lunedì 2 novembre 2009

Ora che abbiamo cucinato Marrazzo come meritava, vediamo le "stranezze" del caso

Tafanus Di Marrazzo abbiamo scritto tutto il male possibile. Quindi, per piacere, nessuno immagini che il "complottismo" che sta prendendo piede in questi giorni sia in alcun modo in difesa di Marrazzo. Se c'è una banda di farabutti che ha tentato e tenta di usare le debolezze di Marrazzo a fini politici, di lucro personale o aziendale, è stato magnificamente aiutato da Marrazzo, dalla sua dabbenaggine, dalla sua scarsa consapevolezza dei doveri che il suo ruolo comportavano. Marrazzo ha fatto l'assist, ma alla fine si è dimesso. Altri continuano a dire che non se ne andranno MAI, neanche a fronte di una condanna penale, neanche a fronte dell'imbarazzo che la  permanenza su certe poltrone sta creando in Italia e all'estero.

Ribadite le colpe di Marrazzo, veniamo a quello che potrebbe alla fine risultare il vero risvolto banditesco dell'operazione. Chi l'ha condotta, come, perchè, per conto di chi, con quali contraddittorie dichiarazioni dei "personaggi e interpreti". E lo facciamo iniziando dalla pubblicazione di stralci dell'articolo [di Mariagrazia Gerini su "l'Unità"]

La strana asta del video rubato

Belpietro-maurizio «Senti ho visto adesso Piero.... ste cose non le dire... però m’ha detto...guarda Tonino io sto a questo punto...». «E niente... questa mattina... ho fatto un grosso lavoro fatto bene perché finalmente... è venuto il Presidente... levano la delega a quel deficiente dell’assessore». Piero è Marrazzo, il Presidente della Regione Lazio, prima che lo scandalo di via Gradoli si abbattesse su di lui. Tonino è Antonio Angelucci, il “re” delle cliniche private e della riabilitazione, con accreditamenti per 90 milioni solo nel Lazio. E così parlava al telefono di «Piero» con la moglie e con il suo uomo di fiducia. Stralci di conversazioni datati settembre 2007 finiti nell’inchiesta della Procura di Velletri su una struttura di proprietà degli Angelucci, il San Raffaele di Velletri. Una ricostruzione a tutto tondo del metodo Angelucci. Biglietti gratis alla partita, favori, regalie. I giornali usati come una clava. E poi pullman sotto il palazzone di via Colombo per protestare quando la Regione si rifiuta di riconoscere nuovi accreditamenti.

«Con il bastone e la carota» - scrivono gli inquirenti - Antonio Angelucci tentava di interferire nelle scelte della sanità. Ma mettiamo tutto questo da parte. Solo una premessa per dare la misura della confidenza tra Angelucci e il presidente della Regione Lazio. E veniamo alle vicende di questa estate. È l’11 luglio. Gianguarino Cafasso, il pusher di via Gradoli, contatta attraverso il suo avvocato una cronista di Libero, le fa sapere che ha un video molto compromettente su Marrazzo. Lei avverte la collega che dirige la Cronaca di Roma di Libero e insieme vanno a vedere di che si tratta. Guardano il video. Vedono Marrazzo, il trans, l’interno di un appartamento. Sono passati appena otto giorni da quando i carabinieri-mele marce hanno fatto irruzione in via Gradoli. In otto giorni, il video arriva sul tavolo del primo possibile acquirente, Libero, appunto, il giornale di proprietà degli Angelucci. Le due croniste riferiscono al direttore, Vittorio Feltri. Gli dicono della proposta di acquisto: 500mila euro. Lui si fa una risata e risponde che non ha nessuna intenzione di comprarlo.

Signorini-antonio-chi Insomma, la reazione non è molto diversa da quella di Antonio Signorini, il direttore di “Chi”, settimanale di proprietà della famiglia Berlusconi. Contattato a settembre, vede il video, decide di non comprarlo. Ma la prima cosa che fa è informare il suo editore. Marina Berlusconi, che avverte il padre, Silvio. E il presidente del consiglio decide che bisogna fare qualcosa. Quindi, alcuni giorni dopo, telefona al presidente della Regione Lazio e lo avverte che c’è in giro quel video su di lui. «No, invece in questo caso gli Angelucci non sono  stati informati di nulla», spiega la fac-totum dell’editore di Libero, Daniela Rosow. Gli Angelucci - spiega - non vennero a sapere del video né a luglio, quando editore era Feltri, né a ottobre, quando il nuovo direttore Maurizio Belpietro decide di vedere in prima persona quel video.

È il 12 ottobre. «Non sapevo nulla che qualcuno nei mesi passati aveva già cercato di contattare Libero, sono diventato direttore il 12 agosto e nessuno me lo aveva raccontato», spiega Belpietro: «Del video vengo a sapere da una mia fonte, un collega del Giornale; a quel punto mi informo, contatto l’agenzia Photomasi e lo vedo», spiega Maurizio Belpietro. «Come sono solito fare, ho deciso senza informare l’editore che quel video non mi interessava». Nessuna telefonata all’editore, poi, per raccontargli che in giro c’era un video assolutamente compromettente per il governatore della Regione Lazio. Anche se, secondo una ricostruzione fatta da Carmen Masi, lo stesso Angelucci esattamente due giorni dopo va alla Photomasi, vede il video e si dice interessato. «Ma io del video con Angelucci ne parlo solo quando il caso è già scoppiato e scrivo sul mio giornale che anche io lo avevo visto: lo incontro per altri motivi... », spiega Belpietro.

E anche Angelucci smentisce: «Mai visto quel video, mai comprato, mai saputo nulla da Belpietro». Un comportamento veramente britannico. D’altra parte, gli Angelucci questa estate erano presi da altre vicende, sempre legate al presidente Marrazzo ma nella sua veste istituzionale. A febbraio, infatti, l’inchiesta della Procura di Velletri accende i riflettori su uno dei tanti pezzi dell’impero Angelucci. Scatta l’ispezione regionale. Si scopre che i pazienti venivano dirottati da Velletri, struttura accreditata, a Montecompatri, in una struttura non accreditata. E a settembre a Montecompatri viene revocata l’autorizzazione. Scatta la revoca anche per Velletri, a cui gli uffici stanno ancora lavorando. Intanto, come se non bastasse due decreti intaccano il cuore del sistema Angelucci. Il numero 46 limita il day hospital a 10 posti ogni 100, prima in alcuni casi erano il 40%. L’altro colpisce gli introiti sui trattamenti di lungodegenza. Insomma, a luglio e nei mesi successivi gli Angelucci avevano altro a cui pensare. La sanità laziale, costretta dal Piano di rientro a tagliare circa 30-35 milioni alle cliniche Angelucci [...].

Tutto qui? No. Vediamo, nella ricostruzione del Corsera, le "strane cronologie" della famiglia Berlusconi

"...mentre i tre carabinieri si muovono, il fotografo Max Scarfone fa salire il livello degli interlocutori affidando il negoziato all’agenzia Photo Masi. Le regole per veicolare materiale delicato le conosce bene, visto che due anni fa fu proprio lui a immortalare Silvio Sircana, il portavoce del governo Prodi, mentre si accostava con la macchina a un transessuale in un viale alberato di Roma. Tentano con il settimanale della Rcs Oggi , ma dopo aver mandato il giornalista Sulas a visionare il video, il direttore Andrea Monti dichiara di non essere interessato. Ben diversa è la procedura con Mondadori, visto che il 5 ottobre Alfonso Signorini ne ottiene una copia. «Non avevo alcuna intenzione di pubblicarlo», dichiara quando la storia diventa nota. Ma, nonostante questo, non ha ritenuto di doverlo restituire a chi lo gestiva in esclusiva. Anzi.

Marina-berlusconi Ne parla subito con Marina Berlusconi e con lo stesso presidente del Consiglio, al quale lo porta in visione. Poi lo veicola all’interno del gruppo editoriale, ma non solo. Per il 12 ottobre procura un appuntamento al nuovo direttore di Libero Maurizio Belpietro che lo visionerà negli uffici della Photo Masi. Lo stesso accade due giorni dopo — 14 ottobre — con Gianpaolo Angelucci, l’imprenditore della sanità ed editore di Libero e del Riformista. Il diretto interessato smentisce di aver guardato il filmato, ma è Carmen Pizzuti, la titolare dell’agenzia, a rivelare i dettagli di quell’incontro, specificando che «Angelucci si mostrò interessato e disse che mi avrebbe dato una risposta entro le 19».

Chi mente e perché? Racconta Pizzuti: «Quello stesso 14 ottobre Signorini mi chiamò e mi disse di fermare tutte le trattative perché Panorama era molto interessato e dovevano decidere chi doveva pubblicare tutto». Adesso bisogna capire che cosa accadde nei cinque giorni successivi. Perché il 19 ottobre è lo stesso Berlusconi ad avvisare Marrazzo dell’esistenza del video. FATTI I CONTI? Sono trascorse due settimane da quando il suo gruppo editoriale lo ha avuto in consegna. Perché ha aspettato tutto questo tempo? Il presidente del Consiglio ha detto pubblicamente di aver fornito a Marrazzo i contatti per trovare un accordo con l’agenzia.

Il governatore racconta un’altra storia: «Silvio Berlusconi mi ha telefonato per comunicarmi di aver saputo che negli ambienti editoriali milanesi girava voce che ci fossero foto compromettenti che mi riguardavano. (..."quelle finesse"... "foto", non "filmati"... "Giravano", e non "...ho visto, tenuto, trattato il materiale per due settimane...NdR) Io ho subito ripensato all’episodio accaduto nei primi di luglio e ho cercato tramite i miei collaboratori dell’ufficio stampa di saperne di più. È così che mi è stato dato il numero di telefono dell’agenzia che sembrava interessata alla commercializzazione delle presunte foto che mi riguardavano». Pizzuti lo smentisce: «Il 19 ottobre Signorini mi ha telefonato dicendomi che mi avrebbe chiamato Marrazzo perché la cosa, per ovvi motivi, interessava direttamente lui. Infatti il 19 ottobre, tra le 15.00 e le 15.30, mi contattava sul mio cellulare una voce maschile che si presentava come Piero Marrazzo». Se anche fosse riuscito ad acquistare quel materiale, come poteva sperare il Governatore che il segreto fosse mantenuto per sempre? Sono tutte queste domande, tutti i misteri ancora aperti, a dimostrare come siano i ri­svolti politici ad intrecciarsi con un’inchiesta giudiziaria che potrà accertare la verità soltanto chiarendo le diverse versioni fornite dai protagonisti.

(da Fiorenza Sarzanini - Corsera)

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