martedì 13 gennaio 2009

che tristezza, questa sinistra...

Tafanus ...quante volte ci siamo divisi? qualcuno ha voglia e tempo di fare una breve cronologia? Io no, sinceramente. Quando, a furia di suddivisioni successive, si arriva alla scissione dell'atomo, a "scindere" entità che hanno ormai raggiunto il dono dell'invisibilità, io mi chiamo fuori, e mi affido agli occhi(ali) ed alla memoria altrui. Da parte mia, voglio solo cercare di tenere aggiornato il pallottoliere: dopo il tragico Aprile 2008, le "formazioni" a sinistra del PD, che erano otto, sono diventate nove. Ancora un piccolo sforzo, e facciamo cifra tonta...

Scissioni e unficazioni nella sinistra italiana.
(da un articolo di Piero Ignazi - Il Sole24Ore - 12/12/07)

PCI Pds "...la storia della sinistra italiana è fatta di innumerevoli scissioni. Incompatibilità teoriche, scomuniche ideologiche, irrigidimenti sulla purezza rivoluzionaria, ma anche faide personali e tatticismi di bassa lega hanno piagato la vita del socialismo e del comunismo italiano. Non è vero che il Pci fosse un monolite: al suo interno scoppiavano assai di frequente forti contrasti; il fatto che si concludessero invariabilmente con l'espulsione dei dissidenti serviva a salvare la faccia, ma non per questo la diaspora dei "rivoluzionari" o dei "revisionisti" si arrestava [...]

Ds_l PdciA rileggere le vicende del socialismo italiano, dalla scissione saragattiana di palazzo Barberini (1947) in poi, per almeno un decennio ci si perde in un labirinto di sigle e formazioni che si scindono, si accorpano e si dividono ancora. Lo stesso fenomeno, in scala molto più ridotta, si ritrova lungo tutti gli anni '70, quando la ventata neo-marxista produce una infinità di gruppuscoli "rivoluzionari", tutti rigorosamente alla sinistra del Pci: Potere Operaio, Partito Comunista Marxista-Leninista, Lotta Continua, Manifesto, Pdup, Movimento Lavoratori per il Socialismo, Avanguardia Operaia, per non citare che i più noti. Il progressivo isterilimento politico-ideologico della sinistra extraparlamentare, e la concorrenza nel mondo giovanile del Partito Radicale prima e dei Verdi poi, hanno portato quelle formazioni politiche a un processo di aggregazione "residuale" in un unico contenitore, Democrazia Proletaria, al fine di mantenere un minimo di visibilità.

Avanguardia_operaia Lotta-continua La nascita di Rifondazione Comunista dalla costala cossuttiana del Pci, al momento della sua trasformazione in Pds, offre un rifugio sicuro agli ultimi epigoni della stagione movimentista degli anni 70. I successi elettorali di Rifondazione e la sua solidità organizzativa (nei primi anni reclutava più di 100 mila iscritti suddivisi in più di 2 mila sezioni) avrebbero potuto sedare le inquietudini ideologiche. Invece no: fin da subito il partito si rivela irrequieto, in parte riproponendo antiche fratture ereditate dalle precedenti esperienze dei leader (Cossutta ex-Pci contro Magri ex-Pdup, ad esempio), in parte lasciando libero corso alle variegate espressioni della sinistra antagonista.

Partito-azione-comunista PCIML Un quadro che viene ulteriormente arricchito, e frammentato, all'inizio degli anni 2000, dall'apertura del partito ai movimenti, dai pacifisti ai no-global. Con una tale cacofonia, peraltro mai sanzionata all'interno, in linea con la grande apertura e tolleranza praticata dal partito, diventa quasi irresistibile riprendere l'antica strada delle divisioni: nel 1995 con l'uscita del gruppo dei Comunisti Italiani poi confluiti nei Ds, e nel 1998 con la scissione che da vita al Partito dei Comunisti Italiani (Pdci) di Cossutta, Diliberto e Rizzo.

A completare cronologicamente il quadro arriva infine la "non adesione" al Partito Democratico da parte di una cospicua minoranza dei Ds guidata da Mussi e Salvi che promuovono il gruppo di Sinistra Democratica [...]

Rifondazione si divide: cronaca di un addio
(di Matteo Bartocci - Il Manifesto)

Rifondazione comunista Verdi Più che un sipario un sudario. La parola fine su Rifondazione comunista così com'è stata fino a oggi viene pronunciata nella sala intitolata a Lucio Libertini, una catacomba gelida e stretta sotto la sede di via del Policlinico, a Roma. Perché la sostituzione di Piero Sansonetti alla guida di "Liberazione" viene interpretata dalla minoranza «vendoliana» sconfitta di misura al congresso di luglio (47,3 per cento) come «uno strappo incolmabile», sintetizza dal palco per tutti gli «scissionisti» una commmossa Graziella Mascia. Via via si alternano uno dopo l'altro gli addii di una larga parte del gruppo dirigente più vicino a Bertinotti, mescolati ad affondi personali e politici durissimi e livorosi con accuse di stalinismo e nostalgia del muro di Berlino. Interventi nervosi più che appassionati. Un palcoscenico per vecchi e nuovi rancori. La scissione a lungo vagheggiata, evidentemente, è ormai metabolizzata almeno ai vertici. Da Nichi Vendola in serata arriva un gelido addio a distanza, che benedice le dimissioni dagli organismi dirigenti del partito di buona parte della sua mozione (anche se con eccezioni significative).

Per-il-bene-comune Sinistra criticaIntervenendo in apertura, il segretario Paolo Ferrero spiega che i motivi a favore della sostituzione di Sansonetti sono essenzialmente due. «L'insuccesso editoriale, per usare un eufemismo», e una divergenza di linea politica secondo cui «Piero ha diretto il giornale sulla base di un progetto opposto a quello della Rifondazione Comunista che invece ha vinto democraticamente il congresso». La sua sostituzione, promette Ferrero, non scalfirà l'autonomia del giornale e di chi ci lavora, «ma è chiaro a tutti che se si prosegue così il Prc rischia di scomparire per mancanza di fondi». Le cifre sono ormai note. "Liberazione" vendeva circa 10mila copie nel 2004 e arriva a stento a 6mila. Il suo deficit pesa sul bilancio del partito per circa un terzo: 3-3,5 milioni di euro su 10 [...]

...e ora, sotto a chi tocca. Uniti si vince. Appunto...
 

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