giovedì 6 dicembre 2012

Il pot-pourri di Paolo Farinella, prete - I 100 anni di Arturo Paoli: una vita al servizio degli indifesi

Paolo-FarinellaPRIMARIETTE - Bersani Pierluigi non si è limitato a pettinar le bambole, ma ha vinto le primarie. Come era scritto e come era nella logica. Solo un «farlocco» come Renzi poteva pensare di competere con il segretario del partito che tutti avrebbero difeso, anche per difendere se stessi. Se Renzi fosse stato «non-Renzi» e avesse avuto qualche etto di umiltà, avesse rinunciato alle battutine che a lui sembravano bellocce, mentre erano solo scipìte e morte, forse avrebbe innescato un processo di novità che oggi poteva cambiare il corso delle cose, dentro il Pd e anche fuori. Ha voluto giocare a fare il berlusconino senza averne nemmeno la stoffa delinquenziale e corruttiva e si è trovato in compagnia di Ichino e della sora Frignero. Peccato, una occasione persa e una prospettiva aperta.

La prospettiva futura è amara. Ora vi sono due Pd, uno di destra (Bersani) e uno berlusconiano. Il profumo di sinistra è un pio desiderio di Vendola che per esistere deve usare sempre espressioni simil poetiche. Dentro il Pd, si è formato anche il gruppo guappo «Marxisti per Tabacci». Quando la politica si fa burloneria o bulloneria. Il Renzi ora aspetta che gli preparino un tronetto dentro il Pd, altrimenti minaccerà la scissione. Le primariette infatti sono state utili solo a lui perché lo hanno messo al sicuro dentro la cassaforte del 39%, esautorando in parte i cattolici di risulta (Letta, Bindi, Francescini, Fioroni, ecc.) che restano solo «nomenklatura», mentre il sindaco fiorentino ha avuto la consacrazione popolare delle elezioni. Dopo queste primariette e dopo il successo del 61%, Bersani sarà costretto a fare accordi con Casini e Montezuma, magari pagando pegno, così una spolverata a Vendola, che però ormai chiude la sua carriera politica italiana e apre quella estera di Bruxelles. Monti è tranquillo e asciutto: Bersanotte assorbe tutto; o al ministero del tesoro o al Quirinale, avrà in mano la barra economica del prossimo governo. Con queste primarie, il futuro è dietro di noi.

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Arturo Paoli, un secolo di storia

ARTURO PAOLI: UN PICCOLO GRANDE DA 100 ANNI - Il 30 novembre 2012 fratello Arturo Paoli ha compiuto 100 anni. Ha vissuto il «secolo breve», passando la soglia tra il 2° e il 3° millennio perennemente in ricerca con la bussola sempre puntata su due direttrici che indicavano la stessa direzione: i Poveri e Dio. Forse sarebbe meglio dire: i Poveri di Dio, cioè il Dio nei Poveri ovvero il Povero Dio.

Da giovane studente e prete neofita mi sono nutrito dei suoi scritti, e lui non ha mai saputo che devo anche a lui i motivi delle mie scelte, spesso o quasi sempre, in controtendenza dentro l’istituzione Chiesa. Fratello Arturo, è un cristiano strabico, come il profeta Mosè: un occhio a Dio e l’altro al popolo nello sforzo costante di armonizzare la vista per mettere a fuoco Dio sullo sfondo dei Poveri e i Poveri sullo prospettiva di Dio. Il suo strabismo è stato contagioso e innumerevoli generazioni devono riconoscenza a Dio per averlo incontrato di persona, nei libri, nei suoi scritti, nelle sue parole.

Ora che il clamore del giro di boa dei 100 anni è passato, posso dire senza piaggeria che Dio ha avuto misericordia di quella stessa istituzione Chiesa che lo ha perseguitato, escluso, emarginato, regalandole la sua presenza di uomo di fede, dalla coscienza libera e dall’obbedienza in ginocchio con la schiena dritta. Fu l’antesignano della Teologia della Liberazione in America Latina, quando propugnò non più una teologia classica, che procede per astrazioni, ma una «TEOLOGIA COMPROMITIDA» che parte dalla STORIA delle PERSONE.

Mai servile, è stato sempre quello che Israele ha riconosciuto pubblicamente per avere salvato durante la persecuzione ebraica, 800 ebrei dalla morte: «GIUSTO TRA LE NAZIONI», riscattando il silenzio di altri. Lungi da me di fare un panegirico o una sviolinata, desidero solo partecipare con quanti leggono, alcune sue parole. Nell’agosto 1995, fratello Arturo, PROFETA DI DIO, scrive ad Eugenio Scalfari, direttore di Repubblica che aveva elogiato il mercato:

«Mi ha colpito il suo mettere in evidenza il mercato come elevato a divinità, perché da anni denunzio l’idolatria del mercato. Ciò mi è stato spesso rinfacciato come prova di ignoranza delle dottrine economiche. Sono cosciente della mia ignoranza, ma guardando l’idolatria del mercato nella prospettiva del Regno non vedo altro che milioni di persone stritolate sotto le ruote del mercato. Questa visione per me è quotidiana quando, all’alba, apro la porta della mia casa e trovo subito nei vicoli della favela le persone che gemono sotto le ruote del mercato, e sono la mia famiglia»

Nel 1995, quando il sindaco di Lucca gli consegna il «Diploma di Partigiano», Fratello Arturo, dice:

«La Resistenza non si è chiusa nell’ambito del 1945 e se noi non soffriamo fortemente di appartenere ad una famiglia che fabbrica le armi, che manda le mine che straziano i corpi dei bambini, se noi non pensiamo che il nostro benessere lo pagano milioni di affamati, se noi non pensiamo che mandiamo bastimenti carichi di armi nell’Africa, nella vicina Jugoslavia, ecc. … e se noi non soffriamo nella nostra carne per questo scandalo vuol dire che la Resistenza è stata un’azione valorosa, generosa o forse anche una manifestazione di coraggio, ma non è stato qualcosa che ha aderito profondamente alla nostra anima, che è diventata legge della nostra vita… e perché questa celebrazione non sia retorica … forse oggi più di ieri c’è bisogno di resistere».

Rifiuta la medaglia d’oro della Camera di Commercio, assegnata ai lucchesi che hanno onorato la città nel mondo. Nella lettera di rifiuto, scrive:

«Conosco personalmente alcuni di voi per non dubitare della vostra nobilissima intenzione, ma permettetemi di rifiutare un premio come missionario cattolico. A parte il fatto di sapere che il solo suggello che posso mettere sui quarant’anni di vita in America Latina è quello suggeritomi dal Vangelo “sono un servo inutile”, mi tormenta un’altra considerazione. Appartengo per nascita e formazione all’occidente che globalmente si dice cristiano, dalle Montagne Rocciose agli Urali, ed è incontestabile che questo mondo cristiano che si definisce Primo Mondo è al centro delle ingiustizie che sono la causa della fame di milioni di esseri che il catechismo ci ha insegnato a chiamare fratello: io torno in Brasile e non posso tornarvi ostentando sul petto una medaglia che premia la mia attività di ‘missionario’, rappresentante di una civiltà cristiana che spoglia della terra esseri umani che vi vivono da secoli prima di Cristo. E questa spoliazione dura dal 1492».

Il 9 febbraio 2000 a Firenze davanti a Vannino Chiti, presidente della Regione Toscana, e al cardinale di Firenze, Silvano Piovanelli e del rabbino di Firenze Yoseph Levi, in occasione del suo 60° compleanno, Fratello Arturo parla: «Tutta la nostra cultura è una cultura di morte, l’occidente cristiano è il centro che ha organizzato la guerra, la carestia, l’accumulazione delle ricchezze nelle mani di pochi».

A Fratello Arturo,  100, 1000 di questi giorni … senza porre limiti alla Provvidenza.

Paolo Farinella, prete

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