Gli accordi di Wye: un nuovo punto di svolta?
Nel ’98 il processo di pace si trova nuovamente a un punto morto, e ancora una volta è la Casa Bianca a prendere l’iniziativa. L’incontro questa volta si svolge a Wye Mills, nel Maryland: Netanyahu insiste affinché venga cancellata dallo statuto dell’OLP la clausola che prevede la distruzione di Israele. Inoltre riguardo alla questione “sicurezza” non è disposto a scendere a compromessi, così dopo sei giorni di colloqui ordina alla sua delegazione di fare i bagagli.
Gli Americani però lo convincono a rimanere e così si arriva agli “accordi di Wye” che, tra le altre cose, prevedono: lo scambio “terra contro pace”, la repressione dei gruppi terroristici, il ritiro parziale dell'esercito israeliano, il trasferimento del 14,2 per cento della Cisgiordania sotto il controllo palestinese, corridoi di libero passaggio tra Gaza e la Cisgiordania, la liberazione di 750 detenuti palestinesi e la costruzione di un aeroporto palestinese a Gaza.
Sebbene entrambe le parti non attueranno completamente le clausole, il 7 settembre un nuovo fatto alimenta maggiormente le speranze di pace: Clinton, infatti, si reca a Gaza: è un gesto importante in quanto l’evento viene visto come una visita di Stato, come il riconoscimento di Arafat e dell’Autorità palestinese. In quella occasione, di fronte al Presidente degli Stati Uniti, il Consiglio palestinese, con un’alzata di mano, compie un gesto storico e vota la rescissione della clausola dello Statuto dell’OLP, in cui si chiede la distruzione dello Stato di Israele. (...che peraltro Arafat aveva già tolto dallo statuto dell'OLP fin dal 1988...)
17 maggio 1999, Barak è il nuovo Primo Ministro israeliano
Intanto Barak vuole rispettare la promessa fatta alle elezioni e porre fine, dopo 22 anni, all’occupazione delle terre in Libano meridionale, ma la trattativa non sembra avere sviluppi. È ancora l’America a “smuovere le acque” con un summit a Camp David.
Il summit di Camp David
Clinton, 10 luglio 2000: «Sono in partenza per Camp David per unirmi con il Primo Ministro Barak e il Presidente Arafat, con il tentativo di porre fine ai problemi tra Israele e Palestina. I due leader devono affrontare temi molto complessi, un successo sarà possibile solo in virtù di un compromesso basato su dei princìpi; entrambi avvertono il peso della storia ma sono certo che saranno all’altezza di questo momento storico. La strada per la pace, come sempre, è una strada a doppio senso di marcia».
Ma proprio nella prima fase del negoziato il Ministro degli Esteri israeliano presenta la mappa che precedentemente i Palestinesi avevano rifiutato di prendere in considerazione; Abu Ala, Primo Ministro Autorità Palestinesi, ricorda: «Fu uno shock, vedere quella mappa a Camp David! C’erano tutti e loro presentavano le stesse mappe!». Per uscire dall’empasse Clinton suggerisce uno scambio di terra in relazione al fatto che Israele vuole mantenere una parte della Cisgiordania per i suoi coloni. Arafat accetta, ma in cambio vuole della terra utilizzabile: «Non accetto che in cambio mi diano il deserto!».
Intanto in Medioriente la reazione di Ebrei e Palestinesi riguardo l’ipotesi di un compromesso sulle terre è simile: in Israele viene organizzata, contro Barak, la più grande manifestazione di destra della storia ebraica, mentre a Gaza e in Cisgiordania scoppiano numerosi disordini. L’ultima notte dei negoziati Clinton fa un’ultima proposta: la restituzione ai Palestinesi del 92 % dei territori occupati (inclusa la valle del Giordano) e di contro uno Statuto per Gerusalemme che avrebbe concesso il controllo israeliano della Montagna del Tempio.
Abed Rabbo ricorda: «Arafat disse chiaramente: “Lei vuole partecipare al mio funerale?” Disse proprio così a Clinton: “Vuole che diventi un traditore? Lo vuole veramente?”». L’intermediario americano Dennis Ross, afferma: «Il problema con Arafat fu, con tutte le critiche che posso fare a Barak, che Barak era pronto ad affrontare la storia e la mitologia, il massimo che puoi chiedere a un leader, mentre Arafat non era disposto a fare i conti né con la storia né con la mitologia e creava un nuovo mito dicendo che non esisteva nessun tempio».
Il punto di vista di Arafat viene espresso invece in questi termini: «C’erano alcuni punti che nessuno al mio posto avrebbe potuto accettare. Avrei dovuto dar loro il controllo dello spazio aereo, che vuol dire? Insistevano per avere delle grandi basi navali complete di armamenti in una valle del Giordano soggetta al loro controllo, e poi dei confini fra noi e l’Egitto; chi può accettarli?!».
Fallisce così il summit di Camp David, definito da molti come “la grande occasione persa” da Arafat. Barak torna in Israele e comunica il fallimento, mentre Arafat viene accolto come un eroe da una folla che invoca una nuova intifada. Sharon si reca alla Montagna del Tempio, nasce l’intifada di al-Aqsa. Ma il 25 settembre del 2000 i due leader si incontrano nuovamente: Arafat si reca da Barak con tutta la leadership palestinese, da Abu Ala ad Abu Mazen. (...la ormai famosa "passeggiata" si Sharon è un altro segno di stupida provocazione, esattamente come l'apertura della galleria sotto la Via Dolorosa voluta da Netanyahu: a che pro farla, se non per esacerbare gli animi, e far riprendere azioni palestinesi, da poter poi opporre ai palestinesi stessi?...)
Shlomo Ben Ami, Ministro degli Esteri israeliano (2000-‘01), ricorda: «Fu l’incontro più piacevole e cordiale tra Israeliani e Palestinesi, che si possa immaginare. Con Barak e Arafat che sembravano due amanti. Nel bel mezzo di quel delizioso incontro, durante una cena, parlarono al telefono con Clinton, e Barak gli disse: “Riuscirò ad andare d’accordo con questo uomo ancora di più di quanto non abbia fatto Rabin!”».
Al termine della serata Arafat chiede a Barak di impedire a Ariel Sharon, capo della destra israeliana, di compiere la prevista visita alla Montagna del Tempio, dai musulmani altrimenti detta Haram el Sharif, la spianata delle moschee. Ma Barak non può evitarlo. Così il 28 settembre Sharon, si reca a Gerusalemme: «Sono qui con un messaggio di pace: credo che possiamo vivere pacificamente con i Palestinesi, sono qui in un luogo sacro per avere un’idea della situazione e vedere se è possibile compiere dei passi in avanti».
Nonostante Sharon utilizzi parole di pace, per i Palestinesi la sua è solo una provocazione e così subito dopo nasce l’intifada di al-Aqsa. Già nella prima giornata si registreranno 7 morti e 160 feriti. La rivolta si estende rapidamente in tutta la Cisgiordania e la striscia di Gaza. In una sola settimana muoiono 50 Palestinesi e 5 Israeliani. Il 12 ottobre del 2000 due riservisti israeliani sconfinano incidentalmente nel territorio palestinese e vengono arrestati. Poco dopo vengono linciati da una folla inferocita. Israele accusa l’Autorità palestinese: elicotteri israeliani distruggono la centrale della polizia palestinese, e lanciano numerosi attacchi su altri obiettivi in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. La situazione ormai è precipitata; queste le parole di Arafat: «Il nostro popolo continua a camminare sulla strada per Gerusalemme, la capitale del nostro Stato indipendente! Accettare, non accettare…ma che vadano all’inferno!».
Sharon vince le elezioni
6 febbraio 2001 alle elezioni, il leader del Likud, Ariel Sharon, vince sul laburista Barak e diventa Primo Ministro. Intanto l’antica spirale di violenza continua a mietere vittime: non c’è giorno in cui un attacco kamikaze non uccida qualcuno, mentre le rappresaglie israeliane lasciano a terra centinaia di Palestinesi.
Il 29 marzo 2002 Israele lancia l’operazione “scudo difensivo”: forte della sua schiacciante superiorità militare Israele rioccupa le principali città palestinesi, dando la caccia ai terroristi e alle loro infrastrutture. A Ramallah le forze israeliane entrano nel quartier generale di Arafat e tengono il leader palestinese in isolamento per 31 giorni. Quando le forze si ritirano, del processo di pace sono rimaste solo le macerie.
Il 20 dicembre 2002 l’Unione Europea, Usa, Russia e Onu si incontrano a Washington dove elaborano una prima bozza per una nuova trattativa di pace, la “Road map”. Il 30 aprile la “Road map” viene consegnata a Sharon, che la definisce “il male minore”, e ad Abu Mazen.
Il meeting di Sharm el-Sheik
Nel giugno del 2003 finalmente a Sharm el-Sheik Sharon e Abu Mazen si stringono la mano davanti a Bush. Ma ben presto anche la “Road map” si rivela in tutta la sua fragilità. Nel frattempo in Israele gli attentati continuano a spargere sangue; la politica di Sharon ha portato alla costruzione di un muro tra Israele e i territori occupati dai Palestinesi, ma allo stesso tempo anche al ritiro israeliano da Gaza, tra le proteste dei coloni.
Oggi, nel dopo Arafat, pesano ancora numerosi interrogativi: quali saranno gli uomini della nuova leadership palestinese? E soprattutto, in che direzione porterà l’intera “questione Mediorientale”? Pochi mesi prima di morire Arafat ha detto: «Per quanto mi riguarda io sarò o libero o martire». La storia darà la sua sentenza.
Purtroppo adesso le prime risposte stanno arrivando dalla "cronaca". Dalla cronaca nera.
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