domenica 31 maggio 2015
Expo2015: ci sono tutti i sintomi del "flop" epocale.
Di fronte ai primi dati reali sul numero dei visitatori, qualcuno finalmente inizia a capire le ragioni della reticenza omertosa della dirigenza di Expò nel fornire le cifre dell'affluenza reale. E spero che qualcuno cominci a capire anche la nostra petulanza nel chiedere all'Ufficio Stampa di Expò cifre che non arrivano. Né a noi, né a media ben più autorevoli ed importanti del nostro blogghino.
Tutti i lettori di vecchia data del Tafanus sanno che fin dal trionfale annuncio dell'assegnazione a Milano dell'Expò, abbiamo messo in ridicolo le previsioni iniziali dei "Tre Ubriaconi" fuori di testa, che festeggiavano in maniera sobria (vedi foto) prevedendo 36 milioni di visitatori in 180 giorni. Media: 200.000 visitatori al giorno. Se ogni visitatore si dovesse fermare a Milano (siamo cauti) due giorni, per sei mesi una città che scoppia con un milione di abitanti ne avrebbe avuti il 40% in più. Una follia.
"Bevuti"??? Avremo 36 milioni di visitatori in sei mesi!
Col tempo, dopo i consueti ritardi, ladrocini, retate, cambi in corsa, opere non completate, arriva "Il Ridimensionamento": per arrivare a break-even, c'è bisogno di 23 milioni di visitatori. Dimenticate i 36 milioni dei tre fuori-di-testa. Ventitre milioni, allegramente sposati (che altro potevano fare?) dal commissario Sala e dal Premier ghe-pensi-mi Matteo degli Annunci.
Però dati niente. Li abbiamo chiesti insistentemente noi, li chiedono i giornali, ma niente arriva. Come è successo a noi (possiamo vantarci di essere stati dei pionieri?) il dubbio si è insinuato nello Huffington Post, e adesso nel Giorno. L'intendenza seguirà... Per ora, in assenza - in pure stile malavitoso - di dati ufficiali, ognuno di arrangia come può, mettendo insieme altri dati. Il tutto come somma delle parti... Vediamo come si "arrangia" i Il Giorno di Milano:
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Avete capito bene. Dalle stime calcolate dal "Giorno, i visitatori delle prime tre settimane (che includono il boom dei primissimi giorni) sono meno della metà di quanto previsto dallo stesso Sala per il raggiungimento del break-even-point, Ecco i criteri di stima. Giusti? Sbagliati? Nessun problema. Il Commissario Sala è sempre in tempo a dirci quale sia stata la somma dei numeretti, scrupolosamente registrati dai tornelli d'ingresso, a più di tre settimane dall'inizio. Così si mette tranquillo lui, e mette tranquilli, felici e contenti anche noi.
Tafanus
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Milano, 21 maggio 2015 - Nelle tre settimane all’Esposizione universale di Milano ogni giorno sono entrate in media sessantamila persone. È questa la stima delle visite quotidiane tra i padiglioni che fonti autorevoli hanno permesso di ricostruire, mentre la società Expo continua a tenere sotto chiave i dati degli accessi. In sostanza, l’evento si è tenuto al di sotto delle stime degli organizzatori, che calcolavano in 80-90mila le presenze in settimana, con picchi fino a 250mila persone nel weekend.
Finora gli unici dati pubblici sono quelli dei padiglioni: 115mila turisti nei primi venti giorni alla Svizzera, 10mila ogni dì sulla rete del Brasile, diecimila a Palazzo Italia. Tuttavia manca la somma ed Expo tiene la bocca cucita. «Oggi abbiamo in visita 20mila bambini delle scuole», spiegava martedì il commissario unico, Giuseppe Sala. E gli altri? Ci si affida solo al numero di biglietti venduti: l’ultima stima, una settimana fa, era di 11,3 milioni, di cui 100mila ticket serali. Anche altri dati sensibili, come il traffico sui mezzi pubblici o la quantità di pattumiera raccolta, sono secretati: la linea ufficiale di Atm, Trenord e Amsa è di non rilasciare numeri su Expo.
Tuttavia, qualche dato trapela. Ad esempio, la stazione Rho Fiera della metropolitana rossa, uno dei porti di Expo, nei giorni scorsi ha registrato un passaggio medio di seimila persone di notte. Compresi i lavoratori dei padiglioni. I dati sull’uso dei mezzi pubblici sono significativi, perché li adopera la maggior parte dei visitatori, ben oltre la stima del 60% elaborata prima dell’inaugurazione. L’altra fetta grossa sono i pullman delle scolaresche. Seicentomila gli alunni che hanno prenotato una visita. Di auto se ne vedono poche, di taxi ancora meno. Nella prima metà del mese, le auto bianche di Milano hanno ricevuto meno chiamate rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, nonostante fosse stato promesso un incremento di cinquemila corse in più al giorno.
Calma piatta anche sui tabelloni degli arrivi di Linate, Malpensa e Orio al Serio. «Non ci sono voli aggiuntivi per Expo – puntualizza Antonio Albrizio, segretario Uil Milano e Lombardia con delega ai trasporti –. Si punta ad aumentare i coefficienti di riempimento degli aerei, che al momento sono del 65%». Ci sono trattative per aggiungere tratte con il Messico e sono aumentate alcune frequenze verso la Cina. Da quest’ultima gli organizzatori di Expo si aspettano un milione di visitatori, tuttavia l’ultimo rapporto della Fondazione Italia-Cina stima in 700-750mila i turisti del Paese di Mezzo che sbarcheranno in tutto lo Stivale. Dalla Lombardia stanno partendo anche più voli verso gli Stati Uniti, ma Albrizio frena: «Succede tutte le estati».
L’umore è sottotono anche negli ambienti del commercio. «Ci erano state promessi sei mesi di giornate tipo Salone del mobile, ma non è così e alcuni locali hanno giornate in negativo», osserva Lino Stoppani, presidente di Epam, l’associazione provinciale milanese dei pubblici esercizi. Il primo nodo è l’assenza dei turisti stranieri. «Non sono ancora arrivati, i dati degli alberghi ci dicono che si saranno punte a giugno e settembre», osserva Stoppani. La seconda è l’effetto cannibalismo dei ristoranti di Expo sui locali della città: «Spero sia temporaneo. Comunque Expo – osserva Stoppani – non finisce il 31 ottobre e a Milano sono stati fatti investimenti duraturi». Nel frattempo, Federconsumatori Lombardia lancia con Comune di Milano e Regione Lombardia un portale, «We4You» per segnalare i raggiri di cui i turisti sono rimasti vittime. «Già qualche mese fa abbiamo segnalato un aumento nei prezzi di alcuni alberghi – spiega il presidente, Gianmario Mocera –. Fino al 30% in più. Ne ha già fatto le spese chi viene a curarsi in Lombardia».
luca.zorloni@ilgiorno.net
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Da non credere! Eugenio Scalfari verso la completa guarigione daL "renzismo"!
Non sono passati secoli, da quando Scalfari consigliava di turarsi un po' il naso e di votare Renzi, e quasi tutte le penne Montblanc di De Benedetti erano sulla stessa linea... Da un po' di tempo Scalfari ha iniziato una dolce "strambata", che con l'articolessa di oggi mi sembra stia per completare i 180 gradi... Eccolo:
E la risorsa del suo mestiere con la donnetta, col cavaliere (di Eugenio Scalfari - l'Espresso)
Molte cose sono accadute nella settimana che oggi si chiude. In Italia, in Europa e nel mondo intero. Non starò ad elencarle, giornali e televisioni ne sono pieni. Mi occuperò soltanto dei fatti italiani, che possono essere guardati da quattro diversi punti di vista: le manifestazioni - belle ma anche molto brutte - connesse con l'apertura dell'Expò e con il Primo maggio, festa del lavoro; l'economia italiana; il tema del Mare Nostrum e gli immigrati; la legge elettorale approvata con quattro voti di fiducia ai quali seguirà il voto definitivo sull'intera legge domani e quanto sta accadendo all'interno del Pd. Come esempio che tocca un punto assai delicato per la democrazia italiana e per il principale partito che la guida, guardate la vignetta di Altan che apre l'Espresso di questa settimana.
Comincio dal tema del lavoro. Le cifre diramate dall'Istat tre giorni fa danno un aumento della disoccupazione e in particolare di quella giovanile; una diminuzione dei consumi, una modifica in peggio delle aspettative che erano invece segnalate in aumento il mese scorso. Le cifre sono anche negative per quanto riguarda il fabbisogno del bilancio, a causa della recente sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni al di sopra dei 1400 euro mensili, che dovranno essere rimborsate con il calcolo degli interessi.
Si tratta di cinque miliardi di euro per l'esercizio in corso, che saliranno a undici nell'anno prossimo. In queste condizioni, l'erogazione di 1,7 miliardi destinati ai ceti più poveri non è più fattibile ed è rinviata "sine die". La donna di Altan ha perfettamente ragione. Ma chi ha commesso l'errore?
Non la Fornero, che con quel taglio definito oggi incostituzionale salvò nel 2011 l'Italia dal default, ma il governo attuale, che ha dissipato 10 miliardi l'anno e per i prossimi due anni con la regalia elettoralistica degli 80 euro mensili ai redditi superiori agli ottomila euro annui. Avrebbe dovuto destinare quella cifra al taglio del cuneo fiscale (Irap) e oggi - pur dopo la sentenza della Consulta - avrebbe ancora le risorse finanziarie per aiutare i non capienti e continuare ancora ad intervenire sull'Irap.
Queste vicende mettono anche in evidenza che il Jobs Act, come ho già scritto più volte, è un prezioso oggetto esposto in vetrina ma con nessuna incidenza sull'occupazione. Non crea nuovi posti di lavoro. Li creerà quando finalmente una vera legge sul lavoro sarà presentata dal governo e votata dal Parlamento come chiede Draghi da mesi. Ma il governo è in tutt'altre faccende affaccendato: legge elettorale, riforma del Senato, Mare Nostrum, regolamento di conti con i gufi della minoranza del Pd. "Figaro qua, Figaro là, sono barbiere di qualità". Altan dovrebbe fare su quel barbiere la sua prossima vignetta.
Speravamo tutti che il nostro Renzi ottenesse dall'Europa un aiuto sostanziale sulla questione della Libia e degli immigranti, fermo restando che quelle centinaia di migliaia di poveretti che affrontano la morte in mare dovrebbero esser portati in Europa tramite l'Italia. Lo speravamo molto perché Renzi si era pubblicamente impegnato a "metterci la faccia" e a battere decisamente il pugno sul tavolo di Bruxelles.
Non ha battuto nessun pugno ed ha ottenuto soltanto l'aumento dell'aiuto finanziario europeo da tre a nove milioni al mese come rimborso spese del "Triton". Cioè niente, e abbiamo anche dovuto ringraziarli.
Le conseguenze sono di chi dovrà salvarli se prendono il mare, ma se cercheremo di non farli partire e resteranno in Libia da chi saranno soccorsi e da chi saranno protetti? Da noi naturalmente perché in quel Paese non esiste un governo ma tribù che si combattono a vicenda e terroristi del Califfato.
La conclusione è che manterremo i nostri soldati in Afghanistan per ingraziarci gli Usa e dovremo anche mandarne altri, con le relative intendenze e medici, sulla costa libica. Se sbaglio, qualcuno mi corregga e ne sarei felice, però temo di no perché non si tratta di congetture ma di fatti preannunciati. A meno che si respingano gli immigrati in Libia e lì si lascino nelle mani degli scafisti-schiavisti. Spero che non si arrivi a tanto, perché se ci si arriva la Lega di Salvini avrà vinto la sua battaglia e il popolo di Altan non andrà a trovare la sua sinistra neppure una volta al mese.
Ed ora parliamo delle leggi in corso di approvazione in Parlamento: quella elettorale e quella del Senato. Qui lascerei la parola ad alcuni autorevoli interventi di personalità della cultura politica e giuridica, quattro per l'occasione: Michele Salvati sul Corriere della Sera del 29 aprile, Valerio Onida sul Sole24Ore del 1° maggio, Michele Ainis sul "Corsera" del 30 aprile e infine, "last but not least", Alcide De Gasperi nel suo discorso alla Camera del 17 gennaio 1953.
Comincerò appunto da quest'ultimo, unico esempio di un voto di fiducia su una legge elettorale che nonostante quella protezione fu battuta in Parlamento e chiamata "legge truffa", mentre non lo era affatto. A quell'epoca facevo parte del gruppo dei collaboratori del Mondo di Mario Pannunzio. Noi, laici e nient'affatto conservatori, fummo favorevoli a quella legge che avrebbe consentito ai partitini laici alleati con la Dc di prendere più voti di quanto avveniva con il sistema elettorale vigente. E infatti così sarebbe avvenuto.
Ma passiamo al discorso di De Gasperi, che ho già ricordato in un altro mio articolo.
Il presidente del Consiglio sottolineò che non avrebbe proposto mai una riforma elettorale che trasformasse una minoranza in maggioranza. "Il premio viene concesso soltanto nel caso che un partito o un gruppo di partiti conquisti la maggioranza assoluta dei voti, 50 per cento più uno. Nel caso invece che questa ipotesi non si verifichi ci si servirà della legge elettorale vigente, basata sul sistema proporzionale puro. Considererei un tradimento della democrazia trasformare in maggioranza una minoranza, fosse pure del 49 per cento. La legge attuale rafforza solo una maggioranza esistente nel Paese ed espressa con libero voto. Per questa ragione il governo chiede la fiducia al Parlamento".
Dico subito che se l'attuale governo avesse adottato la legge del '53, immagino che il Parlamento l'avrebbe votata all'unanimità. Invece non è stato così. Il premio scatta col 40 per cento dei voti. Se sono di meno i primi due partiti (non coalizioni, che sono vietate) vanno al ballottaggio dove molto probabilmente i voti saranno in cifra assoluta molto minori del primo turno. Sarà quindi una piccola minoranza del popolo sovrano a consegnare il potere al partito vincente tenendo conto che probabilmente gli astenuti saranno il 40 per cento e anche di più.
Michele Salvati però non la pensa così. Salvati non è persona culturalmente da poco. Avrà dunque le sue ben motivate ragioni alle quali mi sembra doveroso dare voce.
"Il dissenso della minoranza del Pd arriva a riassumere il vecchio slogan di minaccia alla democrazia già usato al tempo di Berlusconi. Ma quali tabù ha toccato Renzi per suscitare questa reazione? Si tratta del passaggio da un partito di notabili in servizio permanente effettivo ad un partito del leader il quale giudica quando il tempo delle mediazioni è finito. Il governo del leader non è una minaccia della democrazia ma il tentativo di conciliare la democrazia con la decisione nella consapevolezza che la vera minaccia per la democrazia è la sua incapacità di decidere ".
Caro Salvati, è un po' forte affermare che la democrazia è incapace di decisioni. La conseguenza logica è dunque di abolirla. È questo che tu vuoi? Allora è vero che la minaccia c'è e del resto lo si vedrà.
La risposta viene da Ainis: "La riforma del Senato toglie un contrappeso e rafforza il sovrappeso dell'Esecutivo, mentre fa dimagrire l'opposizione con la soglia del 3 per cento. Così in Parlamento si fronteggeranno un polo e una poltiglia. Non basta trasformare i deputati in soldatini; la governabilità ottenuta con i numeri è una formula rozza e fallace".
Ancora più netto è Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, che la vede in questo modo: "La mia valutazione su quella legge è decisamente negativa. C'è un allontanamento da un genuino sistema parlamentare in favore del potere personale di colui che conquista la carica di primo ministro. Pretende che un solo partito occupi la maggioranza assoluta dei seggi anche se non rappresenta la maggioranza degli elettori e dei votanti. Un vero premio di maggioranza dovrebbe spettare ad una vera maggioranza che abbia ottenuto più del 50 per cento dei voti (De Gasperi). Questa invece è una legge che trasforma in maggioranza dei seggi la minoranza più forte. Il ballottaggio a sua volta dà la vittoria ad uno dei due competitori qualunque sia il livello del suo consenso e che sia minore degli elettori al secondo turno. Il problema è dunque la creazione di una maggioranza che può non essere tale e che per di più dà luogo ad un governo monocolore".
A me pare che non ci sia altro da aggiungere. Ricorderò soltanto, per fare sfoggio d'una modesta cultura in questi argomenti, che ai primi dell'Ottocento uno dei maggiori filosofi e pensatori di quella epoca, Wilhelm von Humboldt, sostenne la diminuzione dei poteri del Cancelliere in Prussia e riaffermò che la libertà era il solo vero valore da perseguire. Lo Stato doveva aver un compito puramente negativo: impedire tutto ciò che può indebolire la libertà del singolo. Questa è la base d'ogni liberalismo che sia veramente tale. Un'ultima osservazione credo si debba fare sulla funzione politica dei sindacati dei lavoratori. Molti sostengono che la politica del sindacato si esercita solo attraverso i contratti, ma non è così. I grandi sindacalisti di questo Paese stipulavano i contratti con la controparte ma avevano anche un'attività politica di estrema importanza. Faccio i nomi di Di Vittorio, Lama, Trentin, ma altri ancora potrei farne. Il sindacato visita la sinistra tutti i giorni del calendario. Bisognerebbe ricordarselo.
Eugenio Scalfari
2602/0645/1015
sabato 30 maggio 2015
Leaders: Il futuro è Mara Carfagna
Se chiedi IN FORZA ITALIA chi sia l'erede di Silvio Berlusconi la risposta di rito è: «Nessuno». Negli ultimi giorni la risposta è cambiata: «C'è solo uno che aspira a diventarlo. Anzi, una». (di Marco Damilano - l'Espresso)
La deputata che alla vigilia del voto sta percorrendo la sua regione, la Campania, incontri, comizi, conferenze stampa a ritmo indiavolato, chilometri macinati, come se fosse lei in gara per la presidenza e non il suo amico Stefano Caldoro. Stringe mani, bacia militanti, promuove candidati al consiglio regionale: qualche sera fa un ingresso da star, la scalinata, gli applausi, i jingles della bella stagione berlusconiana, quando toccava a lei aprire le convention nazionali con il Presidente. E invece era solo l'inaugurazione del comitato elettorale a Sala Consilina del candidato locale. Pazienza, lei si è prestata all'evento per così dire minore con il consueto professionismo.
Mara Carfagna compirà quarant'anni alla fine del 2015, è quasi coetanea del premier Matteo Renzi, più giovane di due anni di Matteo Salvini. Con i due Matteo di governo e di opposizione ha in comune un esordio in televisione, un presente da politica pura e un futuro da leader, forse. In queste settimane il suo nome è tornato in testa alla lista dei sorvegliati speciali all'interno di Forza Italia. È bastato che l'ex Cavaliere dichiarasse di vedere bene una donna come prossimo leader dei moderati per scatenare nel partito azzurro le fazioni contrapposte: i conservatori, che vogliono blindare l'attuale equilibrio fondato sull'eternità di Berlusconi e chi invece è terrorizzato dell'ascesa di Salvini e vorrebbe trovare una figura da contrapporre al capo della Lega.
Qualcosa di più della solita discussione sul dopo-Berlusconi, tema di attualità da almeno dieci anni, che in genere parte con le migliori intenzioni e si conclude con un nulla di fatto. Perché questa volta il partito che ha dominato il centro-destra per più di un ventennio è davvero a un passo dall'implosione post-elettorale, soprattutto se le cose dovessero andare male in Campania (con una sconfitta di Caldoro) e in Liguria (dove contro il Pd si è candidato il coordinatore nazionale forzista Giovanni Toti). C'è il panico che trascina una parte dei parlamentari in direzione Renzi e un'altra a gravitare intorno al nuovo padrone della destra, Salvini. Una barca senza rotta che aspetta un segnale di vita dal suo anziano condottiero. Eppure, nei ragionamenti di Berlusconi degli ultimi giorni di segnali ce ne sono stati. Primo, l'Italicum ormai è legge, la riforma elettorale è una realtà, bisogna fare i conti. Divisi i partiti del centrodestra perdono, va trovato il modo di riunirli, come fece il presidente della Fininvest nel 1994 quando con la nuova legge elettorale (il Mattarellum) costruì un cartello che andava dalla Lega di Umberto Bossi ad An di Gianfranco Fini. Secondo, il federatore non c'è, non esiste un personaggio come Berlusconi in grado di tenere insieme le anime del centro-destra e di convincere Salvini ad annegare il simbolo vincente della Lega dentro un listone dei moderati. Serve qualcosa di più: un Renzi, o almeno qualcuno che conquisti la leadership come ha fatto il premier nel centrosinistra. «Renzi è spuntato sotto un cavolo», spiega l'ex premier, ma sa che il cavolo da cui è uscito il leader sono le primarie.
L'ultima volta che nel Pdl hanno provato a organizzarle era la fine del 2012 ed è stato un disastro. Doveva correre Angelino Alfano, ancora numero due del partito, all'ultimo momento Berlusconi annunciò che si sarebbe ricandidato, fine della ricreazione, tutti i concorrenti si ritirarono in silenzio. Questa volta, però, la macchina delle primarie potrebbe partire da Arcore, per imbrigliare Salvini e intrappolarlo nel campo del listone moderato. «Servono primarie regolate per legge», teorizza Berlusconi. Ma la strada è segnata, perché l'alternativa è che ogni formazione vada per la sua strada e si candidi per i fatti suoi. Un suicidio.La Carfagna si è sintonizzata su questa lunghezza d'onda. Si propone come un anti-Salvini nel centrodestra: meridionale e donna. Mai una parola invece sulle beghe interne di Forza Italia, perché non si corre per conquistare la guida di un partito in via di smantellamento. L'ex ministro deve far dimenticare agli occhi dei berlusconiani duri e puri la recente stagione in cui aveva affiancato Raffaele Fitto nella corrente dei lealisti, quelli che si erano rifiutati di seguire Alfano nell'Ncd ma che reclamavano un repulisti al vertice in Forza Italia. Oggi Fitto è fuori, sta organizzando i suoi gruppi parlamentari, in Puglia si è messo in proprio e combatte voto su voto per superare lo schieramento fedele a Berlusconi. Mara invece si è smarcata dal compagno di strada, «mi dispiace per la guerra fratricida scatenata da Raffaele», dice, ha giurato fedeltà a Berlusconi, è rimasta in Forza Italia, la sua campagna elettorale è da donna di partito all'antica: territorio, candidati e simbolo ben esposto nelle manifestazioni. In nome dell'unità del centrodestra ha perfino fatto pace con Alessandra Mussolini con cui in altri tempi erano volate parole molto colorite. In Parlamento non partecipa alla conta di molti colleghi, quelli che meditano di seguire Fitto e quelli che si stringono attorno a Denis Verdini. È intervenuta in Parlamento sull'Italicum. Sulle unioni civili ha presentato un progetto di legge e già si parla di un tandem con la renziana Maria Elena Boschi. Il riconoscimento delle coppie gay è una sua vecchia battaglia, in Forza Italia era in totale solitudine, ma ora anche Berlusconi sostiene una svolta all'irlandese per l'Italia. «Mara è bravissima, l'unica che si batte per i diritti civili», l'ha battezzata la donna più influente del cerchio magico berlusconiano, campana come la Carfagna, la compagna di Silvio Francesca Pascale. Quasi un'investitura.
Quando entrò per la prima volta in Parlamento, nel 2006, l'ex soubrette sembrava vivere una favola, nel 2008 a 33 anni diventò ministro glamour, gratificata dalle copertine dei settimanali di mezzo mondo e da numerose maldicenze. Da allora in poi la fiaba è finita, la Carfagna ha dovuto attrezzarsi alla durezza della battaglia politica, quella di cui parlava il socialista Rino Formica, sangue e altre nobili sostanze. Trappole, cattiverie, fuori e soprattutto dentro il suo partito. Anche negli ultimi giorni il cerchio magico berlusconiano si è rinchiuso attorno al suo leader e ha cominciato a delegittimare l'ascesa dell'ex ministro. Ma Salvini sembra prenderla sul serio: «Sono pronto a sfidare la Carfagna alle primarie». E un forzista di alto rango ritiene che per sfidare il leader della Lega il suo sia il solo nome spendibile. E i nemici? «Se la sceglierà Berlusconi saranno tutti amici».
...Mara Carfagna? e perchè no?... Finalmente Forza Italia avrebbe una leaderessa "guardabile"...
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martedì 26 maggio 2015
lunedì 25 maggio 2015
Nei talk shows fa furore l'ospite impagliato
Le trasmissioni politiche hanno deciso di tagliare i costi. Uno dei nuovi format prevede la presenza in studio del solo conduttore, che insulta se stessoCome risolvere la crisi dei talk-show politici? È possibile che il loro numero (settantuno, molti dei quali in onda contemporaneamente) sia eccessivo? Se lo chiede tutto il mondo della televisione, sotto choc dopo la decisione di Mediaset di risparmiare sui costi mandando in onda non solo alla stessa ora, ma nello stesso studio due talk-show in diretta, con gravi disagi tra gli ospiti seduti due a due nelle stesse poltrone, e continui equivoci perché molti rispondevano alle domande del conduttore dell'altra trasmissione. «Non si capiva una parola, le voci si sovrapponevano, tutti gridavano contemporaneamente - ha commentato il direttore di rete - e dunque siamo molto soddisfatti: le prerogative classiche del talk-show politico sono state pienamente rispettate. Ripeteremo presto l'esperimento».
GLI OSPITI - Per ogni autore di talk-show politico, quello degli ospiti è diventato un vero incubo. I conti sono presto fatti: considerando una media di cinque ospiti per ogni talk, il fabbisogno settimanale è di 355 ospiti. Di questi, 71 sono Matteo Salvini, presente ogni settimana in tutti i talk-show nazionali; ne rimangono comunque 284. «Anche invitando i deputati più oscuri, alcuni dei quali non sanno neppure di essere stati eletti, è difficilissimo completare il cast», confida un autore di Gianluigi Paragone, che per parlare con noi ha chiesto la garanzia dell'anonimato, e la chiede anche quando parla con Gianluigi Paragone. «Allora cominci a invitare i consiglieri regionali; poi quelli provinciali; e giù giù fino ai segretari comunali, ai vicedirettori di aziende municipalizzate, per finire, quando sei proprio alla disperazione, con Michela Brambilla che chiede il carcere per chi mangia le lumache».
L'OSPITE PRESO DALLA STRADA - La tradizionale divisione - i politici che urlano in studio, la gente che urla nei collegamenti esterni - non ha più ragione di esistere. Tra gli autori televisivi si sta affermando una vera e propria corrente neorealista: l'ospite va preso dalla strada. Anche per dare corso al tanto auspicato declassamento della casta. La selezione è molto semplice. Si rivedono in moviola i filmati dei collegamenti esterni degli ultimi anni, individuando nella folla quelli che esprimono i giudizi più circostanziati, le opinioni più brillanti, e li si esclude. Tutti gli altri vengono convocati per un casting nel corso del quale vengono interrogati su un argomento del quale non sanno nulla: al "via" devono rispondere tutti insieme, vince quello che riesce ad afferrare per primo il microfono.
I TRUCCHI - Sono numerosi. Si va dall'ospite impagliato, con un doppiatore che ne ripete le frasi più efficaci (memorabile, quest'anno da Santoro, uno scontro tra Togliatti e Fanfani); all'ospite mascherato, un figurante che garantisce di essere una personalità importantissima, ma di non poter mostrare il suo volto per ragioni di sicurezza; all'esponente politico presentato come "influente membro del governo", tacendo fino a pochi minuti prima della sigla finale il fatto che il governo è quello maltese; al ventriloquo in disgrazia che si presta a far parlare il suo pupazzo della crisi del liberismo.
ONE MAN TALK SHOW - Una possibile via d'uscita alla penuria di ospiti è questo nuovo format, che prevede un regolare talk-show, con il tipico repertorio di liti furiose, irrisioni reciproche, continue interruzioni, però senza dover ricorrere agli ospiti, che sono sempre un'incognita: non tutti sono in grado di garantire l'incompetenza e l'iracondia necessarie per ben figurare. Sarà dunque il conduttore, per circa due ore, a farsi carico dell'intero copione, rispondendo alle proprie domande, interrompendosi e insultandosi, minacciando di abbandonare lo studio, sostenendo che gli immigrati vanno impiccati e che gli immigrati vanno alloggiati nella propria camera matrimoniale andando a dormire in albergo, che Renzi è un genio e che Renzi è un cialtrone, che Renzi è uguale a Hitler, che è uguale a Gandhi, che è uguale a Brigitte Bardot. In tempi di crisi, la formula consente un forte risparmio sul cast, ma potrebbe essere un risparmio solo teorico perché il conduttore, dopo un paio di puntate, viene ricoverato in rianimazione.
Michele Serra
0903/0645/1000 edit
domenica 24 maggio 2015
giovedì 21 maggio 2015
mercoledì 20 maggio 2015
martedì 19 maggio 2015
Mario Adinolfi e "La Croce": Mettiamoci una croce su..
Eravamo stati facili profeti. Quando chiude un giornale, è sempre una cosa dolorosa, perchè è una voce che si spegne. Un giornale. Cosa avesse a che vedere "La Croce" col giornalismo lo sanno solo Iddio e Mario Adinolfi, che sono due grandi amiconi... La Croce di Adinolfi doveva durare decenni. E' morto meritatamente in fasce, fra gli sberleffi della rete...
La Croce quotidiano sospende l'edizione cartacea. Lo annuncia su facebook il direttore Mario Adinolfi. Motivo? La carta è "troppo dispendiosa", ma il direttore assicura che la "nostra voce sarà più forte" di prima. "Da domani La Croce uscirà solo nella versione digitale - scrive Adinolfi - Abbiamo deciso di investire sul web, premiando l'amicizia dei nostri abbonati. La copia sarà sempre disponibile con i contenuti loro riservati, in più ci saranno molti contenuti in chiaro. La versione cartacea è enormemente dispendiosa e abbiamo notato che i contenuti vengono infinitamente più "scambiati" nella versione web che in quella cartacea. Chi festeggia perché immagina la nostra voce tacere non capisce che risuonerà molto più forte.
Solo a marzo Adinolfi comunicava i risultati estremamente positivi del suo giornale: "Vendite declinanti un cazzo - rispondeva a un utente su twitter - il quotidiano cresce giorno dopo giorno, e capita solo a noi". Del resto, le reazioni sui social non sono state molto positive: "Chiude la versione cartacea de La Croce, quotidiano di Adinolfi. Quando chiude un giornale è sempre un dispiacere. Ma non è questo il caso", è uno dei tanti commenti. Oppure: "Solidarietà con gli alberi tagliati per fare la carta necessaria per stampare "La Croce" di Adinolfi, giornale chiuso dopo poche settimane". Ancora: "Adinolfi a febbraio: 'Gli haters ci davano 3 settimane, ma noi con #LaCroce saremo in edicola per anni'. È durata 3 mesi".
0603/0645/1730 edit
lunedì 18 maggio 2015
Expò: dopo 15 giorni, il numero dei visitatori è ancora un segreto di stato. E la cosa comincia ad emanare un certo fetore
Com'è noto, è dal giorno della "Annunciazione" dell'Expò assegnata a Milano (sono trascorsi ben 7 anni), che scrivo spesso sulla'argomento, per svariati motivi:
- -a) ho ironizzato sull'oggetto dell'Expò (poco "fotogenico" ed attraente). In corso
- -b) ho contestato le previsioni iniziali di 36 milioni di visitatori, che avrebbero comportato un aumento di un terzo degli abitanti di Milano, che già non si regge in piedi con quelli che ha. Nessun problema, non ci saranno, come previsto, i 36 milioni di visitatori. Milano non è mai stata cos' tranquilla come in questi giorni. Persino posti a sedere in metrò.
- -c) Ho contestato il fatto che alcuni caimani dell'immobiliare abbiano moltiplicato i loro miliardi comprando a prezzo agricolo i terreni destinati all'Expò, e ottenendo subito dopo le varianti al piano regolatore. FATTO
- -d) Ho ironizzato sul fatto che l'Italia dei Ladroni fosse capace, per una volta nella vita, di condurre in porto una "Grande Opera" fino all'ultima pietra, e senza ruberie in grande stile. FATTO. Mezza dirigenza passata e recente dell'Expò è nelle patrie galere.
- -e) Ho ironizzato sul fatto che non ci fosse un progetto per il "dopo Expò". Alcuni giornaletti di quelli che tutto ciò che succede sotto i governi di centro-destra (incluso quello di Renzi) si sono affrettati a scrivere che si, è vero, non c'è un piano per il dopo, ma mancano 5 mesi... Un'eternità, per immaginare, verificare l'utilità e la fattibilità di un piano ancor più gigantesco della stessa Expò... che fretta c'è? Mancano ben cinque mesi...
Di fronte al trionfalismo dei 200.000 visitatori del primo giorno (proiezione: 36.000.000 in 180 giorni), ho lasciato trascorrere un paio di settimane, cercando (senza trovarlo) un link ufficiale al sito dell'Expò, dove leggere, giorno per giorno, il progressivo dei visitatori. Non l'ho trovato. Allora ho scritto all'ufficio stampa dell'Expò, qualificandomi col mio nome e cognome, e documentando la mia attività di gestore di un blog di informazione. Ho chiesto DOVE sarebbe stato possibile seguire giorno per giorno l'andamento dei visitatori. Ho chiesto che almeno ci dessero il dato non approssimativo (hanno i tornelli coi contatori, no?) ma non ho avuto nessuna risposta. La cosa comincia quindi ad emanare un certo fetore non tranquillizzante.
Oggi scopro che la "sindrome dello scetticismo" arriva anche sul sito "l'inchiesta", ben più importante ed attrezzato del mio. Questo sito pubblica una inchiesta che potete leggere integralmente (articolo principale, articoli collegati) cliccando sull'immagine che apre questo post. Un quadro allucinante non solo perchè prelude alla catastrofe economica ed ambientale lungamente paventata, ma perchè certifica, ancora una volta, che l'Italia è un paese inaffidabile persino per la costruzione di un chiosco di giornali o di un parcheggino all'aperto. Un popolo di cialtroni, guidato da un blocco di cialtroni privilegiati. Ognuno ha i governanti che si merita.
Ora faccio un appello a tutti: rompiamo i coglioni a mezzo mondo: giornali, talk-shows, politici di riferimento, affinchè l'Expò si senta finalmente costretta ad adottare un minimo pediatrico di trasfarenza. Non chiediamo molto: vogliamo sapere ogni santo giorno il progressivo degli ingressi e degli incassi (visto che ci sono mille categorie di biglietti a tariffa speciale); una proiezione dei ricavi a fine manifestazione, e delle spese; un saldo. Non credo che sia "chiedere troppo"...
Biglietti, visitatori e cibo sprecato: i misteri di Expo 2015. Prima conferenza stampa dopo l'inaugurazione. Sala spiega nel dettaglio quanti tagliandi sono stati venduti, ma i numeri sono sempre diversi (Fonte: Alessandro Da Rold - Linchiesta)
C’è un grande mistero che continua a circolare tra i padiglioni di Expo 2015: quanti visitatori e quanti biglietti sono stati venduti fino ad ora? E soprattutto: quali saranno le ricadute economiche, dal momento che per arrivare al pareggio di bilancio dovranno essere staccati almeno 24 milioni di tagliandi, come ha spiegato l’amministratore delegato Giuseppe Sala? Sono domande alle quali gli organizzatori continuano a non voler dare risposta e su cui si avrà (forse) chiarezza alla fine di ottobre, quando calerà il sipario sull’evento. A due settimane dall'inaugurazione, Sala ha voluto ribadirlo durante una conferenza stampa, la prima, per fare il primo punto sulla manifestazione universale. Il leit motiv è sempre lo stesso: «Non vogliamo creare polemiche sul nulla». Accanto a lui, a sostenerlo, c’è pure il governo, con il ministro Maurizio Martina e, insieme, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia («Abbiamo vinto la prima tappa. Gli scettici sono molto diminuiti, gli entusiasti sono aumentati») e la regione Lombardia con il presidente Roberto Maroni.
Non solo. Altro mistero è legato alla questione del cibo sprecato dai padiglioni. Il tema è centrale perché riguarda da vicino proprio il principio sotto cui è la manifestazione universale, «nutrire il pianeta». E, come si può vedere al Padiglione Zero, «evitare sprechi». Sala anche qui si è riservato di dare dati precisi più avanti, limitandosi a rispondere che del cibo scartato si occupano Caritas e Banco Alimentare. Il caso è stato sollevato da Fanpage.
Dopo gli annunci degli scorsi mesi («Venduti già dieci milioni di biglietti»), Sala ha parlato nel dettaglio di quanti ne siano stati staccati effettivamente finora: «Abbiamo già incassato 5 milioni di biglietti, ma ce ne sono altri 6 coperti da fideiussioni, già prenotati e certi. In totale 11,3 milioni di biglietti venduti, su cui garantisco». Per andare più nello specifico i distributori minori hanno venduto 1 milione e 800 mila biglietti, 700 mila con la distribuzione diretta, 350 mila con le scuole. «Poi ci sono i Paesi partecipanti», ha detto Sala. Quindi ci sono i tre tour operator italiani: Best Tour con 2 milioni di biglietti, Duomo Viaggi con 1 milione e 800 mila biglietti, e Uvet con 800 mila. «Il restante dei biglietti è stato venduto dai nostri partner - ha spiegato Sala -. Coop ha venduto quasi 650 mila biglietti, Banca Intesa 475 mila, Telecom 250 mila e i partner di Padiglione Italia 500 mila». «Stiamo crescendo a ritmo costante, la situazione continua a essere positiva e non posso che confermare la previsione di 20 milioni di visitatori e 24 milioni di biglietti venduti» ha concluso.
Il balletto, però, continua ormai da mesi. Le dichiarazioni di Sala sono cambiate a seconda dei periodi: si è passati da 5 fino a 3 poi a 7 fino agli 11 milioni del 2 maggio. Linkiesta ne ha già scritto in passato, spiegando la differenza tra quelli effettivamente venduti e quelli coperti da fideiussione. Il punto vero, a quanto pare, è come calcolare anche i tipi di biglietti. Molti sono scontati, altri ancora sono stati offerti alle scolaresche a prezzi più bassi: gli studenti delle scuole pubbliche pagano 10 euro ad alunno. Decifrare quindi quale sarà l’incasso totale al momento non deve essere facile. Forse il numero di visitatori attuale potrebbe aiutare. Anche perché, come hanno sottolineato diversi quotidiani, tra cui il Fatto Quotidiano, i tornelli all’entrata sono di alta tecnologia, costruiti apposta per fornire e monitorare in tempo reale quanta gente entra e esce. Ma, anche qui, Expo 2015 non si scompone.
A creare ancora più confusione è l’afflusso serale, al prezzo scontato di 5 euro. Fino ad ora, ha spiegato Sala, rispondendo a una domanda in conferenza stampa, «si sono contati 100.000 visitatori dopo le 19». Ora l’obiettivo è prolungare l’apertura. Ma qui ne è nata una piccola polemica tra le istituzioni per il sovraccarico del lavoro del trasporto pubblico. In realtà, sotto si cela un’altra diatriba, legata al fatto che l’indotto su Milano è - a quanto pare - sotto le attese. A conferma, secondo gli stessi organizzatori, che Expo 2015 non è come il Salone del Mobile. Bisognerà aspettare novembre per capire se Expo è stato un successo? Probabilmente sì, nella speranza che tra sei mesi i dati e i bilanci siano finalmente certi.
0603/0645/1045 edit
Expò: dopo 15 giorni, il numero dei visitatori è ancora un segreto di stato. E la cosa comincia ad emanare un certo fetore
Com'è noto, è dal giorno della "Annunciazione" dell'Expò assegnata a Milano (sono trascorsi ben 7 anni), che scrivo spesso sulla'argomento, per svariati motivi:
- -a) ho ironizzato sull'oggetto dell'Expò (poco "fotogenico" ed attraente). In corso
- -b) ho contestato le previsioni iniziali di 36 milioni di visitatori, che avrebbero comportato un aumento di un terzo degli abitanti di Milano, che già non si regge in piedi con quelli che ha. Nessun problema, non ci saranno, come previsto, i 36 milioni di visitatori. Milano non è mai stata così tranquilla come in questi giorni. Persino posti a sedere in metrò.
- -c) Ho contestato il fatto che alcuni caimani dell'immobiliare abbiano moltiplicato i loro miliardi comprando a prezzo agricolo i terreni destinati all'Expò, e ottenendo subito dopo le varianti al piano regolatore. FATTO
- -d) Ho ironizzato sul fatto che l'Italia dei Ladroni fosse capace, per una volta nella vita, di condurre in porto una "Grande Opera" fino all'ultima pietra, e senza ruberie in grande stile. FATTO. Mezza dirigenza passata e recente dell'Expò è nelle patrie galere.
- -e) Ho ironizzato sul fatto che non ci fosse un progetto per il "dopo Expò". Alcuni giornaletti di quelli che tutto ciò che succede sotto i governi di centro-destra (incluso quello di Renzi) si sono affrettati a scrivere che si, è vero, non c'è un piano per il dopo, ma mancano 5 mesi... Un'eternità, per immaginare, verificare l'utilità e la fattibilità di un piano ancor più gigantesco della stessa Expò... che fretta c'è? Mancano ben cinque mesi...
Di fronte al trionfalismo dei 200.000 visitatori del primo giorno (proiezione: 36.000.000 in 180 giorni), ho lasciato trascorrere un paio di settimane, cercando (senza trovarlo) un link ufficiale al sito dell'Expò, dove leggere, giorno per giorno, il progressivo dei visitatori. Non l'ho trovato. Allora ho scritto all'ufficio stampa dell'Expò, qualificandomi col mio nome e cognome, e documentando la mia attività di gestore di un blog di informazione. Ho chiesto DOVE sarebbe stato possibile seguire giorno per giorno l'andamento dei visitatori. Ho chiesto che almeno ci dessero il dato non approssimativo (hanno i tornelli coi contatori, no?) ma non ho avuto nessuna risposta. La cosa comincia quindi ad emanare un certo fetore non tranquillizzante.
Oggi scopro che la "sindrome dello scetticismo" arriva anche sul sito "l'inchiesta", ben più importante ed attrezzato del mio. Questo sito pubblica una inchiesta che potete leggere integralmente (articolo principale, articoli collegati) cliccando sull'immagine che apre questo post. Un quadro allucinante non solo perchè prelude alla catastrofe economica ed ambientale lungamente paventata, ma perchè certifica, ancora una volta, che l'Italia è un paese inaffidabile persino per la costruzione di un chiosco di giornali o di un parcheggino all'aperto. Un popolo di cialtroni, guidato da un blocco di cialtroni privilegiati. Ognuno ha i governanti che si merita.
Ora faccio un appello a tutti: rompiamo i coglioni a mezzo mondo: giornali, talk-shows, politici di riferimento, affinchè l'Expò si senta finalmente costretta ad adottare un minimo pediatrico di trasfarenza. Non chiediamo molto: vogliamo sapere ogni santo giorno il progressivo degli ingressi e degli incassi (visto che ci sono mille categorie di biglietti a tariffa speciale); una proiezione dei ricavi a fine manifestazione, e delle spese; un saldo. Non credo che sia "chiedere troppo"...
Biglietti, visitatori e cibo sprecato: i misteri di Expo 2015. Prima conferenza stampa dopo l'inaugurazione. Sala spiega nel dettaglio quanti tagliandi sono stati venduti, ma i numeri sono sempre diversi (Fonte: Alessandro Da Rold - Linchiesta)
C’è un grande mistero che continua a circolare tra i padiglioni di Expo 2015: quanti visitatori e quanti biglietti sono stati venduti fino ad ora? E soprattutto: quali saranno le ricadute economiche, dal momento che per arrivare al pareggio di bilancio dovranno essere staccati almeno 24 milioni di tagliandi, come ha spiegato l’amministratore delegato Giuseppe Sala? Sono domande alle quali gli organizzatori continuano a non voler dare risposta e su cui si avrà (forse) chiarezza alla fine di ottobre, quando calerà il sipario sull’evento. A due settimane dall'inaugurazione, Sala ha voluto ribadirlo durante una conferenza stampa, la prima, per fare il primo punto sulla manifestazione universale. Il leit motiv è sempre lo stesso: «Non vogliamo creare polemiche sul nulla». Accanto a lui, a sostenerlo, c’è pure il governo, con il ministro Maurizio Martina e, insieme, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia («Abbiamo vinto la prima tappa. Gli scettici sono molto diminuiti, gli entusiasti sono aumentati») e la regione Lombardia con il presidente Roberto Maroni.
Non solo. Altro mistero è legato alla questione del cibo sprecato dai padiglioni. Il tema è centrale perché riguarda da vicino proprio il principio sotto cui è la manifestazione universale, «nutrire il pianeta». E, come si può vedere al Padiglione Zero, «evitare sprechi». Sala anche qui si è riservato di dare dati precisi più avanti, limitandosi a rispondere che del cibo scartato si occupano Caritas e Banco Alimentare. Il caso è stato sollevato da Fanpage.
Dopo gli annunci degli scorsi mesi («Venduti già dieci milioni di biglietti»), Sala ha parlato nel dettaglio di quanti ne siano stati staccati effettivamente finora: «Abbiamo già incassato 5 milioni di biglietti, ma ce ne sono altri 6 coperti da fideiussioni, già prenotati e certi. In totale 11,3 milioni di biglietti venduti, su cui garantisco». Per andare più nello specifico i distributori minori hanno venduto 1 milione e 800 mila biglietti, 700 mila con la distribuzione diretta, 350 mila con le scuole. «Poi ci sono i Paesi partecipanti», ha detto Sala. Quindi ci sono i tre tour operator italiani: Best Tour con 2 milioni di biglietti, Duomo Viaggi con 1 milione e 800 mila biglietti, e Uvet con 800 mila. «Il restante dei biglietti è stato venduto dai nostri partner - ha spiegato Sala -. Coop ha venduto quasi 650 mila biglietti, Banca Intesa 475 mila, Telecom 250 mila e i partner di Padiglione Italia 500 mila». «Stiamo crescendo a ritmo costante, la situazione continua a essere positiva e non posso che confermare la previsione di 20 milioni di visitatori e 24 milioni di biglietti venduti» ha concluso.
Il balletto, però, continua ormai da mesi. Le dichiarazioni di Sala sono cambiate a seconda dei periodi: si è passati da 5 fino a 3 poi a 7 fino agli 11 milioni del 2 maggio. Linkiesta ne ha già scritto in passato, spiegando la differenza tra quelli effettivamente venduti e quelli coperti da fideiussione. Il punto vero, a quanto pare, è come calcolare anche i tipi di biglietti. Molti sono scontati, altri ancora sono stati offerti alle scolaresche a prezzi più bassi: gli studenti delle scuole pubbliche pagano 10 euro ad alunno. Decifrare quindi quale sarà l’incasso totale al momento non deve essere facile. Forse il numero di visitatori attuale potrebbe aiutare. Anche perché, come hanno sottolineato diversi quotidiani, tra cui il Fatto Quotidiano, i tornelli all’entrata sono di alta tecnologia, costruiti apposta per fornire e monitorare in tempo reale quanta gente entra e esce. Ma, anche qui, Expo 2015 non si scompone.
A creare ancora più confusione è l’afflusso serale, al prezzo scontato di 5 euro. Fino ad ora, ha spiegato Sala, rispondendo a una domanda in conferenza stampa, «si sono contati 100.000 visitatori dopo le 19». Ora l’obiettivo è prolungare l’apertura. Ma qui ne è nata una piccola polemica tra le istituzioni per il sovraccarico del lavoro del trasporto pubblico. In realtà, sotto si cela un’altra diatriba, legata al fatto che l’indotto su Milano è - a quanto pare - sotto le attese. A conferma, secondo gli stessi organizzatori, che Expo 2015 non è come il Salone del Mobile. Bisognerà aspettare novembre per capire se Expo è stato un successo? Probabilmente sì, nella speranza che tra sei mesi i dati e i bilanci siano finalmente certi.
0603/0645/1045 edit
venerdì 15 maggio 2015
Una grande idea di Michele Serra: "Non c'è lavoro? Allora viviamo di rendita"
L'economista autrice della proposta risponde alle polemiche: "Non pensavo che esistessero persone che per vivere devono guadagnarsi lo stipendio" (di Michele Serra - l'Espresso)
Come mai, anche se l'economia è in ripresa, l'occupazione non riparte? Se lo sono chiesti ministri ed economisti di tutto il mondo nel prestigioso simposio internazionale di Sirmione, durato due mesi invece dei due giorni tradizionali perché l'unico stagista assunto doveva provvedere alle pulizie, al rinfresco, al trattamento delle rose in giardino, alla traduzione simultanea e all'impianto audio-video. Molti ministri erano stati invitati a portarsi i panini da casa. Alcuni di loro volevano comperarli in autogrill, ma hanno dovuto desistere perché l'unica barista presente doveva macinare il caffè, spremere gli agrumi, controllare i gratta-e-vinci, stare alla cassa, ricaricare il maialino a molla che saltella e grugnisce nel reparto peluche, e non aveva tempo per i clienti e le loro fastidiose richieste di consumare cibi e bevande.
LO STUDIO - Secondo uno studio presentato al simposio di Sirmione dallo stesso stagista (per contratto doveva fare almeno un intervento) la società organizzatrice del convegno, che ha sede a Vaduz ma risulta in quota a una finanziaria di Urano, presenta ogni anno la stessa parcella di cinque milioni di euro. Ma dieci anni fa il personale addetto al convegno era di cinquanta persone; l'anno scorso dieci; quest'anno solo una. Gli esperti presenti hanno giudicato molto interessante lo studio dello stagista, e si sono messi a lavorare con entusiasmo all'ipotesi di fare il convegno, il prossimo anno, non più con un solo addetto, ma con zero. Beninteso mantenendo invariato il compenso per la società organizzatrice, altrimenti l'economia non riparte. Basterebbe automatizzare il rinfresco grazie a comodi distributori di merendine incellofanate (migliorano molto se ingerite senza levare il cellofan); levarsi le scarpe all'ingresso del Palazzo dei Congressi per evitare di sporcare per terra, rendendo inutile la pulizia; passare dal giardino all'italiana, pieno di fisime e di costosissimi lavori di manutenzione, al giardino romantico inglese, una selva impenetrabile, ideale per la riproduzione di afidi e pidocchi; quanto all'impianto audio, se l'oratore non è in grado di accenderlo da solo gli sarà sufficiente parlare ad altissima voce e ripetere l'intervento, più tardi, per il pubblico delle ultime file.
AUTOMAZIONE - A parità di fatturato, Google impiega oggi un centesimo dei dipendenti che venivano impiegati da un colosso industriale. Un dato accolto con entusiasmo dalla studiosa Miriam Rothschild Coburgo, che nel suo saggio "La volgarità del lavoro" definisce «una vera fortuna la rivoluzione tecnologica, che ha cancellato dalla faccia della terra decine e decine di professioni trafelate e sudaticce». Turbata dalle polemiche scatenate dalle sue teorie, la Rothschild Coburgo si è giustificata: «Non sapevo che esistessero persone che non possono vivere di rendita. Immagino che siano solo poche decine, ma voglio scusarmi con loro se ho urtato la loro sensibilità. Comunque da disoccupati si può vivere benissimo, basta abitare in case virtuali e mangiare cibo virtuale e l'urto del bisogno, lentamente, sfumerà nel nulla». Alle sue teorie fa eco il raffinato gastronomo Patrick Dulille, inventore del virtual-cooking, ricette sostanzialmente a base di aria, polvere, profumi da catturare nel vento. Un estroso performer che sta insegnando al mondo intero come restare leggeri anche dopo ore e ore passate a cucinare.
LA REAZIONE - Ogni rivoluzione tecnologica comporta una reazione di tipo luddista. Si va dalla proposta (della Cgil Trasporti) di considerare valida l'amicizia su Facebook solo se concessa di persona, bussando porta a porta e con una stretta di mano. Al progetto di legge per concedere la licenza di taxi anche a portantine condotte da due portatori, uno davanti uno dietro, più un portatore di scorta che segue a poca distanza pronto a intervenire. Alla costruzione di motori di ricerca a scoppio, enormi e molto complessi, ognuno dei quali, tra manutentori, elettrauto, carrozzieri, meccanici, può impiegare fino a cinquemila addetti. Al ritorno, in ferrovia, non solo al doppio macchinista, ma anche al doppio passeggero, aggiungendo a ogni singolo passeggero pagante un co-passeggero, assunto dallo Stato, pronto a rimpiazzare il viaggiatore colto da malore. Fino ad arrivare al "material web", una geniale rete non elettronica, costituita da cavi elettrici che collegano tra loro, passando dalla finestra, le case di tutto il mondo, consentendo di assumere, per la sola collocazione dei cavi, una media di centomila persone in ogni paese del mondo.
Michele Serra - l'Espresso
0403/0645/1430 edit
giovedì 14 maggio 2015
Il Presidente della Lega Nazionale Calcio Femminile, In Felice Belloli, e "quelle quattro lesbiche" delle calciatrici
(In)Felice Belloli: degno successore di Carlo Tavecchio (quello che "i calciatori negri e le banane")
“Basta, non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche“. Sono le parole che Felice Belloli, presidente della Lega Nazionale Dilettanti, ha pronunciato durante il Consiglio del Dipartimento Calcio Femminile del 5 marzo, che fa capo comunque alla Lnd. Una frase che è riportata all’interno del verbale della riunione, documento pubblicato integralmente sul sito internet soccerlife.it
Il verbale è stato firmato dal vice presidente vicario Antonio Cosentino, che ha la delega al Calcio Femminile: quando si è accorto delle frasi incriminate, ha deciso di portare il documento alla Procura Federale. Parole offensive che hanno portato all’apertura di un’inchiesta da parte della Figc. Belloli ha preso il posto di Carlo Tavecchio, che aveva fatto del calcio femminile uno dei suoi cavalli di battaglia, inserendolo nel suo programma elettorale, arenato nella sfumata possibilità di portare la Serie A femminile sulla Rai. Intervistato da Il Fatto, nel dicembre 2014 Belloli aveva affermato: “Il calcio femminile è una note dolente, un mondo che non riesce a crescere. Il piano di Tavecchio di affiancare una squadra femminile alle grandi società della Serie A è ambizioso ma difficile da realizzare. Penso che anche qui entrare nelle scuole e ripartire dalla base sia l’unica soluzione“.
Belloli ha però negato di avere definito le atlete “quattro lesbiche”, nonostante sia tutto nero su bianco: “Bisogna dimostrare che ho detto certe parole. Ora lo dimostrino – ha detto il numero uno della Lnd – Avrei detto queste cose? Avrei, appunto. Ora dimostrino che ho detto così. Dicano pure quello che vogliono”. E sulle polemiche che già impazzano, ha commentato: “Chiedono le mie dimissioni. Non so chi può chiedere le mie dimissioni. Io, in ogni caso, non ho mire politiche. So cosa devo fare”.
(Fonte: "Il Fatto" del 14 Maggio 2015)
(In)Felice Bellodi aveva sfidato il mondo intero con le seguenti parole:
Avrei detto queste cose? Avrei, appunto. Ora dimostrino che ho detto così
Lo accontentiamo subito. Poichè la rete non perdona e non dimentica, una scansione del verbale della riunione era stata pubblicata dal sito "soccerlife.it"
Ora il Signor InFelice Bellodi accetti questa scansione come prova e di simetta. In alternativa. quereli e licenzi il segretario della riunione estensore e firmatario del verbale come FALSO. E quereli per diffamazione Il Fatto, soccerlife.it e noi.
Restiamo in fiduciosa attesa
Tafanus
0303/0645/1300 edit
mercoledì 13 maggio 2015
Mediaset, Del Debbio: prima era la macchina del fango, adesso è la macchina dell'odio
Su Mediaset finti rom e musulmani pagati per far loro dire che rubano (di Mauro Munafò)
Come si può alimentare una gigantesca campagna di odio etnico per qualche punto di share in più? Chiedetelo ai maestri di Mediaset.
Dalle parti del Biscione pare che abbiano infatti preso l’abitudine di creare ad arte dei servizi per i loro talk show con questa formula: prendi attori o gente a caso e li paghi per fare la parte di rom, musulmani, minoranze etniche a scelta e fargli dire cose orrende. Tutto, come ovvio, dietro compenso: a voi qualche decina o centinaio di euro, a Mediaset un po’ di indignazione un tanto al chilo.
Il primo caso lo aveva denunciato Servizio Pubblico: due ragazzine rom che avevano dichiarato alla trasmissione Mattino 5 di rubare anche mille euro al giorno hanno poi smentito dicendo di essere state pagate 20 euro dalla giornalista per dire quelle cose in favore di telecamera. Mediaset ha poi confermato la veridicità dell’intervista, ma il sospetto rimane.
Ieri è stata invece Striscia la Notizia a denunciare in prima serata i “cugini” di Rete 4. In ben due servizi dei programmi di Paolo Del Debbio, Quinta Colonna e Dall’altra parte, sarebbe andata in onda la stessa persona mascherata: una volta è stata pagata per fare finta di essere un rom che vende macchine rubate, un’altra volta per dire di essere un musulmano a cui “non frega un cazzo” se i cristiani vengono sterminati.
In una di queste trasmissioni, al ritorno in studio c’era Matteo Salvini (in questo caso del tutto estraneo alla faccenda sia chiaro), che ha però in questo modo ricevuto un facile assist per elencare le sue possibili soluzioni a queste problematiche (+ ruspe). Lo stesso Salvini era inoltre in studio a Mattino 5 in occasione della (forse) finta intervista alle ragazzine rom. L’idea che queste ospitate siano quindi “apparecchiate” ad hoc non sembra del tutto campata in aria.
Dopo il servizio di Striscia ho anche letto in giro vari commenti, molti dei quali puntavano sul “eh vabbeh quello è un attore, ma i rom queste cose le fanno davvero quindi ok così”. E qui capisci che la macchina dell’odio ha funzionato perfettamente ed è già troppo tardi per fermarla. Mi limito quindi a segnalarne l’esistenza, per dovere di cronaca.
UPDATE - Mediaset comunica di aver interrotto i rapporti con il giornalista responsabile dei due servizi: “Da oggi abbiamo interrotto ogni rapporto professionale e valuteremo le opportune iniziative legali nei confronti del giornalista Fulvio Benelli, responsabile dei due servizi”, si legge in un comunicato mandato alle agenzie.
ANNOTAZIONE: As usual, "volano gli stracci". Si sospende Fulvio Benelli (l'ultima ruota del carro) e ci si tiene ben stretti Paolo Del Debbio, una lunga e onorata carriera come maggiordomo di Berlusconi. Se Del Debbio sapeva, è il maggior responsabile della trasmissione, ed è lui che dev'essere cacciato a calci in culo. Se "non sapeva" (come la sospensione di Benelli tende a far credere), deve andar via lo stesso, perchè in tutta evidenza non ha il controllo della macchina che conduce. Insomma, o un malandrino, o una che guida senza patente, e magari col tasso alcolemico che meriterebbe la prova del palloncino. Tafanus
Vita e opere del "giornalista" Paolo Del Debbio - Ha studiato filosofia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, dove si è laureato. Dal 1988 al 1993 ha lavorato presso Fininvest Comunicazioni, una società di "relazioni esterne ed istituzionali" del Gruppo Fininvest, dapprima come "coordinatore del Centro Studi", poi anche come assistente dell'Amministratore delegato Fedele Confalonieri. È "professore a contratto" di "Etica ed economia" all'Università IULM di Milano. Del Debbio si è ufficialmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Milano nell'elenco Pubblicisti il 27 giugno 2001, cioè circa un mese dopo averterminato il suo impegno presso la prima giunta di Gabriele Albertini.
Attività politica - È stato tra i promotori della fondazione del partito Forza Italia nel 1994, di cui è stato direttore dell’Ufficio Studi nazionale. In occasione delle elezioni regionali in Toscana del 1995, è stato candidato dalla coalizione del Polo per le Libertà (FI, AN, CCD) per la presidenza della regione, risultando sconfitto: in seguito è stato Assessore per le Periferie e la Sicurezza nella prima giunta comunale guidata dal Sindaco Gabriele Albertini (FI, 1997-2001) del Comune di Milano. Tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002 lascia la politica a titolo definitivo perché intraprende una carriera lavorativa a Mediaset come giornalista e conduttore televisivo nei programmi prodotti dalla testata giornalistica Videonews (Fonte: Wikipedia)
0203/0645/1815 edit
TV varie e "Renzubblica"sulle elezioni comunali: analfabeti o imbroglioni?
Per sfruttare quel minimo di autonomia che ho per oggi: sulle elezioni comunali in Trentino/Alto Adige e Val D'Aosta, tutti i media embedded al renzismo hanno strologato di "vittoria del candidato PD e/o del PD.
Piccola annotazione: Renzi non è il leader di una coalizione (che peraltro è - a livello locale - a geometria variabile. E l'Italicum è stato dal renzimno stesso imposto come strumento per il premio di maggioranza al PARTITO, e non alla COALIZIONE.
Ora si da il caso che a livello di "partito", il PD rispetto alle precedenti comunali perde sia a Trento, che a Bolzano, che ad Aosta. E perde a prescindere dal calo dell'affluenza, perchè perde non solo in numero assoluto di elettori, ma anche in percentuale sui votanti.
A Trento il PD si ferma al 29,6%. Non ho i dati delle precedenti elezioni sottomano.
A Bolzano scende dal 17,3% al 16,9%, e da 7.826 voti a 6.541, con un calo del 16%.
Ad Aosta scende dal 12,2% all'11,5%, e da 2.113 voti a 1.870 voti, con un calo del 12%.
La percentuale del 40% per il diritto al premio di maggioranza di pertinenza del PARTITO appare un sogno lontano, e il mitico 40,8% oggi sembra un sogno di mezza estate...
Tafanus
0203/0645/1130 edit
sabato 9 maggio 2015
Dopo l'Italicum: ce lo siamo meritato, Matteo Renzi (Un articolo molto profondo di Michele Serra)
Per una volta, oltre agli articoli della serie "Satira Preventiva", leggiamo con piacere, e vi sottoponiamo, una serie di valutazioni molto serie e a mio avviso intelligenti di Michele Serra, sulla genesi del renzismo, e sulle NOSTRE colpe nel sottovalutare il pericolo del dittatorello di Frignano sull'Arno, e di aver iniziato a reagire tardi e male, quando ormai avevamo consegnato a costui tutti i necessari strumenti di autoconservazione. Verrebbe da dire: "chi è causa del suo mal pianga se stesso", ma non siamo tutti causa del nostro male nella stessa misura. Personalmente combatto il renzismo sin dalla prima ora, sin dalla prima Leopolda, e poco mi consola sentirmi dire oggi, anni dopo e a metastasi diffusa, che forse avevo qualche ragione.
Purtroppo mi è toccato in sorte di vivere in un paese che ha sempre avuto bisogno del populista di turno, e spesso se n'è innamorato. Mussolini, Craxi, Bossi, Berlusconi, Monti, Renzi, Grillo, Salvini... e spesso "un cazzaro tira l'altro", perchè i politicanti hanno ben capito che in questo paese di analfabeti spesso vince chi la spara più grossa o a voce più alta. Sono stufo...
Tafanus
Coi suoi metodi autoritari, il premier è la nemesi perfetta per l'Italia. E per una sinistra che si è crogiolata nella sua lentezza. Così chi lo critica, a ragione o a torto, non sfugge al sospetto di essere un conservatore (di Michele Serra - l'Espresso)Matteo Renzi è la nostra nemesi. Ovvero, qualcosa che discende direttamente dal nostro passato; che non è spiegabile senza il nostro passato. Ne è, in molti sensi, il compimento. La definizione di nemesi in Treccani on line è questa: "Espressione riferita ad avvenimenti storici che sembrano quasi riparare o vendicare sui discendenti antiche ingiustizie o colpe di uomini e nazioni".
Nemesi, dunque, non è un concetto rassicurante. Implica qualcosa di travolgente. Di incombente. Di (forse) inevitabile. Ma non si sa se fausto o nefasto. Se di rinascita o di rovina. Treccani riferisce che una nemesi può "riparare o vendicare". E sono cose ben diverse. Riparare vuol dire porre rimedio, risanare, rimettere in funzione. Vendicare può voler dire, semplicemente, punire, castigare, seppellire tra le macerie un popolo immeritevole. Un terremoto che sbriciola case costruite male, magari costruite rubando, è una nemesi. Ma nemesi è anche la caduta del fascismo, piazzale Loreto, il ritorno della libertà. Entrambi gli eventi, radicali, hanno le loro radici nelle precedenti "colpe di uomini e nazioni".
La nostra "colpa", ciò che ha preparato il campo all'irruzione stordente e per ora inarrestabile di Renzi e del renzismo, è la lentezza. Non la lentezza virtuosa del saggio. La lentezza patologica dell'infermo. Quel tanto di irriformabile, di immobile, di neghittoso che ha fatto dell'Italia, nel volgere di un paio di generazioni, il Paese anagraficamente più vecchio del mondo. Economicamente, un Paese che in larga parte vive di rendita e di glorie passate, spendendo ciò che è stato accumulato dai padri, in termini di benessere così come in termini di diritti. Politicamente, un Paese che parla di "riforme" con enfasi direttamente proporzionale alla propria incapacità di produrne anche mezza.È come se lo slancio poderoso del dopoguerra e poi del boom, i primi formidabili trent'anni anni della nostra storia repubblicana, ci avessero sfiniti, sfiatati, spremuti. Troppa fatica per recuperare, a qualunque costo e con qualunque mezzo, lo status di Paese arretrato con il quale eravamo usciti dalla guerra. Subito dopo avere raggiunto la fisionomia, metà vera metà apparente, di Paese moderno, perfino avanzato, con tanto di Statuto dei lavoratori, con tanto di divorzio e aborto legalizzati, ci siamo fermati, o quasi.
Sarà schematico dirlo, sarà una semplificazione, ma gli ultimi venticinque anni della nostra storia sono stati il trascinamento degli anni Ottanta fino allo stremo. Fino alla parodia. Le Olgettine e le cene eleganti sono pura parodia, la parodia dell'edonismo reaganiano. Berlusconi, almeno negli ultimi dieci anni, è la parodia del berlusconismo, dei suoi modelli, della sua estetica e della sua etica. E la sinistra, con le sue idiosincrasie morali spesso sacrosante eppure ripetute come tic, come nevrosi, con la sua litigiosità saccente e vanitosa, con il suo inconfessabile terrore del cambiamento (se qualcuno sta per offendersi sappia che sto pensando a me stesso) è la parodia di se stessa.
Molti fanno osservare, giustamente, che bisognerebbe entrare nel merito di quello che Renzi sta facendo. Nel bene e nel male. "Cambiamento", in sé, non significa nulla. "Velocità", in sé, non significa nulla. A trecento all'ora si può andare a vincere un Gran Premio o a schiantarsi contro un muro. E un Paese può essere bruscamente ribaltato da una vivificante ondata di rinnovamento così come da una dittatura. E dunque bisognerebbe entrare di più, molto di più, nel merito delle cose: lo dicono i costituzionalisti a proposito dell'Italicum; lo dicevano i giuslavoristi e i sindacalisti a proposito del Jobs Act.Non è colpa loro, non è colpa delle loro buone intenzioni se anche questo giustificato, coscienzioso invito a riflettere finisce per assomigliare a un'estrema propaggine della passata, nefasta lentezza italiana. Di analisi causidiche, di dibattiti interminabili siamo quasi morti. Se una moltitudine di italiani è disposta (psicologiamente prima che politicamente) a mettere tra parentesi i distinguo, quando si tratta di mettere in discussione gli atti politici di Renzi, è perché la parola "cambiamento" ha assunto negli anni, gioco forza, una sua aura salvifica, benefica a prescindere, mano a mano che la sensazione di paralisi, di ripetizione viziosa, di impotenza della politica diventavano pesanti come macigni.
Ovviamente, l'essere il renzismo una nemesi non è rassicurante in sé. Non lo è affatto. Il progressivo strangolamento della concertazione, il tentativo di ridurre i corpi intermedi della politica e i luoghi della trattativa (il sindacato, per fare un solo esempio) a simulacri del passato, la quasi derubricazione del Parlamento da solenne aula delle decisioni a ufficio vidimatore degli atti del governo, sono altrettante restrizioni del campo dove si prendono le decisioni. Ma ad ogni obiezione antirenziana fa specularmente eco una obiezione filorenziana, perché una nemesi ha in sé qualcosa di automatico, diciamo una giustificazione "meccanica" del proprio farsi.
Negli ultimi anni il Parlamento, nelle sue varie propaggini anche extraparlamentari (i corridoi, i ristoranti, la Roma consociativa e inerte che dopo la morte dei grandi partiti di massa ha finito per mangiarsi tutta intera, immeritatamente, la rappresentanza politica), non è certo stato un elemento di efficienza, tanto meno di controllo etico e politico di svariate vergogne, vedi la depenalizzazione del falso in bilancio o le tante leggine ad personam o il solenne prounciamento sull'essere effettivamente, quella ragazza, la nipote di Mubarak. Per non parlare della più che accertata compravendita di rappresentanti del popolo; o del loro prestigio spesso ridotto a macchietta indecorosa, vedi i Razzi e gli Scilipoti; così che mettere l'accento con troppa enfasi sul concetto di "democrazia parlamentare" non è poi così ovvio né così semplice. Quanto alla concertazione sindacale, non ha potuto evitare lo svuotamento pauroso del potere salariale, la falcidie dei posti di lavoro, e neppure la forbice impressionante e crescente tra le garanzie conquistate in passato e l'ingarantita precarietà del presente.
La vera forza della nemesi non è nel suo manifestarsi. È negli eventi che l'hanno preceduta. Non esisterebbe Renzi, non esisterebbero il verbo "rottamare", la sbrigativa e improvvisata formazione di un gruppo dirigente di sconosciuto talento e di improbabile lustro, la brusca e incontrastata riduzione di quasi ogni obiezione a fastidioso impiccio sulla strada delle riforme, se non fosse esistita, prima, una lunga stagione di impotenza, di posizioni di rendita, di abitudini ingessate. Che sia "democratura" o solo una ruvida forzatura delle regole pregresse, che lui sia un bullo destinato al tracollo o il "maleducato di talento" evocato dall'ex direttore del "Corriere", Matteo Renzi è il figlio più rappresentativo della crisi della democrazia italiana e più ancora della paralisi della società italiana. Chi lo critica ha quasi sempre ragione, ma alle spalle di quasi ogni critica a Renzi c'è il sospetto inevitabile della conservazione. È un bel rebus e anche un bel ricatto. Ma è, almeno mi sembra, la realtà delle cose. E se Renzi è quello che è, la colpa non è tutta sua.
Michele Serra
0103/0645/0930 edit
venerdì 8 maggio 2015
In Puglia, lo "sceriffo" Emiliano imbarca cani e porci. Peggio di De Luca in Campania. Un PD renzino da abbattere con le ruspe
Ex An e berlusconiani: ras di destra, inquisiti, voltagabbana di professione... Tutti insieme appassionatamente sul carro di Michele Emiliano, che non dice no a nessuno. Il "magistrato in aspettativa" da ormai 11 anni, che ormai passa più tempo negli studi TV che nel suo ufficio, è una persona generosa. E non sente gli odori...
(da un articolo di Lello Parise su Repubblica dell'8 Maggio 2015)
Michele Emiliano, alias "tuttidentro". Tra i quattrocento candidati del centrosinistra alle regionali, l'aspirante alla successione di Nichi Vendola accoglie chiunque: ex aennini come Euprepio Curto, in corsa con i Popolari (Udc, Centro democratico e Realtà Italia); ex berlusconiani come Tina Fiorentino, già assessore delle giunte di centrodestra in Puglia; ex schittulliani, dal nome dell'oncologo Francesco Schittulli, sostenuto dai frondisti di Fitto, da Fratelli d'Italia e Ned, come Anita Maurodinoia, "miss preferenze" per i conservatori alle comunali di Bari lontane appena un anno e poi traghettata armi e bagagli nelle file del già pm antimafia, che la arruola nella squadra del Pd.
«Avevano nei confronti della sinistra, un pregiudizio. Adesso ci danno una mano» spiega Emiliano, che non si scompone più di tanto: «Peraltro, sono delle mosche bianche. Non ho fatto il calcolo, ma si tratta solo di dieci competitori...» (...sono solo dieci... Dio, che livello di motivazioni...Emiliano, e vergognarsi almeno un po', no??? NdR)
Un'altra mosca bianca figura in una delle due civiche organizzate dal segretario dei riformisti è Desirée Digeronimo, pm a Roma, che alle ultime amministrative all'ombra di san Nicola voleva scalzare proprio i riformisti dalla guida di Palazzo di città. Non ci riesce e finisce per farsi ingaggiare dall'intrepido Emiliano.
Ostinato pure a non rinunciare a tre imputati. Schierati "a sua insaputa" evidentemente, con i dem: l'ex deputato leccese del Pds Ernesto Abaterusso (truffa aggravata ai danni dello Stato); e i tarantini Michele Mazzarano (finanziamento illecito ai partiti), consigliere uscente, nonché Donato Pentassuglia, assessore alla Sanità nell'esecutivo del leader di Sei, a cui contestano il favoreggiamento nel maxi dibattimento per i disastri provocati dall'Ilva. Emiliano se la cava così: Il guaio è che «il codice etico del Pd fa acqua da tutte le parti», ed è la ragione per cui il gruppetto di uomini politici chiacchierati non poteva essere messo da parte. «Io, come segretario, ne ho preso atto. Nelle mie civiche comunque, non ci sono né destinatari di avvisi di garanzia né condannati». (Magnifico! Il "Codice Etico PD, non gli piace, fa schifo, fa acqua da tutte le parti, e il Prode Emiliano che fa? Lotta per cambiare lo schifoso Codice Etico? Si rifiuta di candidarsi con un partito che adotta un codice etico schifoso? Sceglie di adottare un SUO codice etico meno schifoso? Macchè! Il Prode Emiliano, Magistrato in aspettativa da 11 anni, "prende atto". Reazione eroica, dalla quale non si può con capire tutta la grandezza del personaggio... NdR)
Emiliano come De Luca, governatore in pectore in un'altra terra del Sud, la Campania, che Roberto Saviano in un'intervista ail'Huffington Post accusa senza se e senza ma: «Nelle sue liste c'è Gomorra»? Da Napoli, il diretto interessato replica: «Servono denunce, non mezze parole». Mentre il progressista pugliese avverte: «Non credo di poter essere paragonato a Vincenzo. Noi stiamo semplicemente facendo quello che facciamo da undici anni a questa parte. Abbiamo cioè preso una regione, questa, chiamata "l'Emilia nera", per trasformarla in un feudo del centrosinistra». A quale prezzo? «Nessuno, per quello che miriguarda. Io non faccio patti con chissà chi, non prometto assessorati, niente. Resto un magistrato (purtroppo...) e so perfettamente come mi devo muovere».
(Caro Emiliano, parla sul serio, è soggetto ad amnesie, o cerca di appuntarsi sul petto medagliette non sue??? Con la trasformazione "da undici anni" della Puglia da "Emilia Nera" in un feudo del centrosinistra lei non c'entra un cazzo. Nel 2005 ha stravinto primarie ed elezioni regionali tale Nichi Vendola, e la storia si è ripetuta nel 2010. Faccia una cortesia... Restringa l'ambito dei suoi meriti alla "Città di Bari" - 322.000 abitanti - e si spogli della medagliona pugliese - 4100.000 abitanti... NdR)
Il pubblico ministero in aspettativa ribattezzato "gladiatore", da quando nel 2004 diventò sindaco del capoluogo del tacco d'Italia, è un fiume in piena: «Con i tempi che corrono,n on so dire bene che cosa sia la sinistra. Però io sono un uomo di sinistra, sono sempre stato da quella parte, ho sempre rispettato le leggi e il mio prossimo, sono un patriota, ho rapporti buonissimi con le forze dell'ordine, le forze armate, tutte cose che qualcuno un tempo avrebbe definito di destra. Canto l'inno nazionale, a differenza di molti della sinistra radicale che quasi se ne vergognano». (Mamma mia... il "Gladiatore" dei talk shows "non sa bene cosa sia la sinistra", ma avete sentito quante benemerenze si attribuisce? Canta persino l'Inno di Mameli! Canterà anche il passaggio "poropò poropò poropò popò poò? NdR)
Non si ferma più: «Ho creato un'arca di Noè? Questa è una barzelletta. Nella campagna elettorale del 2010, nelle liste di Sei, del Pd e dell'Idv c'erano moltissimi imprenditori, le cui attività economiche rischiavano di entrare in conflitto con rimparzialità della pubblica amministrazione. Questa volta, non ci sono. Se ne è accorto qualcuno che facciamo a meno di 50.000 voti, pressappoco, portati cinque anni fa da questi stessi imprenditori a Vendola?».
Lello Parise, Repubblica dell'8 Maggio 2015
Questo PD è da abbattere coi caterpillar... All'interno di questo PD, i Michele Emiliano e i De Luca non potrei votarli neanche sotto mianaccia di morte. Pugliesi, campani! Regalatevi qualcosa di importante! Mandate a casa questi renzini privi di tatto e di olfatto. Non sentono le flatulenze che emanano da alcuni loro porta-borracce. Mandateli a casa.
Tafanus
2902/0645/0830 edit
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