condannato c'è la complicità del Pd con il reo: "È il nostro candidato. Tocca a lui sconfiggere il centrodestra", ha detto ieri Luca Lotti. Ma tutti sanno che, appena eletto, De Luca dovrebbe subito dimettersi per poi sperare in un ricorso e in un reintegro.

Diceva Giuseppe Tatarella: "'Mbroglio aiutami tu". E va bene che Napoli rende possibile anche l'impossibile, e che solo al sud la sinistra non è più obbligata a somigliare alla sinistra, ma la doppia resistenza alla legge, quella del sindaco De Magistris, che pure fu uomo di legge, e quella del futuro governatore De Luca, che almeno uomo di legge non è stato mai, potrebbe ben presto fare della Campania il laboratorio del lazzaronismo di sinistra, una sorta di Venezuela d'Italia, la fortezza dei descamisados. Insomma, tutto il contrario della rivoluzione renziana, l'opposto della Leopolda. Altro che tablet, twitter e iPhone. Qui è il Pd che torna al gettone telefonico e ai cannoli.

Francesco Merlo

0102/0615/1030 edit

 

 

Corruzione - Se il Lupi perde il pelo...

Non ha più il sostegno della lobby di Cl. E ora l'indagine di Firenze con i favori al figlio investe il politico del Ncd. Che ha costruito il suo sistema di potere cercando di tenere insieme destra e sinistra (di Gianfrancesco Turano - l'Espresso)

Maurizio-lupiNon aspetti il tuo lavoro ideale ma ti metti in gioco. Anche per me è stata la stessa cosa. Ho venduto bibite a San Siro, ho dato ripetizioni, ho insegnato religione in una scuola media al quartiere Tessera, estrema periferia ovest di Milano, e ho fatto pure l'autista. Anche se non mi piaceva molto guidare».

Maurizio Lupi si è raccontato così alla fanzine della sua fondazione "Costruiamo il futuro" nel maggio del 2013, poco dopo essere diventato ministro delle Infrastrutture e dei trasporti nel governo di Enrico Letta. È sempre stato quello il lavoro ideale per lui. Il ministero delle Infrastrutture ha consentito a Lupi di fare ciò che fa meglio: creare relazioni e consenso diffuso. Il Mit non si occupa soltanto di infrastrutture e trasporti. È anche il ministero delle Inaugurazioni e del Trasversalismo, delle coop rosse, di quelle bianche e della Compagnia delle opere (Cdo), dell'Expo di Milano e di chi l'ha voluta, con Lupi fra i padri fondatori. È il ministero dei nuovi aeroporti, dei nuovi porti, delle nuove autostrade, del Mose, del tunnel del Brennero, dell'alta velocità ferroviaria a ovest, a est e a sud, dei grandi lavori in ritardo, zavorrati dai costi delle mazzette, spesso inutili ma gestiti in armonia fra un pugno di grand commis di Stato e i costruttori.

È il posto giusto per uno come Lupi, stakhanovista del lavoro e delle presenze a "Porta a Porta". Ed è il lavoro ideale per chi non ama guidare. Il Mit fornisce autisti di primissimo ordine. È il paradiso dei gattopardi, dominato da un'alta burocrazia che non cambia col cambiare dei fattori politici. Fino allo scorso gennaio l'autista principale era Ercole Incalza, mister sette governi, finito in carcere lunedì 16 marzo dopo oltre un quarto di secolo a fare il bello e cattivo tempo negli appalti della Prima e della Seconda Repubblica.

In gennaio Incalza si era messo in disparte, forse inquieto per un tintinnare di manette annunciato dalle interpellanze dei grillini fin dal luglio scorso. Ma non c'è stato il tempo di capire se il suo sistema di potere era davvero finito o se, più verosimilmente, proseguiva con altri mezzi. Forse lo spiegheranno i magistrati fiorentini. Forse sarà lo stesso Lupi a chiarire come mai suo figlio avesse un lavoro procacciato da Stefano Perotti, anche lui arrestato in quanto perno di un sistema tangentizio tanto efficace quanto elementare con le società di ingegneria del gruppo Spm a fare da cartiera per lavori inesistenti.

La raccomandazione "triangolata" per il figlio Luca Lupi e il Rolex da 10 mila euro come regalo di laurea sono circostanze imbarazzanti per un politico che dichiara 282 mila euro di imponibile annuo, ha una Fiat 500 di proprietà, una casa, 31 mila euro di Btp, 5 mila euro in azioni Fiera di Milano e 50 euro di quota della cooperativa Tempi, editrice presieduta da Luigi Amicone e amministrata in passato da Franco Cavallo, faccendiere in quota Cdo finito in carcere con Incalza. Le spese per la campagna elettorale del 2013 hanno prezzi semipopolari e sfiorano i 59 mila euro. I costi di viaggio e missione fino al dicembre 2014 non raggiungono i 10 mila euro per trasferte a Bruxelles, a Genova e quattro giorni a Singapore per parlare di collaborazione fra autorità portuali. Insomma, il discepolo di don Giussani è uno che può vivere del suo, che non abusa dell'altrui e che è stato creduto senza difficoltà quando ha smentito i contatti con Gianstefano Frigerio, un altro highlander della Prima Repubblica finito in carcere per l'Expo dieci mesi fa.

Per dirla con Agatha Christie, Frigerio è un indizio, Frigerio più Incalza sono una coincidenza e solo un terzo indizio sarebbe una prova. Ma la pressione sull'esponente del Ncd è destinata a salire.

Di recente qualcuno lo ha visto immerso in preghiera nella cattedrale milanese di Sant'Ambrogio, a due passi dall'Università Cattolica dove è incominciata l'avventura politica del figlio di immigrati abruzzesi sotto le bandiere di Comunione e liberazione. Ma le bandiere invecchiano e le amicizie si logorano. Il primo incarico ministeriale, confermato da Matteo Renzi, aveva offerto all'ex venditore di bibite allo stadio la possibilità di rinnovarsi.

Da buon maratoneta e fondatore del Montecitorio running club, l'ex vicepresidente della Camera ed assessore all'Urbanistica con Gabriele Albertini sindaco stava ricostruendo la sua carriera lungo tre direttrici: una nuova identità politica, le opportunità offerte dalle grandi opere e nuove relazioni più romane che milanesi. Bisogna vedere che cosa resterà di questo lavoro. L'abbraccio con Incalza rischia di essere letale, con soddisfazione nemmeno troppo segreta di qualche compagno di strada.

ALLEATI ED EX AMICI - Lo schema delle alleanze dello "scoppiettante Lupi" (copyright Silvio Berlusconi) procede a slalom. Molte sue amicizie sono nate in ogni zona dell'emiciclo parlamentare quando, nel 2003, Lupi organizzò l'Intergruppo della sussidiarietà, parola-simbolo dell'universo Cdo (36 mila iscritti per un giro d'affari annuo stimato fra i 70 e i 100 miliardi di euro). Intorno al mantra della sussidiarietà, verticale o preferibilmente orizzontale, si sono raccolti esponenti del centrosinistra come Enrico Letta, Pier Luigi Bersani ed Ermete Realacci. Non tutti i rapporti si sono conservati. Letta ha assistito con una certa freddezza all'autoriciclo di Lupi nel governo Renzi e Realacci ha appoggiato l'Anac di Raffaele Cantone contro il ministro che avrebbe voluto allungare la durata delle concessioni autostradali senza passare per una gara, in cambio di nuovi investimenti e pedaggi calmierati. Con Renzi non è mai stato amore anche per le radici molto differenti nel mondo cattolico dove fra Cl e gli scout Agesci cari al premier non c'è cordialità, per non parlare dell'antipatia esplicita fra ammiratori di don Giussani e ragazzi dell'Azione cattolica come il braccio destro di Renzi, Luca Lotti. Con l'ex cavaliere Berlusconi, in compenso, l'ad di Fiera Milano congressi (autosospeso) mantiene una stima che si è rafforzata nel momento del bisogno, quando Lupi non ha esitato a difendere il diritto dell'allora premier al bunga bunga. La sua veemenza è parsa fuori dal perimetro dell'etica ciellina.

Il punto dolente è proprio nei rapporti con il mondo di Comunione e liberazione che è passato dal monolitismo dei bei tempi, con Roberto Formigoni front-man per la politica, a un frazionamento degno di un movimento di estrema sinistra. Dell'amicizia di antica data fra Lupi e Mario Mauro, ministro della Difesa con Letta passato prima ai montiani e poi ai Popolari per l'Italia, rimane poco. I due hanno abbandonato il Pdl a breve distanza l'uno dall'altro ma alle Europee del 2014 Lupi si è imposto su Mauro, ex vicepresidente del parlamento di Strasburgo, come capolista della circoscrizione Nord. Gelo con Mauro significa gelo con "il Vitta", al secolo Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà e riferimento ideologico dell'intero movimento.
Anche per tenere sotto traccia il dissidio, era stata presa la decisione di non invitare politici all'ultimo Meeting di Rimini dove Lupi è ospite fisso ab ovo. Con una manovra degna del suo passato, l'ex public relation man della Fiera di Milano ha aggirato l'ostacolo grazie alla conferenza stampa del gruppo Fs che presentava proprio nel centro congressi riminese i nuovi collegamenti dell'alta velocità con gli aeroporti di Fiumicino, Malpensa e Venezia. Mentre i cronisti si accalcavano attorno al ministro, qualche sala più in là il presidente della Cdo Bernhard Scholz guidava un dibattito sulla sfida della crescita disertato dalla stampa.

Con queste premesse la candidatura di Lupi a sindaco di Milano, che tutti danno per certa fin dai tempi di Letizia Moratti, diventa improbabile e forse nemmeno così attraente. Da un lato, la macchina del volontariato ciellino gratis et amore Dei non sembra disposta a sostenere Lupi come nelle precedenti campagne elettorali e il centrodestra è nel caos, con un Ncd guidato in tandem da Lupi e da Angelino Alfano che non si sa bene su quale base elettorale possa contare.

Dall'altro, l'aspettativa di vita del governo Renzi si è allungata fino al termine naturale del 2018. Il Mit avrà molto da fare e tanti appalti da amministrare in un'Italia dove l'economia torna a crescere. S'intende, se l'inchiesta non avrà conseguenze più pesanti.

Per minimizzare danni ulteriori, Lupi ha invocato la presunzione di innocenza nei confronti di Incalza, il capo della missione tecnica del Mit che, di fatto, aveva potere di vita o di morte sugli appalti proposti per i finanziamenti pubblici del Cipe.
Nel sito del Mit al posto del manager brindisino cresciuto alla scuola della sinistra ferroviaria Psi di Claudio Signorile e Rocco Trane c'è il nome di Paolo Emilio Signorini, incaricato ad interim. Ma il ministro ha operato altri rimpasti nello staff.

A ottobre è uscito il capo della segreteria Emmanuele Forlani, citato nell'ordinanza della Procura fiorentina per un vestito da 700 euro in regalo. Forlani, sostituito da Luca Novara (ex Fiera Milano), era un lupiano della prima ora, coinvolto nella fondazione "Costruiamo il futuro" e segretario dell'intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà celebrato da un incontro al Meeting 2011 con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Enrico Letta e Vittadini. Forlani si è dimesso per stanchezza, dicono alcuni. Altri notano che la stanchezza è in parte dovuta all'ascesa nello staff del capo di gabinetto Giacomo Aiello, avvocato dello Stato ed ex consulente della Protezione Civile con Guido Bertolaso. Anche Aiello è citato nei documenti della Procura per i suoi scontri con l'ex provveditore di Lazio e Abruzzo, Donato Carlea.

Restano stabili le quotazioni del segretario particolare di Lupi, l'ex parlamentare Pdl Marcello Di Caterina, in passato molto vicino a Marcello Dell'Utri. Noto per avere fuso la macchina mentre correva a presentare le liste azzurre in Campania per le politiche del 2013, Di Caterina è considerato ancora oggi un buon aggancio con i berlusconiani e contribuisce a garantire quel consenso multipartisan che è il dogma di Lupi.
Nel migliore dei mondi possibili questa strategia è vincente. Nel mondo reale, il politico deve rendere conto dei suoi rapporti con gli Incalza, con i Perotti, i navigatori di lungo corso come Vito Bonsignore e Antonio Bargone, con i signori delle ruspe da Ghella a Gavio, da Navarra a Pizzarotti.

LA NUOVA AGENDA DEL MINISTERO - Sotto la guida di Lupi l'agenda del Mit si è allungata come non si vedeva dai tempi della legge obiettivo, lanciata da Berlusconi nel 2001 con Pietro Lunardi ministro.

A dispetto delle ristrettezze finanziarie, lo slancio neo-keynesiano del politico del Nuovo centrodestra ha contagiato tutti i settori di attività.
La scadenza più immediata è quella dell'Expo milanese. Nella sua città Lupi ha dovuto accettare il diktat renziano che ha messo ai comandi il democrat Maurizio Martina, ministro dell'Agricoltura cresciuto nelle giovanili del sistema Sesto San Giovanni alla scuola di Filippo Penati, uno degli ex comunisti più amati dal mondo Cl-Cdo.

Lupi ha accettato di mettere in secondo piano la sua primogenitura sull'Expo perché non aveva altra scelta e perché, tutto sommato, il suo passo indietro lo colloca in una posizione che i consulenti d'impresa chiamerebbero win-win. Se Expo va bene, lui ci ha creduto fin dall'inizio. Se va male, è colpa di Martina e di Renzi.

Per adesso, di sicuro hanno fatto flop la Brebemi di Beniamino Gavio, amministrata dall'indagato Giulio Burchi, e la Pedemontana lombarda (18 mila veicoli al giorno invece dei 60 mila previsti).

Restando al settore autostradale, fra le partite più spinose che Lupi ha dovuto gestire c'è l'Anas, che anche nell'inchiesta fiorentina ha una parte importante. Fra gli incarichi dati dalla società di Pietro Ciucci a Perotti c'è la direzione lavori del macrolotto 3.2 della Salerno-Reggio dove è da poco crollato un pilastro uccidendo un operaio. Ciucci è stato messo sotto pressione dai parlamentari dell'ottava commissione del Senato per contestazioni che vanno dallo smottamento del viadotto Scorciavacche in Sicilia all'autoliquidazione milionaria del presidente. Alle audizioni davanti al presidente della commissione Altero Matteoli, ex ministro delle Infrastrutture indagato per il Mose, Ciucci si è fatto accompagnare dal viceministro Riccardo Nencini, segnalato negli atti dell'inchiesta fiorentina come uno dei politici sostenuti da Incalza. Lupi, che non si presenta in commissione dallo scorso luglio, ha voluto che fosse un democrat a sostenere il suo protetto Ciucci. Così ha messo in difficoltà l'ala del Pd che chiede aria nuova all'Anas insieme a buona parte dell'opposizione, costretta a recedere dalla commissione di inchiesta sull'Anas dopo le pressioni di Matteoli sul capogruppo forzista al Senato Paolo Romani.

Le autostrade e il possibile prolungamento delle concessioni sono centrali nella politica del Mit, che ha in gestione la vigilanza delle concessionarie. Rinviare le gare è vitale per i profitti dei due maggiori imprenditori del settore, Atlantia-Autostrade del gruppo Benetton, e le holding Aurelia-Argo della famiglia Gavio. I Benetton sono anche i protagonisti, attraverso Adr, dei nuovi progetti sull'aeroporto Leonardo da Vinci a Fiumicino, con prospettive da definire dopo l'alleanza Alitalia-Etihad, un altro accordo dove Lupi ha messo la faccia.

Il fronte alta velocità ha ripreso slancio grazie ai buoni rapporti del ministro con la dirigenza Fs, soprattutto durante il lungo regno di Mauro Moretti, oggi sostituito da Michele Mario Elia. La prospettiva è di partire con una nuova tratta al Sud, la Napoli-Bari, entro il 2018, mentre a breve termine si continuerà con la Torino-Lione e con la caduta del diaframma del tunnel del Brennero. In lista ci sarebbero anche lo snodo sotterraneo e la nuova stazione Av di Firenze. Ma si prevedono ritardi per la presenza di magistrati sui binari.

Gianfrancesco Turano

3101/0615/1000

 

Aste online: occhio alle truffe! Il caso "swoggi.it"

Qualche giorno fa, tranquillizzato da un encomiastico e tranquillizzante articolo del maggior quotidiano italiano - il Corriere.it (articolo ora sparito dall'archivio), mi sono registrato sul sito swoggi.it, e ho voluto fare un'inchiesta diretta, versando il minimo consentito per iniziare a partecipare alle aste: 25 euro.

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Ad oggi il saldo del vostro conto é di 0 euro, tenuto conto che applichiamo la somma di 15 euro su qualsiasi rimborso  (punto 7 delle nostre condizioni, http://www.swoggi.it/it-it/aiuto.aspx ). Lei non rientra dunque nei requisiti per un rimborso.
 
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Gina,
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Tafanus

3001/0615/1545 edit

 

 

martedì 24 marzo 2015

...ma Michele Emiliano quando c... lavora?...

Clamoroso! Finalmente si sono decisi, e a "La7" hanno messo una brandina per Michele Emiliano nello sgabuzzino della fotocopiatrice...

Ieri a mezzanotte era a "Piazza Pulita". Stamattina era già in pista su "L'aria che tira"... Avrà avuto il tempo di farsi la barba e cambiarsi le mutande e la camicia?

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lunedì 23 marzo 2015

La mafia non avanza col tritolo, ma a botte di mazzette

Pochissimi omicidi, ora le cosche preferiscono usare le bustarelle. Comprando politici e funzionari, in modo da moltiplicare gli affari. E infiltrarsi ovunque. Un salto di qualità che soffoca l'economia
(di Lirio Abbate - l'Espresso)

I piccioli sono più efficaci della lupara, perché non fanno rumore e aprono tante porte. Tutte le mafie moderne lo hanno capito, mettendo da parte i kalashnikov per armarsi di mazzette o della forza intimidatoria per corrompere. E non è una buona notizia, anzi: questa metamorfosi ha già segnato un'evoluzione micidiale, capace di stringere in una morsa letale economia e istituzioni italiane.

Gli omicidi dei clan continuano a calare e hanno un profilo sempre più basso: nel 1991 erano 718, mentre nel 2013 sono stati soltanto 52, tante vendette nell'ombra senza agguati spettacolari. Basti pensare che lo scorso anno a Palermo c'è stata una sola esecuzione riconducibile a Cosa Nostra. Allo stesso tempo però cresce la penetrazione finanziaria delle cosche, che investono e muovono capitali infiniti. Tanto che l'ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia ha messo la nuova minaccia al primo posto, con un'analisi firmata dal procuratore Franco Roberti: la corruzione adesso è «fattore strategico e strumentale dell'espansione mafiosa».

L'allarme rosso nasce da tante inchieste in giro per il Paese che fanno vedere come la mafia è cambiata rispetto a vent'anni fa, soprattutto sulla penetrazione negli affari dell'Italia centro-settentrionale: dai cantieri della ricostruzione dell'Abruzzo e dell'Emilia a quelli dell'Expo milanese. Ed è frutto di un calcolo semplice: mentre i vecchi metodi violenti provocano allarme e condanne pesanti, con le tangenti si rischia pochissimo. I dati che "l'Espresso" pubblica in esclusiva rivelano che a fine febbraio su quasi 60 mila persone detenute in Italia, solo 522 erano state arrestate per corruzione. E solo la metà sta scontando sentenze definitive: gli altri hanno speranze concrete di evitare il verdetto grazie alla prescrizione che divora i processi. Lo ha sottolineato lo stesso Roberti: «Negli ultimi vent'anni si è fatto molto contro la criminalità mafiosa, sia pure in chiave emergenziale e per reagire all'esplosione di violenza stragista del 1992-93, il contrasto alla corruzione e alla criminalità economica non è mai entrato nelle strategie e negli obiettivi di alcun governo».

Le aule dei tribunali ci raccontano continui malaffari che mettono insieme mafiosi e corrotti. Non è un caso se nelle ultime indagini sulla criminalità organizzata i boss siano sempre più spesso in compagnia di dirigenti e impiegati della pubblica amministrazione, politici, magistrati, appartenenti alle forze dell'ordine, accusati di essersi piegati a colpi di mazzette e di avere in questo modo avvantaggiato i clan. E quando la "stecca" non basta ecco arrivare la violenza mafiosa a "convincere" i corrotti. I soldi cementano complicità silenziose, mentre attentati ed esecuzioni mobilitano i mass media e la reazione delle istituzioni: le pene in questi casi sono dure e la prescrizione scatta solo dopo decenni. Con le mazzette, poi, si possono costruire catene di collusione, inanellando nuove pedine sulla scacchiera di potere delle cosche: un ingranaggio che lentamente può contaminare interi settori del Paese. E oggi i boss sono quelli che hanno a disposizione più denaro liquido da spendere.

I clan si trasformano in cordate, con imprenditori, politici, funzionari di riferimento che vengono poco alla volta inglobati nella macchina criminale: finiscono a libro paga e si ritrovano ad essere parte attiva della congregazione. Nei primi anni Ottanta, quando i boss decidevano la spartizione degli appalti, in Campania e Sicilia venne creato il "tavolino" attorno al quale si sedevano mafiosi, imprenditori e uomini di partito che si spartivano gli affari. Erano soggetti distinti, adesso invece stanno diventano un'unica entità. «In realtà corruzione, criminalità economica e criminalità mafiosa sono tre facce di un'unica realtà. La criminalità mafiosa trae costante alimento dalle prime due», scrivono i magistrati.

LA MACCHINA DEGLI APPALTI - Le cordate sanno ben sfruttare le gare d'appalto con il meccanismo del massimo ribasso. Creano pool di ditte, che presentano offerte con percentuali di sconto molto simili tra di loro, variando solo le cifre decimali. Questa operazione consente di spostare la media delle offerte in modo che alla fine vince sempre una impresa del gruppo, mentre le altre rientrano nella partita con subappalti o altri contratti.

La procura dell'Aquila ha scoperto che per la ricostruzione delle case crollate nel terremoto del 2009 – sovvenzionata con denaro pubblico – era stato formulato un patto tra imprese locali, che ottenevano i lavori, e clan dei casalesi che fornivano manodopera, spesso obbligata a versare parte dello stipendio ai boss. È un'altra delle trasformazioni manageriali della criminalità, che offre servizi alle aziende: manovalanza, sicurezza, prestiti a basso tasso, ma anche – nelle regioni meridionali – la possibilità di intervenire negli uffici di comuni, regioni e organismi di controllo per garantire l'approvazione delle pratiche.

L'AFFARE DEL TERREMOTO - Il modello è Massimo Carminati, il "Cecato" che ha visto lontano, quando parla della "terra di mezzo", la zona grigia tra i "vivi" e i "morti", tra i colletti bianchi e i criminali di strada, dove «tutti si incontrano». Perché i re di denari restano comunque capaci di agire con la violenza, per imporre il rispetto dei patti e risolvere le controversie. Carminati – stando ai giudici del Tribunale della Libertà – offre una scorciatoia «necessaria all'imprenditore disonesto per risolvere i problemi che non può affidare al proprio legale; sta parlando dell'attività delinquenziale necessaria per infiltrarsi nei meccanismi della pubblica amministrazione ed inquinare il regolare svolgimento delle gare, attraverso sia la corruzione dei pubblici ufficiali che la intimidazione di quelli meno disponibili ed inclini a sottostare alle loro pretese e degli imprenditori concorrenti, riuscendo ad ottenere, così, l'acquisizione di appalti da parte di compagini riconducibili all'associazione criminale». Chi ne paga le conseguenze sono i cittadini che ricevono servizi scadenti, mentre si spreca tanto denaro pubblico.

La ricostruzione dell'Abruzzo è stata un'occasione d'oro per le joint venture delle cosche. La prefettura dell'Aquila ha bloccato 37 operatori economici, interdetti perché ritenuti collusi o oggetto di ingerenze mafiose: 28 erano impegnati in opere pubbliche e nove negli interventi affidati dai privati con l'impiego di contributi statali. Tra le ditte interdette undici hanno sede nel Nord, 19 nel Centro (di cui 12 a L'Aquila) e sette nel Sud: una mappa che fa capire come capitali e interessi mafiosi si siano infilati nella pancia di aziende locali, diventate i cavalli di troia dell'espansione. Lo stesso fenomeno si è registrato con l'Expo: delle 46 interdittive per sospette infiltrazioni criminali, con contratti per un valore vicino ai cento milioni di euro, solo undici hanno riguardato ditte meridionali. Per la superprocura, «il rischio che si crei un sistema di connessioni perverse tra società civile e "società mafiosa" che si autoalimenti è serio e reale perché la criminalità organizzata ha un'elevata capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, riesce a instaurare relazioni con la società civile e si alimenta con la collusione e la corruzione che possono essere sconfitte solo con scelte politiche forti e coraggiose e pene severissime ed effettive per chi attenta alla nostra democrazia colpendo l'economia e lo sviluppo».

Le interdittive dei prefetti fanno meno paura degli ordini di arresto. Sono misure amministrative, non si rischia il carcere: l'imprenditore può fare ricorso al Tar, che spesso accoglie gli appelli. E al limite, basta cedere la società a un altro prestanome per ricominciare il business. Così questo cancro si è diffuso in silenzio. L'attenzione è rimasta focalizzata sui fatti di sangue, sulla componente militare dei clan che, in Sicilia come in Campania, è ferma da anni: l'ultima ondata di piombo è quella scatenata dal killer casalese Giuseppe Setola, anche lui detto "o Cecato", alla fine del 2008. Una parte dell'apparato investigativo ha continuato a concentrarsi sulla minaccia dei boss a mano armata, «trascurando, invece, quella più subdola e coinvolgente della corruzione e perché, anche laddove si è parlato di vicende di corruzione connesse alla criminalità organizzata, più che sulla tecnica del coinvolgimento corruttivo, ci si è forse superficialmente soffermati solo sull'aspetto scandalistico legato al nome o agli incarichi dei pubblici funzionari coinvolti». Puntare contro la mafia militare mette tutti d'accordo, è il contrasto alla corruzione che invece crea spaccature e malumori, specie fra i politici.

Cosentino-nicolaL'OSPEDALE IN MANO AL CLAN - La sanità è uno dei primi campi dove i mafiosi hanno sostituito la pistola con la mazzetta, sfruttando in pieno la capacità di inserimento negli uffici delle Asl. Si è visto nella Locride, dove in alcuni centri clinici medici e capiclan vengono dalle stesse famiglie. E c'è una vicenda clamorosa, portata alla luce a fine gennaio da un'operazione della Dia, coordinata dai pm di Napoli: dal 2006 nell'ospedale di Caserta tutte le decisioni chiave sono state arbitrate da Francesco Zagaria, cognato del padrino casalese Michele Zagaria. L'uomo aveva addirittura un ufficio all'interno del nosocomio, dove decideva le nomine dei dirigenti, gli appalti, i contratti delle forniture e creava corsie preferenziali per le visite e gli esami dei pazienti cari alle famiglie. Ovviamente questo plenipotenziario agiva anche per conto della politica: all'inizio era sostenuto dall'allora segretario regionale dell'Udeur, Nicola Ferraro, che con il suo appoggio riuscì a far nominare un suo uomo di fiducia come dirigente generale dell'ospedale. Nel 2008 con la caduta del governo Prodi si passa alla "copertura politica" del Pdl campano, all'epoca controllato da Nicola Cosentino, che per gli inquirenti è rimasto il referente politico del "sistema criminale" che controllava l'ospedale casertano fino al momento del suo arresto, avvenuto nel marzo 2013. Un sistema collaudato e protetto anche dalla politica, attraverso la nomina di dirigenti compiacenti, che garantiva, a sua volta, un pieno appoggio elettorale al partito che lo sosteneva.

I magistrati non hanno dubbi: «La corruzione è un fenomeno assolutamente dilagante perché è stato per troppo tempo tollerato, in qualche modo giustificato e quindi non efficacemente contrastato né a livello giudiziario né a livello di prevenzione». Non solo: «Vi è stato un deciso arretramento su questo fronte, quando sono state assicurate ampie prospettive di impunità per il falso in bilancio, che è la premessa di ogni accumulazione di denaro nero finalizzato al pagamento di tangenti a politici e mafiosi e, quindi, rinunciando a uno strumento indispensabile per il controllo sulla trasparenza in campo economico e imprenditoriale». La soluzione per sconfiggere questa nuova mafia? La più radicale. Come scrive la Dna, «la riforma della pubblica amministrazione è necessaria per semplificare e rendere più trasparente la macchina burocratica. Semplicità e trasparenza giovano alla lotta contro le mafie, perché giovano al contrasto alla corruzione e favoriscono i controlli sugli atti della pubblica amministrazione. Ma non bastano. Perché molto spesso, soprattutto per i grandi appalti, gli accordi illeciti si fanno "a monte" saltando tutti i controlli».

Intanto il sospirato emendamento del governo sul reato di falso in bilancio è stato presentato in Commissione Giustizia del Senato, dove è in discussione il disegno di legge anticorruzione. Il presidente dell'Aula Pietro Grasso, che due anni fa è stato primo promotore di queste norme, ha accolto la notizia con queste parole, particolarmente emblematiche della vicenda del provvedimento: «C'è una buona notizia. Alleluia, alleluia! Il famoso emendamento sul falso in bilancio è arrivato e questa è una novità importante». Un primo passo, per colpire almeno il tesoro in nero che rende potenti i colletti bianchi delle famiglie.

Lirio Abbate

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Confini da tracciare con il pennarello (di Michele Serra)

...finalmente Michele Serra ci svela il mistero dei confini fra paesi africani o mediorentali, che sono quasi tutti poligoni limitati da linee rette lunghe migliaia di chilometri, senza alcuna relazione con orografia, antropologia, bacini linguistici, commerciali, etnici... Tutto cominciò con la passione di Lord Francis Trelawney per il gioco "unite i puntini"...

Africa a quadretti
L'Africa a quadretti

Le potenze occidentali hanno finalmente ammesso i loro errori: tutto cominciò con le frontiere disegnate a matita (Michele Serra - l'Espresso)

Le potenze occidentali stanno facendo una seria autocritica sui gravi, storici errori che hanno contribuito a trasformare il Medio Oriente in una polveriera. «Mai più - si legge in un comunicato congiunto dei Paesi ex colonialisti - i confini degli Stati tracciati su una carta geografica con una matita. D'ora in poi useremo solo il pennarello, che ha un tratto molto più nitido e deciso».

L'ANTEFATTO - Fu lord Francis Trelawney, ministro degli Esteri della regina Vittoria, a disegnare in una tenda nel deserto gli attuali confini di Asia, Africa e Oceania, aggiungendoci, per sua generosità personale, anche uno schizzo a china raffigurante una danzatrice del ventre. Secondo i testimoni dell'epoca, l'assegnazione dei diversi Stati a questo o quell'impero coloniale fu stabilita con ammirevole imparzialità, attraverso il lancio dei dadi. Già che c'era, Trelawney tracciò sulla mappa del pianeta anche alcune località di fantasia, come Mompracem e Montecarlo. Celebre la frase che rivolse ai capi tribali che lo assistevano nel difficile compito, ancora oggi riportata dai manuali scolastici di tutto il Commonwealth: «Smettetela di urtarmi il gomito mentre tiro le righe!». Secondo testimonianze dell'epoca, gli Stati che presentano confini particolarmente sinuosi sarebbero stati concepiti da Trelawney nella sede egiziana della Gin Tonic Foundation.

L'EQUIVOCO - Meno facile spiegare i confini incredibilmente dritti, quelli che per migliaia di chilometri tagliano il deserto senza ragione apparente. Secondo alcuni storici sarebbero il frutto di un malaugurato equivoco: Trelawney, stanco del difficile lavoro, lo avrebbe sospeso un attimo per dedicarsi al suo passatempo preferito, il gioco "unite i puntini" sulla pagina enigmistica del "Times". Ma sovrappose il "Times" alla carta geografica del mondo e siccome calcava molto forte i segni rimasero impressi nei mappali sottostanti e scambiati per confini definitivi dalla sua segretaria. Secondo altri storici, la ricostruzione è assurda e tendenziosa: Trelawney non poteva essere così sciocco da cadere in un errore così grossolano. Quelle linee diritte sono del tutto intenzionali, e molto semplicemente il ministro usò la sua abilità di giocatore di "unite i puntini" anche per dividere il mondo in Paesi, per esempio unendo Samarcanda a Timbuctu, due nomi che suggestionavano da sempre la sua fantasia.

TEMPI MODERNI - Ben più raffinata la politica contemporanea. Al termine di un vero e proprio brainstorming con le migliori intelligenze diplomatiche europee e americane, presenti i ministri degli Esteri di tutto il mondo, è stato definitivamente stabilito che Irak non si scrive con la Q finale, ma con la K. Di qui l'esigenza di unificare, in tutti i documenti ufficiali e nella cartografia mondiale, la corretta grafia di quel nome. Su tutte le altre questioni all'ordine del giorno è stato deciso di prendere una pausa di riflessione. Erano presenti alla riunione anche i discendenti di Lawrence d'Arabia, considerati da sempre garanti del dialogo interculturale tra Regno Unito e mondo arabo, che hanno proposto l'introduzione della caccia alla volpe in tutto il Maghreb, ma a dorso di cammello.

IRAG E IRAX - Sono due nuovi Stati che, secondo fonti molto accreditate, sorgerebbero in Medio Oriente in aggiunta a Irak e Iran, per contribuire a disorientare eventuali aggressori. È ancora incerta la collocazione geografica, ma è già sicuro il profilo costitutivo, collaudato in secoli di storia: per evitare che il Paese possa essere oggetto di future contese, lo si depreda di ogni possibile ricchezza, dai datteri ai tappeti volanti, mettendo il tutto al sicuro in Europa. Poi si insedia un governicchio tirannico capeggiato da uno sceicco con una tovaglia a quadretti in testa e si fa a metà con lui per il petrolio. Li si chiama "paesi arabi moderati" anche se le donne sono chiuse in gabbia e costrette a cinguettare al tramonto.

I NODI DA SCIOGLIERE - Restano ancora in sospeso alcuni misteri irrisolti del mondo arabo. Per esempio, dove vengono prodotte e dove si comperano le tovaglie a quadretti che gli sceicchi sauditi si mettono in testa? E soprattutto, se si mettono le tovaglie in testa, come diavolo apparecchiano la tavola?

Michele Serra

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domenica 22 marzo 2015

Nuovo Centro Destra: la "Banda degli Onesti"

Angelino Alfano & Maurizio Lupi

Diciannove su 54, il 35 per cento. Tanti sono i deputati e senatori del partito di Alfano che hanno avuto a che fare con la magistratura. Per abuso d’ufficio, turbativa d’asta e persino per concorso esterno in associazione mafiosa. Condannati, assolti o archiviati. Ecco una rassegna (di Stefano Iannaccone e Giorgio Velardi)

Dall’abuso d’ufficio alla turbativa d’asta fino al concorso esterno in associazione mafiosa. Reati da brivido quando toccano l’onorabilità e la fedina penale di un uomo politico. E non sono le uniche macchie. Riguardano i Nuovo Centro Destra finiti a vario titolo nelle maglie della giustizia. Qualcuno è stato assolto, qualcun altro archiviato. Ma c’è anche chi è stato condannato. Il caso di Maurizio Lupi – peraltro non indagato – è solo l’ultima vicenda che investe un partito che in un anno e mezzo di vita ha già collezionato tanti incidenti di percorso. Che hanno portato nelle aule dei tribunali e agli onori delle cronache 19 parlamentari su 54. Il 35%.

Percentuale che non cambia molto se si prende in considerazione l’intero gruppo parlamentare che, sia alla Camera che al Senato, unisce gli eletti del partito del ministro degli Interni Angelino Alfano a quelli dell’Udc di Pier Ferdinando Casini: in questo caso su 69 iscritti, i parlamentari attenzionati dalla magistratura salgono a 23, cioè il 33% del totale. Tanti, troppi, se consideriamo che nella squadra del governo di Matteo Renzi il Nuovo Centro Destra sta giocando un ruolo importantissimo sul fronte giustizia. Può infatti contare su un viceministro, Enrico Costa, titolare della carica proprio nel ministero di via Arenula guidato da Andrea Orlando (Pd). E poi sul relatore del disegno di legge anticorruzione, impantanato da due anni al Senato: Nico D’Ascola, ex forzista – già avvocato di Claudio Scajola e Gianpaolo Tarantini – passato nel novembre 2013 proprio nelle file del Ncd. Ma chi sono tutti questi politici? Ilfattoquotidiano.it li ha passati in rassegna.

PIERO AIELLO: senatore. È stato consigliere regionale in Calabria dal 1995 al 2013, passando dal Ccd a Forza Italia per poi finire in Ncd. Nel 2013 è entrato per la prima volta al Senato, eletto nelle liste del Popolo della Libertà. Nel luglio dello stesso anno viene coinvolto in un’inchiesta in cui è accusato di aver favorito la cosca mafiosa dei Giampà in cambio di voti. Per due volte il gip ha respinto la richiesta di arresto. Nel febbraio 2015 la Direzione distrettuale antimafia ha chiesto il rinvio a giudizio. “Ho affrontato, negli anni, numerosissime campagne elettorali senza mai promettere e/o accettare nulla e di questo possono esserne testimoni tutti”, si è sempre difeso.

ANTONIO AZZOLLINI: senatore, presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama. Avvocato, classe 1953, passa dai Verdi al Pci-Pds fino al Partito Popolare. Nella sua carriera politica ci sono poi, nell’ordine, Forza Italia, Pdl e Nuovo Centro Destra. I suoi guai giudiziari, invece, iniziano nell’ottobre 2013 quando la Procura di Trani lo iscrive nel registro degli indagati nell’inchiesta sui lavori di ampliamento del porto di Molfetta, città di cui è stato sindaco dal 2006 al 2012. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere, abuso d’ufficio, reati ambientali, truffa e falso. Per gli inquirenti l’ex primo cittadino avrebbe avallato l’opera pur sapendo che i costi iniziali sarebbero lievitati per la bonifica dei fondali marini, con un giro d’affari di circa 150 milioni. A dicembre 2014 Azzollini ha però trovato un solido supporto nei colleghi senatori: l’Aula ha negato alla Procura la possibilità di usare le intercettazioni telefoniche che lo riguardano.

GIOVANNI BILARDI: senatore. È entrato nel consiglio comunale di Reggio Calabria nel 1993, restandoci per 14 anni e facendo la trafila: Partito socialdemocratico, Ccd, Ppi e Margherita. Nel 2007 fa il salto di qualità: è nominato assessore a Reggio Calabria. Approda al Senato nel 2013 ma nel frattempo ha cambiato casacca: viene eletto col Pdl. Sul suo conto c’è un avviso di garanzia per l’ipotesi di reato di peculato nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” al Comune.

NUNZIA DE GIROLAMO: deputato, capogruppo alla Camera. Entra in Parlamento nel 2008 col Pdl. Cinque anni dopo diventa ministro dell’Agricoltura del governo Letta e in seguito, nonostante un passato da berlusconiana di ferro, aderisce a Ncd. La sua ascesa subisce una battuta d’arresto nel gennaio 2014. I fatti che la vedono coinvolta risalgono al 2012: nel corso di alcune conversazioni con Michele Rossi e Felice Pisapia, rispettivamente manager e direttore amministrativo della Asl di Benevento, la parlamentare campana avrebbe cercato di imporre le proprie nomine nell’azienda sanitaria. Messa sotto accusa, decide di rassegnare le dimissioni affermando però di essere vittima di un “linciaggio mediatico”. Iscritta nel registro degli indagati con l’ipotesi di abuso di ufficio.

ROBERTO FORMIGONI: senatore. A gennaio l’ex presidente della Lombardia è stato condannato in primo grado per diffamazione (pena sospesa) per aver definito i Radicali “criminali e maestri di manipolazione”. I suoi problemi con la giustizia non si fermano certo qui: Formigoni è infatti imputato nel processo che lo vede accusato di associazione a delinquere e corruzione in un filone dell’inchiesta sulla sanità lombarda. Secondo i pubblici ministeri avrebbe garantito protezione alla fondazione Maugeri, attiva nel settore della riabilitazione sanitaria nella Regione guidata in passato dal “Celeste”. Già in precedenza, comunque, Formigoni è finito a processo. Nel 2002 è stato rinviato a giudizio per un’inchiesta sulla bonifica di Cerro (Milano), da cui è stato assolto sia in primo grado che in appello. Nel 2009 ha ricevuto un avviso di garanzia per lo sforamento dei limiti di concentrazione delle polveri sottili in Lombardia. La sua posizione è stata archiviata.

CARLO GIOVANARDI: senatore. L’ex ministro per i Rapporti con il Parlamento del secondo e terzo governo Berlusconi è noto per le sue dichiarazioni spericolate. Una di queste gli è costata una denuncia per diffamazione. Nel corso di una puntata della Zanzara (Radio24), parlando della morte del giovane Federico Aldrovandi, disse che nella foto che ritrae il giovane privo di vita la “macchia rossa che è dietro (la testa, ndr) è un cuscino, non è sangue”. Gli atti del procedimento sono stati inviati al Senato, che dovrà pronunciarsi per far proseguire o bloccare l’iter. Lui si è sempre difeso: “Non ho mai detto che la foto è modificata”.

ANTONINO MINARDO: deputato. Nipote di Riccardo Minardo, noto alle cronache per essere stato arrestato nel 2011 con l’accusa di associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato, Antonino è stato condannato in Cassazione a 8 mesi di reclusione per abuso d’ufficio. I fatti risalgono a quando l’ex assessore provinciale allo Sport di Ragusa era presidente del Consorzio autostrade siciliane e riguardano la nomina illegittima dell’allora direttore generale dell’ente, effettuata senza selezione né utilizzo del personale già presente al suo interno.

BRUNO MANCUSO: senatore. Sindaco di Sant’Agata di Militello (Messina) dal 2004 al 2013, è approdato al Senato per la prima volta in questa legislatura. I suoi precedenti con la giustizia risalgono a un presunto reato di voto di scambio in occasione delle Amministrative del 2009. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 8 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Ma il 29 ottobre 2013 Mancuso è stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Dal 2014 il senatore è stato invece indagato per associazione a delinquere finalizzata al falso in una inchiesta della procura di Patti su un giro di appalti sospetti (“Operazione Camelot”) per un centinaio di milioni di euro e rinviato a giudizio. Prima udienza il 19 maggio.

RENATO SCHIFANI: senatore, capogruppo a Palazzo Madama. Ex democristiano, nel 1995 entra in Forza Italia e dopo aver fatto il consigliere comunale a Palermo diventa senatore. Nel 2008 viene eletto presidente del Senato, ma all’ascesa politica corrisponde anche l’avvio di una inchiesta a suo carico. Schifani viene infatti indagato per concorso esterno in associazione mafiosa per una vicenda che risale agli anni che precedono il suo ingresso in Parlamento, quando era avvocato esperto di diritto amministrativo. A ottobre 2014 la sua posizione viene definitivamente archiviata. Anche se con molta fatica. Nelle motivazioni il gip Vittorio Anania scrive infatti che “sono emerse talune relazioni con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini a detto ambiente nel periodo in cui lo Schifani era attivamente impegnato nella sua attività di legale civilista ed esperto in diritto amministrativo”. Tali relazioni che però “non assumono un livello probatorio minimo per sostenere un’accusa in giudizio tanto più che, a prescindere dalla consapevolezza dell’indagato dell’effettiva caratura mafiosa dei suoi interlocutori, tali condotte si collocano per lo più in un periodo ormai lontano nel tempo (primi degli anni Novanta). Fatti per i quali opererebbe, in ogni caso, la prescrizione”.

PAOLO TANCREDI: deputato. Dal consiglio comunale di Teramo a Montecitorio passando per Palazzo Madama. Sempre grazie a Forza Italia. La sua passione per Berlusconi si è interrotta con la fine del Popolo della Libertà. E così Tancredi ha abbracciato il progetto di Angelino Alfano. Nel 2010, quando era senatore, è stato indagato per corruzione nell’inchiesta sulla costruzione dell’inceneritore di Teramo. Il “no” all’utilizzo delle intercettazioni arrivato dall’Aula della Camera ha comunque impedito l’accelerazione del procedimento a suo carico.

N.B.: Per correttezza, e per mio costume abituale, devo sottolineare che 8 dei 19 "malaffaristi" di cui si parla nell'articolo del Fatto Quotidiano (potete aprire l'articolo completo cliccando sulla foto) sono stati da me cassati in questo post, perchè sono personaggi inquisiti o rinviati, ma successivamente assolti o archiviati. Ho quindi limitato l'elenco ("limitato" è un eufemismo, perchè restano pur sempre 11 posizioni su 54 parlamentari, cioè la bellezza di uno su cinque) a coloro che sono stati condannati, o prescritti, o non ancora arrivati a sentenza definitiva, o salvati dalla Giunta per le Autorizzazioni, e la cui posizione resta pertanto più piena di omnre che di luci. 

Tafanus

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Angela Merkel, le pulsioni naziste, e la copertina-choc di "Der Spiegel"

Merkel-nazistaTempo fa, eravamo stati molto criticati per aver prodotto il fotomontaggio della faccia di Angela Merkel coi celebri, famigerati baffetti di Hitler. Il fotomontaggio era stato prodotto per sottolineare l'atteggiamento dei tedeschi - e in particolare della Signora Angela Merkel - nei confronti dei paesi della UE appartenenti al c.d. "ClubMed".

La Signora Merkel ha sempre adottato una politica di estremo rigore verso chi non ce la faceva, e una politica estremamente tollerante verso la Germania. Basti ricordare che da anni la Germania non rispetta i vincoli sulla correzione dell'eccesso di surplus negli scambi commerciali cogli altri paesi UE, e che da anni la politica economica della c.d. "Unione", dominata dalla Germania e da altri paesi vassalli (i paesi nordici in particolare) ha fatto sì che la Germania godesse di enormi vantaggi competitivi in termini di minori oneri sul proprio debito pubblico.

Di quel fotomontaggio, dopo le politiche che hanno ridotto la Grecia alla fame, non solo non ci vergognamo, ma lo rifaremmo tale e quale. Si lo sappiamo... la Grecia ha imbrogliato sui conti. Ma non è stata la "casalinga di Salonicco" ad imbrogliare sui conti. E' stato l'establishment economico, legato a filo doppio a quello politico. I grandi armatori, i grandi evasori, i grandi speculatori.

Merkel-baffiL'Europa sapeva, e finchè nel rischio "Grecia" non sono rimaste coinvolte le grandi banche (e in primis quelle tedesche) nessuno si è accorto di niente. Ora, all'improvviso, la Germania si scopre integerrima paladina delle regole, molte delle quali violate dalla Germania per anni ed anni.

Far pagare con la fame, l'impossibilità di accesso alle cure mediche e all'istruzione i figli della "casalinga di Salonicco E' operazione nazista. Quando lo scrivevamo noi, eravamo "antitedeschi". Il nostro fotomontaggio era di "cattivo gusto". Posso assicurare che la fame ha un gusto molto più amaro di un fotomontaggio.

Cosa diranno i nostri critici, oggi che per una volta è Der Spiegel (che se non erro è un giornale caro ai tedeschi) a mettere in copertina la Merkel circondata da affettuosi nazisti, sullo sfondo del Partenone? Accuseranno Der Spiegel di essere un giornale antitedesco, o inizieranno SERIAMENTE a riflettere sul perchè una gran parte d'Europa inizia a vedere la Germania da un'altra prospettiva?

Tafanus

IL COMUNICATO DELL'ANSA - Angela Merkel tra i nazisti con il Partenone sullo sfondo e sopra la foto il titolo: "La superpotenza tedesca". E' la copertina choc dell'ultimo numero del magazine Spiegel che pubblica un reportage su come 'l'Europa vede la Germania'. Nel fotomontaggio la cancelliera, vestita in colori sgargianti con l'aria 'trasognata, è circondata da gerarchi del Terzo Reich in bianco e nero. A due giorni dalla prima visita a Berlino del premier greco Alexis Tsipras, la copertina ha subito scatenato forti polemiche in Germania.

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Off Topics del 22 Marzo - Renzi Uno e Truno

20150321

giovedì 19 marzo 2015

#mauriziostaisereno - Storie da Lupi (settantanovultima puntata)


Maurizio Lupi dovrebbe dimettersi domani mattina. È quello che si aspettano tutti, a Palazzo Chigi e ai vertici del Pd. Ma il condizionale è d’obbligo, vista la resistenza dimostrata dal ministro in questi giorni. Lupi ieri finisce di rispondere al question time a Montecitorio. E se ne va. Quasi contemporaneamente, Matteo Renzi entra in Aula, di soppiatto, evitando i giornalisti e neanche lo incontra. “Ho l’appoggio del governo”, ha detto. Ma l’evidenza plastica dei rapporti tra i due dice tutt’altro. Renzi vuole che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti se ne vada.

Lui non molla. Non ancora. Il premier non può chiedergli in maniera pubblica e diretta di dimettersi. Rischia la crisi di governo. Ma glielo dice e glielo fa dire: “Se vai avanti non ti copro”. Di più: “Guarda che se non te ne vai prima della mozione, ti faccio sfiduciare dal Parlamento”. L’altro mantiene la sua posizione. Pubblicamente: “Non ho fatto niente di male”. E soprattutto: “Riferirò in Parlamento”. Perché “è doveroso da parte mia”, come spiega anche ai colleghi di partito. Però, ora il punto non è più il “se” ma il “quando” Lupi cederà [...]

(Per leggere tutto l'articolo, clicca sulla faccia del ciellino)

P.S.: Ma renzi, che ora vuol fare pagare tutto il conto a Maurizio Lupi, non conosceva il fantastico curriculum giudiziario di Ercole Incalza? NdR

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mercoledì 18 marzo 2015

La Saga dei Lupi - Ottantultima puntata

Credit: Huffington Post

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Anagrammi celebri: "Maurizio Lupi incalza Ercole"

Lupi&incalza
Rapporti osceni fra affaristi e ministri: La telefonata a Incalza che inguaia il ministro: “Devi vedere mio figlio” - Lupi aveva garantito: mai chiesto nulla per lui. Subito dopo il supermanager chiamò Perotti
(Fonte: Carlo Bonini - Repubblica)


Maurizio Lupi ha mentito. Il figlio Luca  -  come documentano ora almeno due diverse intercettazioni agli atti dell'inchiesta di Firenze  -  venne assunto da Stefano Perotti su richiesta esplicita del padre ministro.

I fatti. Nell'ordinanza depositata lunedì, la storia dell'assunzione del giovane Luca Lupi ha come apparente incipit i giorni compresi tra il 28 e il 30 gennaio del 2014, quando Stefano Perotti viene intercettato nel discutere di dove, come e quando "il figlio di Maurizio" comincerà a lavorare per lui, l'ingegnere che, da 15 anni, Ettore Incalza impone come direttore dei lavori ai general contractor delle Grandi Opere. Maurizio Lupi, che su quelle carte ha evidentemente modo di riflettere per lunghe ore, si accorge che alla storia raccontata dal gip di Firenze manca un pezzo. Il più importante. E che quel vuoto gli apre una via di uscita e la possibilità di offrire una "lettura alternativa" a quello che le carte pure sembrano già documentare in modo inequivocabile.

Decide dunque di muovere. Posando a padre cui "la politica fa pagare il prezzo alle persone che ami". Intervistato dal nostro Francesco Bei, dice: "Mio figlio si è laureato al Politecnico di Milano nel dicembre del 2013 con 110 e lode. Dopo sei mesi in America, presso uno studio di progettazione, gli hanno offerto un lavoro. Ci ha messo un anno, come tutti, ad avere il permesso di lavoro, e da marzo di quest'anno lavora a New York. Lo scorso anno ha lavorato per lo studio Mor per 1.300 euro netti al mese in attesa di andare negli Usa".

Bei insiste: "Il punto è: su sua richiesta? ". È il passaggio chiave. Il ministro risponde con enfasi: "Se avessi chiesto a Perotti di far lavorare mio figlio, o di sponsorizzarlo, sarebbe stato un gravissimo errore e presumo anche un reato. Non l'ho fatto. Ho sempre educato i miei figli a non cercare scorciatoie. Non ho mai chiesto favori per loro. Stefano Perotti conosceva mio figlio da quando, con altri studenti del Politecnico, andava a visitare i suoi cantieri. Sono amici. Così come lo sono le famiglie".

LA TELEFONATA CHIAVE - Ebbene, la storia raccontata da Maurizio Lupi sta in piedi come un castello di carte. E a farla venire giù sono due intercettazioni telefoniche che il ministro non conosce ma che fanno parte dell'inchiesta. Che le danno una sequenza logica e temporale.

È il gennaio del 2014. Luca Lupi si è laureato da appena un mese. E sappiamo già dall'ordinanza che Stefano Perotti ha già provveduto a festeggiarlo, senza che il padre trovi nulla di sconveniente, con un Rolex da 10.350 euro. È un regalo che, evidentemente, non basta. Soprattutto che non seda l'ansia di un padre che ha urgenza di vederlo sistemato. Per questo, il ministro alza il telefono e, inconsapevole dei Ros all'ascolto, chiama Ercole Incalza, l'immarcescibile mandarino che governa la Struttura Tecnica di Missione del ministero (la stanza dei bottoni degli appalti per le Grandi Opere), il Kaiser Soze delle Infrastrutture.

"Deve venirti a trovare mio figlio ", gli dice. E non c'è evidentemente da aggiungere altro. Perché quella visita ha un solo scopo. Di cui non è necessario parlare al telefono. Incalza riceve infatti il giovane Luca, sapendo già come provvederà a renderlo un ragazzo felice. E dopo averlo congedato, si mette a sua volta al telefono. Chiama Stefano Perotti, l'ingegnere che gli deve tutto e con cui è socio nella "Green Field System", la società in cui la Procura di Firenze vuole confluiscano e vengano di fatto riciclati le centinaia di migliaia di euro che sono il prezzo della corruzione delle Grandi Opere (Incalza percepisce dalla Green field 697.000 euro tra il '99 e il 2008. Mentre, solo tra il 2006 e il 2010, Perotti la alimenta con versamenti pari a 2 milioni e 400mila euro).

Anche questa conversazione tra Incalza e Perotti è intercettata dal Ros e fa parte degli atti dell'inchiesta. Anche di questa Lupi non può sapere leggendo l'ordinanza.

Incalza informa Perotti: "C'è da incontrare il figlio di Maurizio". Non c'è bisogno di aggiungere altro. Perché i due sanno evidentemente di cosa si tratta. Lo sanno a tal punto che, come ormai sappiamo, la cosa, "la triangolazione ", come la chiama il genero di Perotti, Giorgio Mor, si fa. Luca Lupi si mette l'elmetto giallo da cantiere e va a lavorare al palazzo dell'Eni a san Donato Milanese.

Sappiamo anche che non finirà qui. Che lo scorso febbraio, quando l'aria intorno a Incalza e Perotti comincia a farsi greve, si decide che è meglio per tutti che il ragazzo cambi aria. Perotti alza il telefono e chiama l'amico Tommaso Boralevi perché se lo prenda oltreoceano.

FRANK E IL PORTO DI OLBIA - La si potrebbe chiudere qui. Ma nelle pieghe dell'ordinanza è possibile afferrare almeno un altro filo che racconta di qualche altra disinvoltura del ministro. Quello che porta al cantiere per il nuovo Porto di Olbia. Si legge nell'ordinanza: "Stefano Perotti interviene su Fedele Sanciu, commissario dell'Autorità portuale del Nord Sardegna e su Bastiano Deledda, responsabile unico del procedimento, per condizionare il bando di gara relativo alla progettazione definitiva e alla direzione dei lavori per la realizzazione del nuovo terminal". E per farlo "si avvale del ruolo decisivo di Francesco Cavallo".

Arrestato lunedì, Cavallo, milanese di 55 anni ancora da compiere, si fa chiamare "Frank". Ed è un Figaro che con il ministro ha la confidenza del vecchio compagno di merende e, soprattutto, la comunione di fede e opere di Cl, di cui è creatura. Diciamo pure che di Lupi, pur non avendo alcun rapporto formale con il ministero, è l'ambasciatore e lo spicciafaccende. Le sue mosse non sono mai dritte. Ha un curriculum in cui l'uso dell'inglese dissimula il suo vero mestiere di "problem solver" o "facilitatore", se si preferisce. E di lui, Giulio Burchi, ex presidente di Italferr, al telefono con Giuseppe Cozza, già direttore generale della Metropolitana Milanese, dice: "Cavallo? È l'uomo di Lupi. Bah.... Un personaggio... Bisogna prenderlo con le pinze".

Un personaggio che in due anni (2013-2014) riceve quasi 200.000 euro dal consorzio La Cascina, il forziere di Cl, per "prestazioni professionali" di cui l'accusa non ha sin qui trovato riscontro. E che, ad Olbia, fino a quando le cose non si complicano, appare decisivo. Grazie a una storia di vacanze in barca. "È Cavallo infatti  -  annotano i magistrati fiorentini  -  a prendere contatto con Sanciu e a ricordargli di averlo in passato incontrato in barca insieme al ministro".

Sanciu cucirà dunque il bando come un vestito su misura per Perotti e tutto filerebbe liscio, se non fosse che viene avvicendato nel ruolo di commissario. Perotti proverà inutilmente un ultimo intervento su Lupi. Anche se senza successo. "Mi aspetto qualcosa sull'isola ", dice al genero Giorgio Mor. Quindi aggiunge: "Ho incontrato Luca. Pensavo avesse un messaggio da portare... Ma niente". Già, Luca. Il giovane ingegnere ridotto a staffetta carbonara e che il padre voleva assunto a sua insaputa.

Carlo Bonini

TafanusSu questo caso, si giocherà la credibilità del "rottamatore" di Frignano sull'Arno, di cui il Padreterno ci ha fatto dono preziono, affinchè moralizzasse la politica. Infatti, la legge anticorruzione sta viaggiando con la velocità delle "Ferrovie Calabro-Lucane", e della legge sulla reintroduzione del falso in bilancio si sono perse le tracce. Per ora, si vedono solo leggi e decreti che ricevono standing ovations da parte di Confindustria e di industrialotti minori, padroni delle ferriere e bottegai con l'allergia allo scontrino fiscale. Il caso Lupi (perchè di "caso" si tratta"), sarà un bel banco di prova per Matteo il Moralizzatore.

Tafanus

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Comunione e Libera Azione - Il "Rolex Tour"


Comunione e Libera Azione

Lupi-maurizioNon è iscritto nel registro degli indagati Maurizio Lupi. Ma le buone notizie, per lui, finiscono qui. Le 268 pagine dell'ordinanza del gip Angelo Antonio Pezzuti lo documentano ministro nelle mani dell'associazione per delinquere che, negli ultimi 15 anni, ha gestito appalti delle Grandi opere pubbliche per 25 miliardi di euro. Poco più che un ventriloquo di chi di quell'associazione è il motore: l'immarcescibile Ercole, "Ercolino", Incalza, "il venditore di fumo e cipolle", "l'uomo che vuol far credere che la luna è fatta di formaggio ", come dicono di lui nelle intercettazioni.

Il Kaiser Soze delle Infrastrutture (14 procedimenti penali a carico e una sequela di assoluzioni o archiviazioni per "intervenuta prescrizione"). Così potente da "scrivere il programma del Ncd", da chiedere e ottenere la protezione di Alfano quando l'aria si fa greve e da mandargli un suo uomo, Francesco Cavallo, per cancellare un'interdittiva antimafia. Padrone a tal punto del Grande Gioco da imporre a Lupi la scelta dei suoi due sottosegretari, gli ex socialisti Riccardo Nencini e Umberto Del Basso De Caro. "Dopo che hai dato la sponsorizzazione per Nencini lo abbiamo fatto viceministro  -  si compiace Lupi con Incalza al telefono  -  Ora parlagli e digli che non rompa i coglioni. E comunque complimenti, sei sempre più coperto...".

"SE ROMPONO FACCIO LA CRISI" - Già, Lupi è a tal punto prigioniero di Incalza che, non solo  -  come annota l'ordinanza  -  va a difenderlo in Parlamento rispondendo a una lunga interrogazione dei 5 Stelle con un testo preparato dall'avvocato del grand commis (Titta Madia). Fa di più. Il 16 dicembre scorso è pronto a far cadere il governo Renzi, o comunque a giocare la carta del ricatto politico, se Palazzo Chigi dovesse insistere nel pretendere la soppressione o comunque il diretto controllo della Struttura Tecnica di Missione (di cui Incalza è presidente e che del sistema di corruzione è il perno). "Vado io  -  dice il ministro a "Ercolino"  -  Te lo dico già... Cioè io vorrei che tu dicessi a chi lavora con te che se no vanno a cagare! Cazzo! Non possono dire altre robe! Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione viene giù il governo! L'hai capito? Non l'hanno capito?".

Del resto, quello che succede negli uffici di Porta Pia sembra il segreto di Pulcinella e trova una nitida descrizione nelle parole di Giovanni Paolo Gaspari (nipote dell'ex ministro dc Remo), già alto dirigente delle Ferrovie dello Stato e consigliere del ministero. Il 25 novembre del 2013, al telefono con Giulio Burchi, già presidente di Italferr spa, dice: "Ercolino... è lui che decide i nomi. Fa il bello e il cattivo tempo lì dentro. Il dominus totale. Al 100 per cento. Non si muove foglia. Sempre tutto lui fa. Tutto, tutto, tutto! Ti posso garantire. Maurizio (Lupi ndr) crede di fare qualcosa. Ma fa quello che gli dice quest'altro". Al punto da costruirgli annualmente il "bando su misura" che lo deve riconfermare nell'incarico di capo della Struttura tecnica. "Hanno naturalmente fatto un bando che si adatta solo ad Ercolino. Cioè deve aver fatto il capo della Struttura tecnica di missione per 10 anni, se no non può concorrere... Hai capito?

GLI AMICI PEROTTI E CAVALLO - Per Lupi, essere nelle mani di Incalza significa rispondere anche ai due uomini che ne sono i suoi facilitatori: Stefano Perotti (che di Incalza è anche socio nella "Green Field system", la società in cui ritorna il denaro prezzo della corruzione), l'ingegnere asso piglia tutto delle direzioni dei lavori imposte da Incalza ai general contractor delle Grandi opere, e Francesco Cavallo, un tipo senza arte né parte che, come si legge nel suo curriculum ("Negli ultimi 10 anni  -  scrive di sé  -  ho maturato esperienze significative nella gestione delle relazioni istituzionali, promuovendo e coadiuvando con successo i rapporti con opinion leaders, policy maker, istituzioni e stakeholders e gli affari istituzionali delle organizzazioni con le quali ho collaborato"), ha pochi ma decisivi meriti: è uomo di Cl (di cui Lupi è espressione nel governo e da cui è retribuito in pianta stabile attraverso "La Cascina" per "prestazioni inesistenti"), è stato amministratore delegato dell'Editrice del settimanale di area " Tempi" e consigliere della Metropolitana milanese negli anni di Letizia Moratti sindaco. Ma, soprattutto, conosce Lupi dal 2004, come documentato da un'inchiesta di Bari sulla coop bianca "La Fiorita".

Nel rapporto tra Lupi e Perotti  -  che fino a prova contraria lavora con appalti del ministero  -  c'è un tratto amicale che non ha evidentemente in alcuna considerazione anche solo l'imbarazzo per un oggettivo conflitto di interesse. Lupi e signora sono regolarmente ospiti delle cene organizzate da Perotti nella sua casa di Firenze. Partecipano, la scorsa estate, al matrimonio della figlia in una cornice di ballerine vestite da farfalle. E, siccome  -  come scriveva Flaiano  -  gli italiani innanzitutto "tengono famiglia", Perotti si prende cura del giovane Luca, figlio del ministro, una laurea in ingegneria al Politecnico di Milano e una prima esperienza di lavoro a San Francisco.

PER LUCA REGALI E INCARICHI - A gennaio del 2014, Perotti fa infatti assumere Luca Lupi  -  ragazzo a cui tiene dai giorni della laurea per la quale ha pensato bene di regalare un Rolex da 10.350 euro  -  dal cognato, Giorgio Mor, mettendolo a lavorare nel cantiere per il palazzo di San Donato dell'Eni, di cui ha la direzione dei lavori. "Il ragazzo deve prendere 2.000 euro più Iva mensili", istruisce la segretaria e si raccomanda con il cognato di "farlo diventare il suo uomo su Milano". Ma che in quell'assunzione ci sia qualcosa che non va e che la cosa dunque non vada fatta sapere in giro è così chiaro a tutti che, al telefono, il nome di Luca Lupi non viene pronunciato. Per tutti è "il cugino della moglie di Perotti". E lo stesso Mor chiede di essere rassicurato se "la triangolazione" (e cioè l'assunzione per via indiretta, ma con costi a carico di Perotti) "non sia rischiosa ". È un fatto che, nel febbraio del 2014, dopo l'interrogazione dei 5 Stelle su Incalza e un articolo del " Fatto" che lo collega a Perotti, il figlio dell'ingegnere, Philippe, suggerisca al padre che da quel momento "niente più mail o telefono". E che, un mese fa, Perotti decida di aiutare il figlio del ministro a cambiare aria con un lavoro a New York, chiedendo che lo prenda in carico l'amico Tommaso Boralevi.

C'è anche chi pensa a saldare i vestiti sartoriali del ragazzo. È Cavallo. Che del resto è generoso anche con Nicola Beneduce, uomo nella segreteria di Lupi. Anche per lui, insieme al sarto che serve Lupi jr., un bell'orologio. "Tra i 7 gli 8 mila euro" Fonte: Carlo Bonini - Repubblica)

Il mio orologio Casio da 50 euri

Orologio-casioIo ho un ottimo rapporto, col mio orologio Casio da 50 euri. Innanzitutto perchè, come ho detto, costa 50 euri (più o meno). Qundi nessun malvivente si sognerebbe di seguirmi in un vicolo buio per strapparmelo a viva forza dal polso.Costa una Toyota Yaris meno del pataccone di Lupo de Lupis.

Costa così poco, che quando lo perdo (mi capita) non mi sento più povero, ma più ricco, perchè posso entrare in un negozio e comprarne uno rigorosamente uguale al costo di una napoletana più birra e caffè.

Poi è un Casio. Cioè l'ossimoro dello status-symbol, e io detesto qualsiasi forma di status-symbol.

La cassa è in vera plastica. E' leggero (31 grammi), e io detesto le zavorre da 300 grammi. E' così leggero che a volte mi dimentico di averlo dimenticato a casa...

Ha una precisione non da Guiness dei primati (errore massimo di 21 secondi al mese. E io ho deciso che posso affrontare i disagi connessi ad una imprecisione di 7 millesimi di secondo al giorno.

Il cinturino è in pura gomma finta (cioè in plastica nera morbida). E' così leggero e morbido che non lo sento, e che non mi rovina il polsino di una camicia al mese.

Last but not least, si legge perfettamente che ora è! Pensate, quale innovazione! Alla Casio hanno scoperto che la cosa più leggibile sono cifre e lancette nere su quadrante bianco"! Niente più, come sul mio note-book last generation, super duper, full options, tasti neri con lettere grigio scuro, ma piccole, piccole... A volte sogno una tastiera in braille... sarei disposto persino ad imparare...

Io amo il mio Casio da 50 euri

Tafanus

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